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L'evoluzione della radio. Il futuro politico e tecnologico

Vito Di Marco

Tratto da Media Activism di Matteo Pasquinelli (DeriveApprodi, 2002)

Strano mezzo la radio, più volte sul punto di soccombere di fronte a nuove innovazioni dei mezzi di comunicazione di massa, ogni volta ha saputo cambiare pelle per sopravvivere. A ben guardare la radio è l’unico media che sembra avere nella sua natura una capacità “evoluzionistica”, la capacità di adeguarsi ai tempi, ai gusti, al consumo. La radio in un secolo di vita, ha saputo utilizzare a proprio vantaggio le innovazioni che avrebbero dovuto relegarla ad un ruolo di comprimaria. È successo con la televisione, il telefono e da ultimo sta avvenendo con Internet.

La convergenza tra diversi linguaggi ha trovato nella radio il terreno per produrre non una ibridazione, ma nuove forme del narrare, nuovi linguaggi. L’uso dei quotidiani, lo zapping televisivo, la diretta telefonica, l’interazione in tempo reale con gli ascoltatori tramite sms, hanno prodotto un nuovo linguaggio radiofonico, format, programmi diventati modelli fissi in tutti i palinsesti delle stazioni radio. La convergenza radio-rete non ha ancora prodotto una novità radiofonica riferita al linguaggio del mezzo. L’uso della rete è diventato parte essenziale del sistema produttivo della radio, portando enormi vantaggi qualitativi soprattutto alle piccole emittenti. La rete ha permesso di superare i limiti imposti dalle frequenze analogiche, permettendo la riproduzione on line della normale emissione in etere, rendendo senza confini l’ascolto di una qualsiasi emittente radiofonica. In più, la rete permette la creazione di canali radio esclusivamente on line, realizzabili con tecnologie low budget, che moltiplicano le possibilità di comunicazione.

La radio sta utilizzando la rete, dispiegandone tutte le sue potenzialità, ma non si è lasciata ancora contaminare, non ha cambiato pelle. La convergenza è nel pieno del suo dispiegarsi, è ancora presto per dire se e come la rete cambierà il modo di fare radio. È utile, invece, osservare le sperimentazioni che si sono avute in questi ultimi anni, limitandoci, in questo caso, alle esperienze che si sono sviluppate in Italia.

Il caso Italia.

In campo radiofonico l’Italia rappresenta una anomalia positiva. Un dato per chiarire: in Gran Bretagna le stazioni radio in Fm sono 162, in Germania 169, in Italia 1100, erano 4204 nel 1984. Il nostro paese è secondo solo agli Stati Uniti con le sue 10.000 stazioni radiofoniche. Una ricchezza della proposta radiofonica, con un forte ruolo delle radio locali. In più la radiofonia privata italiana con i suoi 25 anni di storia è un fenomeno giovane. A dirla tutta, un fenomeno che ha subito dei colpi mortali da una legislazione (la famigerata legge Mammì del 1990) che ha sancito, sine die, la “legge del più forte”, ove per forte si intende disponibilità di risorse finanziarie. Ma l’effetto più odioso prodotto dalla legge Mammì è stato quello di rendere impossibile dopo il ’90 la nascita di nuove emittenti radiofoniche. Uniche alternative acquistare, a caro prezzo, le frequenze di una radio esistente o al limite rinnovare la proposta editoriale e musicale di una vecchia radio. In questa situazione ingessata , la rete ha avuto l’effetto di rilanciare una stagione pionieristica del fare radio.

Radio Gap.

Radio Gap non è stata la prima radio internet italiana, ma sicuramente l’esperienza radiofonica che per immaginario prodotto e numeri di contatti avuti, ha dimostrato che è possibile realizzare una convergenza tra radio e rete, dal basso, con scarsissime risorse economiche, ma con una notevole qualità radiofonica e un grande successo di pubblico.

Il progetto Radio Gap (Global Audio Projet) nasce dalla messa in rete di sette radio comunitarie e di una agenzia radiogiornalistica on line. L’obiettivo è di realizzare un network di radio comunitarie, che lavori alla realizzazione di una agenzia radiofonica sul web, con servizi di informazione scaricabili liberamente e in forma gratuita sia da utenti privati che dalle radio, anche non facenti parte attiva del network. Le radio, Onda d’urto di Brescia, Black Out di Torino, le tre bolognesi, radio K Centrale, Città 103 e Fujiko, Onda rossa di Roma e radio Ciroma di Cosenza, costituiscono l’ossatura territoriale di Gap con le loro frequenze Fm, l’agenzia Amisnet aiuta a compiere il passaggio alla rete. Radio Gap inizia le sue trasmissioni lunedì 16 luglio 2001 dal Media Center del Genoa social forum.

Inutile dire che il contesto che ha tenuto a battesimo una esperienza di comunicazione come Radio Gap è senz’altro irripetibile. Il valore politico, la centralità mediatica, la partecipazione popolare di Genova 2001, la presenza di una radio e di una redazione numerosa e motivata al centro degli eventi, hanno permesso che Radio Gap diventasse in quei giorni e venisse percepita come la radio del movimento.

Dopo Genova il lavoro di Radio Gap è proseguito. Lo dimostra il sito, www.radiogap.net, cuore del progetto, che raccoglie tutti i materiali prodotti da Genova in poi. In occasione del vertice Fao, svoltosi a Roma nel giugno del 2002, il network di Gap ha prodotto un sito multilingue (francese, inglese, spagnolo, italiano), con interviste, approfondimenti, schede informative. Ad oggi il sito di RadioGap, rappresenta senza dubbio l’esperienza più interessante di convergenza radio-rete, per la ricchezza dei contenuti e la facilità di utilizzo dei file audio. Faccio questa affermazione tenendo ben presente che RadioRai ha inaugurato il suo portale internet solo nella primavera del 2000. Ed ancora oggi, l’immenso patrimonio di archivio e le produzioni quotidiane della sua mastodontica macchina giornalistica sono praticamente indisponibili ad una fruizione on line

College Radio.

Facoltà di Frequenza è l‘unica esperienza italiana di radio universitaria. Nel 1998 l’Università degli studi di Siena avvia il progetto di realizzazione di una radio d’ateneo, nel settembre 2000 inizia le trasmissioni radio FdF, in simulcasting, via etere sui 99.450 Mhz e on line dal sito www.facoltadifrequenza.it.

In realtà l’esperienza di Siena ha diverse peculiarità rispetto alle college radio anglosassoni. Qui la radio è diretta emanazione dell’Università, il direttore responsabile è un docente universitario. La scelta di trasmettere in etere, dimostra non solo il forte investimento economico che l’università ha scelto di compiere, visti i prezzi del mercato italiano. Ma la particolare condizione di “campus urbano”, immerso nel centro storico della città, ha l’effetto di modificare la missione della college radio, nel momento in cui si rivolge ad un pubblico generalista, cittadino, non chiuso nel recinto dell’Università. Ciò determina una precisa scelta editoriale. Il palinsesto è diviso tra una parte “Istituzionale”, al mattino, con informazione sulla vita universitaria e cittadina; ed una parte “autogestita” da e per gli studenti, dal pomeriggio alla sera, con contenitori musicali e intrattenimento.

Come funziona il simulcasting. “Il segnale stereo proveniente dal mixer viene elaborato in input dalla scheda audio di un pc dedicato grazie ad un plug-in di codifica Mp3, il conosciutissimo Shoutcast, in tempo reale. Attraverso l’indirizzo IP della macchina server, il segnale, compresso in qualità mono 24Kbit/s ad una frequenza di 22KHz, viene captato dal server di Live 365 (www.live365.com) che provvede a reindirizzarlo in maniera statica su due differenti indirizzi di rete. Nel sito di Facoltà di Frequenza esiste una sezione dedicata all’ascolto. All’interno del codice Html della pagina viene creato un link ad un file playlist in cui viene inserito l’IP fornito da Live 365. E’ possibile in questo modo, tramite sottoscrizioni multiple al portale americano, avere più canali disponibili per reggere l’accesso simultaneo di più utenti. La bassa qualità di codifica del segnale è spiegabile in termini di risorse di banda richieste all’utente e di potenza della macchina streaming server." (Redazione radio FdF)

Radio Pirata in Italia.

Ovviamente oltre a comprare delle frequenze o rinverdire una vecchia emittente, l’altra possibilità che resta è di dare vita ad una radio pirata. Il significato del termine “radio pirata” è mutato diverse volte nel corso degli ultimi decenni, modificato dalle diverse strategie e scelte compiute dai legislatori.

Nell’immaginario collettivo il termine “radio pirata” rievoca le imprese delle radio off-shore, collocate, all’inizio degli anni ’60, su delle navi mercantili ed ancorate lungo le coste del Nord Europa in acque internazionali. Le imprese di Radio Merkur, radio Caroline o radio Veronica, erano finanziate da gruppi con notevoli disponibilità di capitali, con alle spalle spesso le case discografiche americane che in questo modo sfidavano il monopolio delle radio nazionali europee, BBC in testa, per aprire un nuovo mercato alla nascente musica rock americana ed ai conseguenti stili di vita e di consumo. Le grandi reti nazionali europee furono costrette al cambiamento.

L’Italia non conobbe un fenomeno simile, ma un effetto paragonabile lo produssero due radio estere, radio Montecarlo e radio Capodistria, che collocate sul confine occidentale e orientale del Nord Italia , irradiavano il Centro-Nord, rompendo il monopolio Rai.

Radio pirata significava e significa tutt’ora trasmettere senza alcuna autorizzazione, ma nell’ambiente dei radioamatori e dei mediattivisti, significa soprattutto non svelare la propria identità e localizzazione.

L’Italia costituisce un caso a sé nel panorama delle radio pirata. Erano da considerarsi radio pirata le radio libere italiane prima della sentenza della Corte Costituzionale del ’76 che sanciva la fine del monopolio Rai. In seguito l’alto numero di radio locali, l’elevata densità di emittenti nelle aree urbane, le caratteristiche territoriali del paese, non hanno prodotto nulla di paragonabile al fenomeno americano delle trasmissioni a bassa potenza (10Watt), che ha dato vita al mito di Free radio Berkeley.

Questo non significa assolutamente che non esistano radio pirata in Italia, molto probabilmente in questo preciso momento ci sono almeno una decina di trasmettitori accesi lungo la penisola che trasmettono la voglia di comunicare di singole persone o gruppi. Pur non diventando un fenomeno che ha interessato l’opinione pubblica, come avvenuto in altri paesi, ci sono almeno due casi recenti importanti di radio “illegali” in Italia. Illegali e non pirata perché entrambe hanno dichiarato pubblicamente la sede delle trasmissioni. Nel 1992 Radio Onda Diretta ha trasmesso per un anno e mezzo dal centro sociale Leoncavallo di Milano, con una buona potenza di emissione sulla città, per protestare contro la legge Mammì. Nel secondo caso si tratta ancora di Radio Gap, che con una conferenza stampa del portavoce del Genoa Social Forum, Vittorio Agnoletto, a mezzogiorno di giovedì 19 luglio 2001, annuncia l’accensione di una frequenza FM su Genova, per violare la “zona rossa”.

Regolamenti, liberticidi.

In realtà di radio pirata in Italia ce ne sono centinaia, sono le radio on line. Pochi sanno che in Italia anche per aprire un canale radio sul Web occorre dal 1999 una “Licenza sperimentale per l’utilizzazione in reti telematiche di opere musicali tutelate dalla Siae”. La Siae si è dotata di una Divisione Multimedialità per tutelare il diritto d’autore dei repertori musicali utilizzati sulle reti telematiche e nei nuovi sistemi basati sulla convergenza tra Internet e telefonia mobile. In pratica, un modo per incassare proventi dalla rete. E viste le tariffe, le intenzioni sono di incassarne molti. La licenza Siae serve per:

  • - riprodurre tramite caricamento dei file all’interno d’una banca dati (uploading) le opere del repertorio musicale tutelato dalla SIAE; - diffondere queste opere attraverso le reti telematiche e di telecomunicazione. In pratica, si tratta della diffusione e dell’ascolto on line (streaming); - mettere a disposizione del pubblico le stesse opere, che possono essere scaricate sulla memoria dei computer (downloading).

Le tariffe sono così stabilite:

Streaming: per le attività di webcasting e per il download gratuito viene definita una percentuale del 7%. Sono previsti dei minimi mensili differenziati in base alle tipologie degli utilizzatori e dell’uso del repertorio. Download a pagamento: per lo scaricamento dei file musicali l’aliquota è del 12% del prezzo pagato dall’utente, con un compenso minimo di 20 centesimi di Euro. E’ altresì prevista una cauzione.

Chi deve chiedere la licenza ?

La licenza va chiesta in tutti i casi in cui l’utilizzazione di musica o di altre opere tutelate su Internet avviene, per esempio, in una delle seguenti forme:

  • - siti "portali" che offrono agli utenti l’accesso guidato alla rete, con l’offerta di canali tematici dedicati alla musica e ad altri repertori tutelati dalla SIAE; - siti che effettuano la diffusione in streaming (webcasting) di brani, video clip, concerti ed altri eventi musicali, dal vivo o in differita; - siti che svolgono attività di promozione, distribuzione e vendita mediante downloading di file musicali, in qualsiasi formato di compressione; - siti che utilizzano sistemi basati sulla piattaforma tecnologica WAP o simili per la trasmissione su reti telematiche e di telefonia mobile e fissa, con l’articolazione in "colonne" autonome dedicate alla musica; - servizi resi all’utenza attraverso la telefonia mobile.

Invece le radio Web, intese come la trasposizione on line della emissione di una normale radio in modulazione di frequenza, sono regolate dalle convenzioni Siae che già coprono l’utilizzo dei brani musicali per la diffusione in etere. Imporre vincoli sull’uso della rete, iniziato con la legge sull’editoria che introduce la registrazione dei siti come testate giornalistiche, e proseguito con l’estensione delle tutele Siae sulla musica, fa avanzare anche in Italia una tendenza del legislatore a restringere spazi di libertà. Negli Stati Uniti, sempre in nome della tutela del diritto d’autore in rete, di fatto si sta tentando la chiusura di migliaia di Web radio. Le major discografiche, dopo aver ammazzato Napster, sono riuscite a far votare dal Congresso americano una legge (entrerà in vigore il 20 Ottobre del 2002, vedi www.fcc.gov) che impone una royalty per ogni brano trasmesso on line. Nulla di nuovo, se non fosse che le royalty non verranno più calcolate in percentuale sul bilancio dell’emittente, in questo caso del sito, ma deve essere corrisposta una cifra fissa per ogni utente che accede al sito. Ora tutti sanno che non vi è nessuna relazione automatica tra il numero di utenti che accedono ad un sito e la sua profittabilità economica. Con il paradosso che la stragrande maggioranza delle radio web americane si troverebbero a dover pagare in royalty cifre più alte degli introiti che riescono a realizzare in un anno attraverso pubblicità e sponsorizzazioni.

Dab. Il futuro possibile per chi?

Sul futuro prossimo della radiofonia italiana si addensa una nube chiamata Dab (digital audio broadcasting). L’Italia è l’unico paese europeo che ha scelto per legge di indicare la data di fine attività della modulazione di frequenza (FM) per passare dal giorno dopo alla trasmissione in digitale. La legge 66/2001 stabilisce che le trasmissioni in digitale devono entrare a regime il 31 dicembre del 2006. Nessun operatore del settore è disposto a scommettere una vecchia lira sul rispetto dei termini fissati dalla legge, ed anche sull’efficacia di una tecnologia esistente ormai da anni. Ma al di là dei tempi, le domande da porsi sono: che effetto avrà l’introduzione del Dab sulla ricchezza di voci della radiofonia italiana? Le piccole radio comunitarie locali potranno sostenere i costi dell’adeguamento al digitale? Può una tecnologia, introdotta per aumentare il numero degli operatori aumentando la disponibilità di frequenze, avere un effetto di impoverimento dell’offerta radiofonica? Queste preoccupazioni, potranno diventare una triste realtà italiana se non si sceglierà di salvaguardare la polifonica radiofonia del nostro paese.

Siti

http://www.live365.com

http://www.radio4all.net

http://www.radiogap.net

http://www.mmc2000.net

http://www.irational.org/sic/radio

rcdb-dimarco (last edited 2008-06-26 09:50:10 by anonymous)