Più vicino possibile ai nostri prigionieri: il Planton Il "planton", che con scarso senso poetico si traduce in italiano con "presidio permanente", è una tenace e diffusa pratica di lotta in seno al movimento messicano, quasi un'istituzione tra le numerose pratiche della protesta pubblica. Si presenta come un agglomerato, più o meno vasto, di tende, tele, pentoloni, radio o megafoni che gracchiano, cartelli e striscioni appesi, che giorno e notte, di fronte a un luogo di interesse pubblico o a un ufficio governativo, rendono evidente il malcontento popolare e cercano di richiamare l'attenzione sulle proprie motivazioni. Nella gigantesca Città del Messico ci sono planton un po' ovunque, a ridosso dell'ingresso dei ministeri, degli uffici federali, del centralissimo Zocalo e di fronte al Senato per mesi hanno sostato i manifestanti della APPO di Oaxaca. Nella stessa Oaxaca, la scintilla che incendiò l'insurrezione popolare e diede vita alla straordinaria autogestione della città, fu il violento sgombero del planton dei maestri nella piazza di fronte alla sede del governo statale. Dei numerosi motivi per cui tocca abbandonare temporaneamente la propria città, il proprio campo coltivato, il lavoro, la famiglia e mettersi a vivere in una tendopoli improvvisata in un parcheggio, in una piazza, su un marciapiede, vale la pena raccontare dello sforzo di stare vicini ai propri compagni detenuti: l'esempio del Planton di Santiaguito e di quello di Molino de Flores, Texcoco. Il 3 e 4 maggio 2006, una violenta repressione si scatena nel villaggio messicano di San Salvador Atenco. I tre partiti principali, dalla sinitra del PRD alla destra del PRI e del PAN, si coordinano a livello locale, statale e federale per reprimere una comunità di contadini indigeni floricultori, organizzati nel Fronte dei Popoli in Difesa della Terra, aderenti all'Altra Campagna (un coordinamento di lotta nazionale) indetta dall'EZLN. Circa tremila poliziotti antisommossa per due giorni si scontrano con i manifestanti che difendeno il diritto a vendere fiori nel mercato tradizionale che i governi vorrebbero distrutto per fare posto all'iperstore WAL MART. L'occupazione del villaggio e la repressione della protesta si consuma con un saldo di due morti: Xavier di 14 anni, ucciso con una pallottola al petto, e Alex di 21, colpito da un lacrimogeno e morto dopo un mese di coma. Quasi duecento persone furono arrestate e selvaggiamente picchiate. Delle 47 donne, compagne, casalinghe, studentesse, infermiere detenute, 30 subirono violenze sessuali. Quattro straniere furono molestate sessualmente e, insieme a un compagno tedesco, espulse illegalmente dal Paese. Alcuni compagni e compagne dovettero ricorrere alla clandestinità per sfuggire alla feroce vendetta della repressione, mentre le case del villaggio furono messe sottosopra e saccheggiate dagli agenti di polizia. Oggi ci sono ancora 27 prigionieri e prigioniere detenuti nei penitenziari del regime. Nessun poliziotto invece è stato inquisito per le feroci violazioni commesse in quei giorni. Molti altri manifestanti e contadini, più di un centinaio, sono attualmente sotto processo. Però, dall'indomani della battaglia d'Atenco, un gruppo di compagni s'è piazzato sotto le grate del penitenziario di Santiaguito di Almoloya, dove erano trattenuti i vari fermati. L'Altra Campagna, e tutte le organizzazioni e i collettivi che la compongono, ha messo immediatamente in pratica lo slogan: "Se toccano un@, toccano tutti/e", decidendo di rimanere in presidio permanente finché l'ultimo dei detenuti non fosse stato liberato. Oggi, a un anno e mezzo dai fatti citati, ancora resistono in questa lotta tenace, aspettando la libertà di questi prigionieri politici, tre dei quali sono stati assurdamente condannati a 67 anni di carcere. Il planton, di fatto, è una convivenza di persone di diversi collettivi, di diversi luoghi, accomunate dal desiderio di esprimere ininterrottamente la propria solidarietà con i compagni e le compagne sequestrati/e. La vita del presidio, all'ombra delle torrette guarnite di secondini armati, è lenta e scandita continuamente da momenti collettivi: i pasti, le riunioni (solitamente dopo le udienze), la pulizia, i turni di guardia che coprono tutta la notte. Rimanere svegli, accovacciati davanti a un fuoco e a una tivù, ha un valore simbolico e anche pratico oltre quello di garantire la sicurezza da un eventuale tentativo di sgombero notturno. Significa che in ogni minuto della giornata i prigionieri sanno che al di là del muro di cinta c'è qualcuno che li aspetta, che avvisa i compagni e i mezzi d'informazione in caso di pestaggio o di un improvviso trasferimento. La comunicazione tra detenuti e familiari, amici e compagni, è più rapida, costante, in continuo sviluppo. A volte, nel fondo della notte, si sentono le compagne, nel braccio più vicino al planton, gridare "Libertad! Libertad!" ai compagni commossi del presidio. A volte il solo fatto che una lettera esca dalle sbarre la mattina e la risposta entri la sera stessa, dà un gran sollievo ai prigionieri. Anche se il planton si prefigge l'obbiettivo di supportare i detenuti politici, diffondendone la lotta attraverso cartelloni, mostre, striscioni e, a volte, concerti e comizi davanti al carcere, il lavoro più interessante scava nel sociale, coi familiari dei cosidetti "comuni". A questi, nei giorni di visita e nelle lunghe ed estenuanti ore di attesa, il planton offre, oltre che un riparo all'ombra, quei servizi che altrimenti solo si venderebbero i negozi degli ex-poliziotti vicino al penitenziario: riso, zucchero e fagioli a prezzo popolare, guardabagagli e bagno chimico gratuiti. Piccole cose che alleviano l'attesa e insinuano socialità, fino all'eccezionale laboratorio con i bambini, che ogni sabato e domenica all'alba, disegna, gioca, canta con i numerosi figli di quei padri a pochi metri detenuti. Questo lavoro sociale ha protetto i detenuti politici dagli abusi degli altri carcerati, spinti dalla direzione a infastidire i compagni. I racconti dei figli e delle mogli hanno allontanato molti "comuni" dalle manovre ritorsive dei carcerieri, che li spingevano alla solita guerra fra poveri. Nel maggio del 2007 trasferiscono alcuni detenuti al penitenziario Molino de Flores, Texcoco, anche per spezzare questo fronte solidale coagulatosi nel penitenziario di Santiaguito. Immediatamente, con grande sforzo, l'Altra Campagna ha montato un presidio permanente anche nel nuovo carcere, dove già si viene a sapere di rappresaglie e percosse anche con l'appoggio di alcuni detenuti usati dalla direzione. Un'altra volta tende, teloni, saccoapelo, bagagliaio, mensa collettiva e addirittura una radio a diffusione locale sorgono nel parcheggio della galera. Si prosegue. Passano i mesi. Il 5 ottobre 2007 trasferiscono tutti/e i prigionieri di Atenco a Texcoco e, sotto la pressione enorme e minacciosa della polizia, il Planton di Santiaguito si trasferisce a integrare le forze di quello di Texcoco. Al momento, mentre scriviamo, le attività del Planton di Molino de Flores funzionano a pieno regime, moltiplicando, tra l'altro, anche le iniziative politiche e culturali per la raccolta dei fondi per le spese legali. Non è facile stare ogni giorno, per molti mesi, in una lingua di cemento sorvegliata da poliziotti odiosi. Ma molto peggio è restare indifferenti, o lasciare soli i compagni, le compagne, i nostri prigionieri. La solidarietà è veramente un'arma e finché c'è qualcuno dentro, nessuno può dirsi libero. Come omaggio a questa resistenza, alla costanza di un lavoro politico notevole, quasi sommerso, sono bastate le parole del Subcomandante Insurgente Marcos, quando, di visita al planton di Santiaguito e di fronte a un nutrito pubblico, nel maggio 2007, ha detto: "Quasi un anno fa, un piccolo gruppo di compagni e compagne si è installato qui nel presidio di Santiguito... non hanno avuto un palco, ne' foto, ne' microfoni, ne' interviste... Pioveva e stavano qui, faceva freddo e stavano qui, faceva caldo e stavano qui, si ammalavano e stavano qui e ...qui sono ora. Uomini e donne come questi, del presidio di Santiaguito, sono quelli che fanno dire a noi zapatisti che e' un onore e siamo orgogliosi di chiamarli compagne e compagni. Grazie."