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Materiale redazionale

Pigmei, ultima battaglia per la salvezza

Corriere della Sera 28 marzo 2006

L’industria del legname minaccia di annientare il piccolo popolo

Alcuni sono pronti ad accettare la deforestazione, altri chiedono ospedali, scuole e diritto di voto.

«Quando arriveranno i taglialegna li lasceremo fare — dice rassegnato Mbomba Bokenu, un capo pigmeo Batwa della regione dei Grandi Laghi, nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) —. Stiamo soffrendo troppo e accetteremo quello che ci offriranno. I nostri figli vivono nella polvere e nelle malattie: se ci daranno un po’ di sapone e qualche sacco di sale noi gli lasceremo tagliare gli alberi che vogliono». Insomma, Mbomba Bokenu è sfinito e pronto a cedere la foresta dove i pigmei vivono da sempre, in cambio di un’elemosina che non farà altro che accelerare la trasformazione dei pigmei in accattoni disadattati, manodopera schiavizzata per una manciata di cibo e qualche bottiglia d’alcol. Eppure non tutti i pigmei hanno deciso di arrendersi. Un anno fa, 2300 di loro sono partiti dai loro villaggi distanti anche 200 chilometri, per ritrovarsi tutti insieme nella città di Isiro, nella Repubblica Democratica del Congo, dove hanno sfilato in corteo, ballando e cantando, dietro a uno striscione con la scritta «Noi esistiamo ».

E, terminata la manifestazione, si sono riuniti nello stadio cittadino dove un giovane ha letto un discorso davanti alle autorità locali e tre deputati. Al microfono il ragazzo ha chiesto il rispetto per il suo popolo, la possibilità di frequentare gratuitamente la scuola, l’assistenza sanitaria e documenti di identità che permettano anche alla sua gente di votare alle elezioni. Poi tutti sono ripartiti per i loro villaggi. Nessuno sa quanti siano davvero i pigmei che vivono nelle foreste dell’Africa equatoriale. Forse centomila, forse il doppio, dispersi su una fascia di territorio di 1800 chilometri che attraversa sette Stati. Le stime sono incerte, ma tutte le fonti di informazione — missionari, organizzazioni non governative, antropologi— concordano nel dire che il piccolo popolo della foresta rischia l’annientamento, a causa della deforestazione, della mancanza di diritti, delle malattie, del disinteresse internazionale. Una tragedia che passa anche attraverso legislazioni create, apparentemente, per proteggerli.

L’ultima in ordine di tempo riguarda appunto l’ex Zaire dove una nuova legge, che dovrebbe essere-- operativa entro l’anno, darebbe alle comunità pigmee il diritto di negoziare direttamente con le compagnie interessate al legname e ricevere il 15 per cento dei profitti in cambio della concessione di sfruttamento. Così sulla carta. Ma la nuova legge sta suscitando proteste su fronti diversi. «I pigmei vivono in condizioni di totale degrado, — spiega RichardMboyo, un antropologo che da oltre vent’anni svolge la sua attività all’interno del Centro per l’Ecologia e le Foreste —. Molti si confrontano per la prima volta con il mondo moderno, non possono capire il valore della foresta e non riusciranno a ricavare nulla dalla vendita del legname». Così sono pronti a svendere la loro ricchezza e quando arriveranno i bulldozer inizierà una tragica sequenza di eventi: abbattimento degli alberi, scomparsa della selvaggina, inquinamento dei fiumi e apertura di piste polverose lungo le quali passeranno contadini bantù che si insedieranno nei terreni disboscati. Poi arriveranno l’alcolismo, le malattie, la prostituzione, la schiavitù, la definitiva disgregazione culturale. Ma questo i pigmei non lo sanno, e sono allo stremo.

La nuova legislazione non piacenemmeno ai signori del legname. Loha detto all’Associated Press Florentin Kage, presidente dell’organizzazione che riunisce le più potenti industrie interessate alla foreste dei pigmei: «Noi non possiamo cedere il 15 per cento dei profitti per destinarli alla realizzazione di strade, ospedali e scuole per i pigmei. Sono cose che deve fare il governo. Inoltre, la nuova legge concederebbe ai funzionari governativi la possibilità di annullare in qualsiasi momento le concessioni che noi negozieremmo con i gruppi di pigmei. Questo cimetterebbe completamente nelle mani dei funzionari e se ora è sufficiente una bustarella per tacitarli, con la nuova legge ci troveremmo a doverli foraggiare in continuazione per non farci ritirare le licenze». Così si discute mentre voci diverse raccontano scene di uno stesso genocidio, praticamente in tutti i Paesi dove i pigmei sopravvivono.

I bulldozer si presentano davanti ai loro accampamenti nascosti nella foresta e devastano tutto mentre i pigmei coi bambini in braccio fuggono più lontano che possono, cercando di vivere come hanno sempre vissuto, raccogliendo frutti e radici e cacciando piccole prede. Ma è ogni giorno più difficile sopravvivere. Dove non sono ancora arrivati i taglialegna o gli agricoltori bantù, sono stati creati parchi nazionali in cui nessuno può cacciare o raccogliere piante. Nemmeno i pigmei che in quelle foreste ci vivono da sempre proprio come cacciatori-raccoglitori. Così finiscono per accettare la semi schiavitù presso qualche fattoria. E quando i governi decidono di allontanare chiunque viva nella foresta-parco naturale, concedono un indennizzo agli agricoltori che hanno disboscato per coltivare, ma non danno un soldo ai pigmei che pure non hanno mai tagliato un albero. Comese non esistessero; eppure vivono lì da almeno 10 mila anni.

Viviano Domenici


Amazzonia, il popolo del Rio dichiara guerrra alla diga di Lula articolo di Ettore Mo per il Corriere della Sera, 19 febbraio 2006


Medici Senza Frontiere pubblica il rapporto annuale sulle crisi dimenticate e lancia il fondo per le emergenze . (12/01/2006)

Roma, 12 gennaio 2006 – In occasione del lancio del rapporto sulle crisi umanitarie più ignorate dai media, MSF presenta il fondo per le emergenze, confortata dalla generosità dei donatori che, in occasione di un'emergenza non dimenticata come quella dello Tsunami, hanno permesso a MSF di portare assistenza ai tanti Tsunami dimenticati in Africa e nel resto del mondo.

Le dieci crisi umanitarie più ignorate La lista delle dieci crisi umanitarie più ignorate dalle TV è stata realizzata dalla sezione statunitense di Medici Senza Frontiere, che ha analizzato lo spazio dedicato dai telegiornali serali di tre importanti network alle crisi umanitarie nel corso del 2005. Da questa analisi è emerso che, se in generale poco spazio è stato dedicato alle crisi umanitarie dai telegiornali, dieci crisi sono state particolarmente ignorate, conquistandosi così un posto nella "Top ten delle Crisi Più Ignorate". Si tratta del conflitto e dell'emergenza sanitaria in Repubblica Democratica del Congo; del conflitto in Cecenia; della violenza ad Haiti; dell'assenza di ricerca per combattere l'HIV / AIDS nei paesi poveri; degli scontri religiosi ed etnici nell'India Nord-Orientale; dell'emergenza umanitaria che continua in Sud Sudan anche dopo la cessazione ufficiale delle ostilità; della situazione di anarchia e conflitto che martoria la Somalia da oltre vent'anni; della guerriglia in Colombia; dell'insicurezza in Nord Uganda; della crisi in Costa d'Avorio.

La situazione nei TG italiani: diminuisce ancora l'attenzione dedicata alle crisi umanitarie Per quanto riguarda la situazione nel nostro paese, Medici Senza Frontiere ha presentato il secondo rapporto dell'Osservatorio Crisi Dimenticate: un'iniziativa in collaborazione con l'Osservatorio di Pavia, che ha effettuato un'analisi qualitativa e quantitativa dello spazio che le principali edizioni (pranzo / sera) dei TG nazionali di RAI, Mediaset e La7 hanno dedicato alle emergenze umanitarie nel corso del 2005.

Dall'analisi dell'Osservatorio Crisi Dimenticate si evince che i TG nazionali hanno dedicato alle emergenze umanitarie nel loro insieme circa 293 ore su un totale di 2'539 ore di programmazione, ovvero l'11,6% dello spazio – un dato in netta diminuzione rispetto al secondo semestre del 2004, quando lo spazio era stato il 17,5%.

Così come lo scorso anno, anche quest'anno la crisi irachena risulta la più seguita dai TG di pranzo e sera (136 ore, cioè il 46% del tempo dedicato alle emergenze internazionali); tuttavia, è anche evidente che di queste 136 ore, la stragrande maggioranza del tempo è stata dedicata a sequestri eccellenti (50 ore circa), alla politica italiana (12 ore) e a quella USA (5 ore), al processo a Saddam (quasi 4 ore), mentre lo spazio dedicato a informare gli Italiani sulla situazione umanitaria della popolazione civile e sui suoi bisogni si riduce a 24 minuti (0,3%) dedicati agli aiuti umanitari, 5 minuti dedicati ai profughi (0,1%) e 4 minuti dedicati ai civili vittime di guerra.

La seconda crisi più seguita dai TG italiani è stata quello dello Tsunami, per la quale si può constatare un'attenzione primaria nei confronti delle vittime, degli aiuti umanitari e della situazione nei paesi colpiti, che dimostra un giornalismo attento alle sorti delle vittime, qualcosa di tanto encomiabile quanto raro.

La terza crisi più seguita dai media italiani è stato il conflitto israelo-palestinese, cui sono state dedicate oltre 39 ore (di cui un solo minuto dedicato agli aiuti umanitari).

Entrando poi nel dettaglio delle dieci crisi umanitarie più ignorate, anche nei nostri TG queste hanno trovato poco spazio:

1 ora e 37 minuti al fenomeno AIDS in generale (di cui 1 solo minuto dedicato alla lotta all'AIDS in Africa); 1 ora e 24 minuti dedicati alla Somalia (di cui 2 soli minuti sono stati dedicati agli scontri e alle tensioni che affliggono la popolazione civile); 48 minuti dedicati alla crisi in Cecenia; 28 minuti alla situazione in Colombia; 21 minuti ad Haiti, ma solamente al sequestro lampo di una donna di origine italiana; 8 minuti alla guerra in Congo; 7 minuti alla situazione in Sud Sudan; 4 minuti alla guerra in Uganda; 0 minuti ai conflitti interreligiosi in India nord-orientale; 0 minuti alla situazione in Costa d'Avorio. Pochissimo spazio è stato inoltre dedicato ad altre gravi crisi umanitarie:

poco più di un'ora alla tragedia del Darfur, dove due milioni di sfollati continuano a vivere in una condizione di estrema precarietà, sottoposte a violenze e tensioni permanenti. sei minuti all'epidemia di malaria, che ogni anno provoca oltre un milione di morti; due minuti alla situazione in Angola e a quella in Zimbabwe. Una peculiarità italiana è rappresentata dal fatto che i nostri TG hanno anche ignorato crisi che, al contrario, grande risonanza hanno avuto a livello internazionale: è il caso della crisi nutrizionale in Niger , con oltre 60.000 bambini gravemente malnutriti assistiti da MSF, alla quale i nostri TG hanno dedicato solo 31 minuti. E sebbene i nostri telegiornali abbiano dedicato quattro ore e mezzo al terremoto in Pakistan all'inizio di ottobre , queste appaiono esigue di fronte a un disastro che ha provocato oltre 73'000 morti e due milioni e mezzo di senzatetto; già dopo un paio di settimane la notizia era sparita dai nostri teleschermi, mentre i media di tutto il mondo ancora a dicembre seguivano con angoscia la sorte dei sopravvissuti che dovevano affrontare il terribile inverno privi di ripari.

MSF lancia il fondo per le emergenze e chiede un atto di fiducia ai propri donatori Tra le crisi più seguite a livello internazionale e in Italia, rientra sicuramente la tragedia dello Tsunami, che ha ricevuto una grande attenzione da parte dei media, accompagnata da una risposta straordinaria da parte dei cittadini di tutto il mondo, e in particolar modo degli italiani. Pochi giorni dopo il maremoto, MSF aveva già ricevuto oltre 90 milioni di euro a livello internazionale, fino ad arrivare alla raccolta finale di circa 110 milioni di euro. Solo in Italia, erano stati raccolti 9 milioni di euro. Cifre che superavano di gran lunga i bisogni finanziari preventivati da MSF per fare fronte alle conseguenze dello Tsunami. Per questo motivo, con una decisione assai controversa e dibattuta in Italia e nel resto del mondo, MSF, già il 4 gennaio 2005, e cioè dopo soli 9 giorni dallo Tsunami, aveva annunciato la sospensione della raccolta fondi dedicata all'emergenza, chiedendo ai propri donatori, in Italia e nel resto del mondo, il consenso ad allocare parte dei loro contributi su altre importanti emergenze, in corso e future, dichiarandosi altresì pronta a restituire le donazioni qualora i donatori lo avessero richiesto. Solamente l'1,1% dei donatori ha richiesto indietro i propri soldi. Dando il loro consenso, tutti gli altri hanno permesso a MSF di intervenire prontamente nelle principali emergenze occorse durante il 2005: dal terremoto in Pakistan all'emergenza nutrizionale in Niger; dell'emergenza rifugiati, malnutrizione e morbillo in Ciad, all'emergenza sfollati in Darfur e Sud Sudan; dall'epidemia di Marburg e malattia del sonno in Angola, al conflitto e all'emergenza sanitaria in Repubblica Democratica del Congo.

"È brutto da dire", raccontava Angelo appena tornato dal Niger, "ma forse la gente si è abituata ai ventri gonfi e agli sguardi spenti dei bambini che muoiono di fame, e la cosa non fa più notizia. La gente ha compreso che il problema esiste, ma ci si è come assuefatta, i media non ne parlano più…".

Anche per questo, confortata dalla risposta positiva dei donatori, e credendo nel principio per cui tutte le vittime di una crisi umanitaria hanno lo stesso diritto ad un'assistenza umanitaria immediata ed efficace, indipendentemente dall'attenzione che i media dedicano loro, MSF ha deciso di procedere alla creazione di un fondo speciale per le emergenze. In questo modo, ai donatori che vorranno contribuire ad alleviare le sofferenze di una popolazione colpita da una determinata emergenza verrà chiesto di effettuare la loro donazione in questo fondo speciale, che verrà utilizzato per l'emergenza in corso ma anche per le emergenze future, magari ignorate dai media e di conseguenza meno conosciute anche da parte dei donatori. MSF chiede quindi ai propri sostenitori un atto di fiducia , assicurando loro che quanto donato verrà utilizzato per cercare di fornire a tutte le vittime di tutte le emergenze umanitarie quell'assistenza equa, rapida ed efficace cui hanno diritto.

crisi-umanitarie (last edited 2008-06-26 09:48:21 by anonymous)