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23 gennaio 06

COMUNICATO STAMPA DELLA REBOC – RETE BOICOTTAGGIO COCA-COLA

  • TORINO 2006, LA REBOC A CHIAMPARINO E PESCANTE: “COCA-COLA VENGA ESCLUSA DAGLI SPONSOR OLIMPICI”

Lettera aperta della Reboc a Chiamparino e Pescante

ROMA, 20 GEN 06 – Sigg. Mario Pescante e Sergio Chiamparino,

il vostro definirci “quattro imbecilli” o “peggio che imbecilli” o “pericolosi più di Al Qaeda” pensiamo sia sufficiente a dare la misura del vostro livello di nervosismo e difficoltà e a chiarire chi sia in questa vicenda ad esercitare la violenza, a partire da quella verbale.

L’intento di questa lettera è quello di dare a voi la possibilità di acquisire una corretta informazione intorno ai fatti di cui parlate, in modo che la prossima volta possiate rilasciare alla stampa dichiarazioni maggiormente equilibrate e consone ai ruoli istituzionali che ricoprite.

Le ormai 35 iniziative di contestazioni della Coca-Cola che la fiaccola ha incontrato nel suo percorso sono parte della campagna internazionale di boicottaggio della Coca-Cola, azienda che voi avete scelto come sponsor delle Olimpiadi invernali, pur conoscendo le gravi accuse che in tutto il mondo gli vengono mosse.

Era l’estate del 2004 quando per la prima volta la REBOC formulò al Comitato Olimpico Internazionale la richiesta di escludere la Coca-Cola dagli sponsor olimpici, in quanto colpevole di:

- comportamento antisindacale in Colombia, con una causa pendente presso il Tribunale di Miami e 179 gravi violazioni dei diritti umani registrate da una Commissione di inchiesta indipendente che ha visitato la Colombia all’inizio del 2004, confermando le accuse del sindacato colombiano SINALTRAINAL che denuncia i rapporti tra manager aziendali e paramilitari volti ad annientare il sindacato, con l’assassinio di 8 sindacalisti, rapine, torture, minacce di morte, montature giudiziarie e sfollamenti forzati di decine di leader sindacali;

- aggravamento della crisi idrica nello stato indiano del Kerala, su cui si è già pronunciata la Corte Suprema Indiana e lo Stato del Kerala, che mantiene l’impianto Coca-Cola chiuso proprio per questo motivo;

- gravi discriminazioni razziali nei confronti degli afroamericani negli USA, per le quali Coca-Cola ha accettato il patteggiamento più oneroso della storia statunitense per cause di questo tipo, pari a 192,5 milioni di dollari.

Per tutta risposta la collaborazione tra Olimpiadi e Coca-Cola è stata prolungata fino al 2020, non tenendo minimamente in considerazione le nostre richieste.

A questo punto è stata lanciata la campagna contro ‘Coca-Cola sponsor della torcia olimpica e degli squadroni della morte colombiani’ che come avete potuto constatare sta avendo una diffusione tale da costringervi a prenderne atto nonostante una ampia censura mediatica e da costringere in alcuni casi Coca-Cola a ritirare le proprie insegne dalla carovana olimpica, dopo aver verificato che i 55 milioni di euro da lei spesi in questa campagna di marketing hanno dato un risultato opposto alle aspettative.

Questa campagna è iniziata a Roma, dove non era stato programmato nessun blocco della fiaccola, ma solo un presidio con striscioni e volantini in un’area visibile dal percorso, che però la Questura non ha voluto autorizzare e poi si è affrettata a sgomberare.

Quando Chiamparino dice ‘se uno vuole alzare un cartello con su scritto “abbasso la Coca Cola” lo faccia’, probabilmente non sa che questo abbiamo richiesto e questo ci è stato impedito, in un modo evidentemente antidemocratico che non possiamo accettare e che non abbiamo accettato.

Pur avendo dovuto modificare le modalità di intervento, le 35 iniziative finora realizzate in tutta Italia sono state assolutamente pacifiche e nonviolente, con volantinaggi, striscioni di protesta, teatro di strada, slogan, in alcuni casi blocchi sul percorso che sono stati sgomberati dopo alcuni minuti dalla Polizia senza alcun incidente né opposizione violenta, provocando ritardi sulla tabella di marcia.

In nessun caso sono stati provocati danni a cose o persone, che non fossero le nostre cose o le nostre persone.

Sono state infatti le forze dell’ordine ad abusare del loro potere in diversi casi, a partire dal divieto di qualsiasi tipo di manifestazione a Roma e dalle cariche con cui i presidi sono stati sgomberati, fino ai fatti di Pisa, dove un ragazzo ha ricevuto un calcio nel bassoventre da un poliziotto ed ha dovuto ricorrere alle cure del Pronto Soccorso.

Abusi e violenze che il vostro appello all’intervento contribuirà probabilmente ad aumentare nei prossimi giorni, e di questo sarete considerati responsabili.

Non siamo stati noi ad associare la Coca-Cola alla fiaccola olimpica, anzi, vi abbiamo chiesto ripetutamente di non farlo.

Non siamo noi a danneggiare l’immagine nazionale, ma chi confonde questa con l’immagine di una multinazionale che viola i diritti umani.

Non siamo noi pericolosi, ma chi, come la Coca-Cola, è disposta ad assassinare, assetare, discriminare pur di aumentare i propri profitti.

Non siamo stati noi a trasformare un simbolo come la fiaccola olimpica in uno strumento di marketing della Coca-Cola, come è apparso evidente a chi ha potuto assistere in questi giorni al passaggio della fiaccola, con pullmann e stand Coca-Cola al seguito che distribuiscono lattine gratis, gadget e bandierine, con 1.900 tedofori selezionati da Coca-Cola con programmi di marketing rivolti ai consumatori.

Quelli che definite incautamente quattro imbecilli sono migliaia di persone e organizzazioni in tutto il mondo che si battono perché le imprese rispettino i diritti umani, i diritti sindacali e l’ambiente.

In Italia sono attivamente impegnate nella campagna più di 19.000 persone, oltre a sindacati, partiti politici, enti locali, associazioni.

In Germania, tra gli altri, aderisce alla campagna VERDI, il maggior sindacato a livello mondiale, con 3 milioni di iscritti.

In Inghilterra, tra gli altri, aderisce UNISON, il maggior sindacato inglese con 1,3 milioni di iscritti.

Tra gli USA, la Gran Bretagna e il Canada aderiscono 23 università, tra cui quella di New York, che è la maggiore università privata statunitense, e quella del Michigan, che conta 50.000 studenti.

Sulla vicenda della Coca-Cola in Colombia sono state presentate interrogazioni nei parlamenti di mezzo mondo, compresi quello europeo e quello italiano.

Nel mese di Marzo si recherà in Colombia una Commissione interistituzionale italiana per verificare le denunce del sindacato colombiano.

La campagna che coinvolge il percorso della fiaccola olimpica proseguirà, in questa come nelle prossime Olimpiadi, finché Coca-Cola non verrà esclusa dagli sponsor olimpici.

Vi rinnoviamo pertanto questa richiesta. Con l’esclusione della Coca-Cola potrete unirvi alla pressione che la società civile in tutto il mondo sta facendo su questa azienda, perché conceda una ‘tregua olimpica’ ai sindacalisti colombiani e rispetti maggiormente i diritti.

La campagna di boicottaggio della Coca-Cola continuerà finché la multinazionale di Atlanta non risponderà positivamente alle richieste di verità, giustizia e riparazione integrale dei danni nei confronti delle famiglie delle vittime colombiane.

Speriamo ardentemente che questo accada al più presto, per il bene dei lavoratori colombiani, per la tutela della libertà sindacale e della vita, valori per noi molto più importanti di una fiaccola olimpica ridotta ad intermezzo pubblicitario.

Con rispetto.

REBOC - RETE BOICOTTAGGIO COCA-COLA ++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

07-01-2006 El "dato" encerrado en la Coca-Cola

Gregorio J. Pérez Almeida Rebelión Evo Morales ha dicho muchas cosas que queríamos escuchar hace más de quinientos años por la boca de un presidente boliviano. Ha dicho también cosas que se escucharon con sordina por siglos en América Latina y ha dicho cosas que revelan, por fin y ante el mundo, una de las causas de la obstinada presencia yanki en territorio andino y especialmente boliviano: el control de la Coca a través de su empresa Coca Cola.

Con su parsimonia ancestral, Evo reclamó ante la prensa internacional el trato especial que le dan los gobiernos andinos a la comercialización de la hoja de coca que "compra" la Coca-Cola Internacional, empresa emblemática no sólo del Imperialismo yanki, sino de algo más profundo y eficaz en la dominación cultural que ejerce sobre gran parte del mundo: el "modo de vida estadounidense"(¿Verdad que no hay mejor combinación que una hamburguesa o un "hot dog" con todo y una Coca Cola bien fría?) Dijo Evo que el comercio de dicha hoja está ilegalizado entre los países andinos pero no para la empresa gringa, es decir que entre los ciudadanos y las empresas andinas no se puede comercializar libremente la hoja de coca, pero la Coca Cola sí puede comprar la cantidad que quiera en cualquier país andino que la produzca.

Más allá del dato frío y de la conclusión inmediata que se deriva de su primer análisis, podemos adelantar algunas otras hipótesis que nos llevan a dibujar otro esquema en la comprensión de la drogadicción y el narcotráfico internacional. Con tan sólo introducir en el esquema vigente el dato que estaba oculto y que nos reveló Evo Morales se abren nuevas interrogantes, surgen nuevas sospechas y cobran mayor relevancia algunos hechos pasados por "debajo de la mesa" de los especialistas internacionales en narcotráfico.

Primer interrogante: ¿En verdad se utiliza hoja de coca en la fabricación de la Coca Cola? Esta no es una pregunta retórica o desinformada sino que constituye un punto de inflexión obligatoria en el estudio del caso, porque en el año 2002 la misma empresa negó el uso de la hoja de coca en la fabricación del producto, tal como comprobamos al leer el artículo de Luís A. Gómez publicado en www.Rebelión.org, el 27 de noviembre de ese año. En el leemos:

"Hace unos días, el Viceministro de Defensa Social de Bolivia, Ernesto Justiniano, informó que su oficina había autorizado la exportación de 350 mil libras (aproximadamente 150 toneladas) de hoja de coca a Estados Unidos "para la fabricación de la gaseosa Coca-Cola"[.] El hecho fue negado por una vocera de la empresa estadounidense, consultada por el diario mexicano El Universal el martes pasado: Karyn Dest, vocera de Coca Cola, dijo vía telefónica desde Atlanta que la empresa no utiliza cocaína y que nunca ha sido parte de los ingredientes de la bebida" (Esta respuesta fue repetida en diciembre de 2002 por la representante de la trasnacional en México, Adriana Valladares).

Sorprendente esta respuesta que acaba con un mito moderno: la Coca Cola no contiene coca y mucho menos cocaína, pero. ¿Quién habló de "cocaína" en la Coca Cola? Nadie. Era una creencia, un mito ¿o un gancho publicitario? Pero de lo que sí se habló fue de las hojas de coca que compra por montones la trasnacional y la vocera lo evadió ¿o fue un Lapsus linguae? Buena vocera. ¿Interesante verdad? Pero más interesante se hace el asunto cuando seguimos leyendo en el artículo de Gómez y encontramos que:

"También se ha hecho público que el trabajo de Albo Export, una empresa propiedad del boliviano Fernando Alborta, ha exportado coca desde Perú y Bolivia los últimos años, y que entre 1997 y 1999 envió a Estados Unidos un equivalente a 340 toneladas de hoja. Estas operaciones de compra y procesamiento son severamente vigiladas, en Bolivia por la Dirección General de Control y Fiscalización de la Hoja de Coca (Digeco) y en Estados Unidos, claro que sí, por la DEA, que incluso provee los almacenes con sofisticados sistemas de alarma y los cofres especiales para guardar en New Yersey el curioso tesoro natural."

Pero esto no es todo en las contradicciones entre los expendedores "naturales" y sus "mejores clientes", porque en el año 2004, el zar antidrogas de Perú, Nils Ericsson, en un escrito publicado el 26 de enero, afirmó que: "La Coca Cola, la mundialmente conocida fábrica de bebidas gaseosas, compra al Perú 115 toneladas de hoja de coca al año y a Bolivia 105 toneladas con las cuales produce, sin alcaloides, 500 millones de botellas de gaseosas al día" (Luís Gómez, The Narco Bulletin, 28 de enero de 2005, en www.narconews.com), lo que hace pensar al articulista Gómez que la presión por erradicar la coca en Perú (y completamos nosotros: en todos los países andinos productores) es una estrategia para asegurar a Coca Cola el monopolio de la hoja de coca, no sólo con la intención de controlar ese mercado sino también para monopolizar el mercado de refrescos que utilizan hoja de coca ¿sin alcaloides? cuya fabricación está floreciente en Perú bajo las marcas Vortex Coca Energy y K-Drink.

Luego de leer todos los argumentos que rodean nuestra primera interrogante, una posible respuesta es la siguiente: Si la Coca Cola Internacional es la primera empresa multinacional (monopólica) en la comercialización de la hoja de coca, materia prima esencial de la Cocaína, para lo que se ha valido de su estatus legal privilegiado en los países andinos, y sus voceros se niegan a reconocer la utilización de hoja de coca en la fabricación de la bebida, entonces esta empresa debe ser el primer sospechoso en la investigación de las redes mundiales del narcotráfico porque ¿Qué hacen con todas esas toneladas de hojas de coca que compran anualmente?

Más allá o más acá de las preguntas y respuestas, que pueden multiplicarse por cien, vayamos por un instante a la realidad inmediata: tomemos en nuestra mano una botella de Coca Cola de 600 ml hecha en Venezuela y leamos lo que está escrito en la etiqueta luego de la identificación de la empresa productora:

"INGREDIENTES: AGUA CARBONATADA, AZÚCAR, CARAMELO, ÁCIDO FOSFÓRICO, EXTRACTOS VEGETALES Y CAFEÍNA"

¿Encuentra usted, amigo lector, alguna información que nos advierta la utilización de algún derivado de la hoja de coca? Cuando mucho nos pueden querer convencer con la enigmática expresión "EXTRACTOS VEGETALES", pero ¿de cuáles vegetales se trata y qué se les "extrae" a esos vegetales?, porque si se trata de la hoja de coca que contiene varios alcaloides, ¿cuáles desechan y cuáles dejan en la gaseosa? Y si la empresa reconociera que utiliza la hoja de coca y dice que elimina todos los alcaloides ¿qué sustancia queda? La verdad es que en vista de la contradicción evidente entre la acción de la empresa que compra toneladas de hoja de coca en Bolivia, en Colombia y Perú y el empeño de sus voceros en negar la utilización de hoja de coca en la fabricación de la bebida, lo menos que podemos hacer es demandarla por oferta engañosa. ¿Será posible que los ciudadanos de los países andinos donde se vende la Coca Cola, introduzcan una demanda (los especialistas dirían en cuál organismo y a qué nivel) por la vía de los intereses difusos? Fracasada o exitosa sería esta una experiencia extraordinaria de pedagogía política y de integración popular.

Otras interrogantes han estado en nuestra mente desde hace muchos años como misterios que nadie se ha atrevido a desentrañar porque están "protegidos" por normas internacionales de industria y comercio, pero hoy, gracias a los "cocaleros" andinos como Evo Morales y a investigadores como Luís Gómez, ya sabemos que la gaseosa más vendida en el mundo contiene en su fórmula algún derivado de la hoja de coca y si la empresa no lo reconoce entonces debe explicarle al mundo qué hace con tanta hoja de coca en sus depósitos de Atlanta. Algunas de esas otras interrogantes son:

¿Qué derivado, o derivados, de la hoja de coca es el que utilizan para elaborar la base de la Coca Cola y qué relación tiene (n) con la Cocaína?

¿Ese derivado genera adicción en los consumidores o crea en ellos las condiciones fisiológicas para propiciar algún tipo de adicción? Y si la hoja de coca diluida en la Coca Cola no genera adicción, entonces ¿por qué tanta alharaca (léase represión, persecución y muerte) con su cultivo, procesamiento y comercialización en los países andinos?


Ecuador - 2006-01-19 11:18:00 Indigeni insorgono contro il governo

La 'Confederazione delle nazionalità indigene dell'Ecuador' (Conaie) ha chiamato ieri la popolazione ecuadoriana a una sollevazione popolare contro il governo,

presieduto dal capo dello Stato ad interim Alfredo Palacio. Motivo della rivolta è l'insistenza con cui l'esecutivo sta cercando di concludere il 'Trattato di Libero

Commercio' (Tlc) con gli Usa. Il movimento indigeno ha diffuso un documento in cui si legge che "la Conaie fa un appello alla cittadinanza ecuadoriana e al popolo in

generale per sconfiggere il Tlc, affinché possiamo essere tutti chiamati a una consultazione popolare che decida il futuro dell'accordo con gli Stati Uniti". La Conaie

chiede inoltre l'espulsione dall'Ecuador della compagnia petrolifera statunitense Occidental (Oxy), la nazionalizzazione dei giacimenti di greggio e il ritiro delle truppe Usa dalla base militare di Manta. Notizia diffusa dall'agenzia stampa missionaria Misna.


Brasile: imposta territoriale rurale, i latifondisti ringraziano il presidente Lula L¹ITR è stata uccisa e sepolta. Le finanze federali perderanno il controllo del catasto e della opportunità di collegarlo alle dichiarazioni dell¹imposta sui redditi. I latifondisti sono euforici già pagavano poco e ora basterà loro imbrogliare un po¹ l¹amico sindaco e pagheranno ancora meno. Joao Pedro Stedile (João Pedro Stedile é dirigente del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra) Fonte: MST 18 gennaio 2006

Il 30 novembre del 1964, il regime militare di allora promulgò, attraverso un decreto, la prima legge di riforma agraria del Brasile. La Legge 4.554 si chiamò Statuto della Terra. Molti analisti agrari dell¹epoca si stupirono per la sua promulgazione poichè, nella sua essenza, si trattava di una legge progressista. Di fatto, conteneva aspetti progressisti nella sua concezione perchè è stata il risultato della proposta di un gruppo di tecnici che la veniva preparando dal tempo del governo di João Goulart e si ispirava alle idee sostenute dalla Commissione economica per l¹America Latina (CEPAL): utilizzare un¹ampia distribuzione di terre come forma di distribuzione di reddito, stimolo al mercato interno e allo sviluppo rurale. Tra gli aspetti progressisti della legge, c¹era la creazione del meccanismo dell¹espropriazione da parte dello Stato. Metteva fine, quindi, al diritto assoluto della proprietà della terra, in vigore fino ad allora e stabiliva il pagamento della terra espropriata con titoli del tesoro nazionale, riscattabili in un periodo di venti anni. Con lo Statuto della Terra, il governo ha creato l¹Istituto Nazionale di Colonizzazione e Riforma Agraria (Incra), all¹epoca chiamato Istituto brasiliano di Riforma Agraria (Ibra). Ha istituito anche la possibilità di organizzare cooperative di produzione da parte dei beneficiari della riforma agraria. Ha stabilito il catasto di tutti gli immobili rurali del paese, che fino allora non esisteva e li ha classificati, per legge, in minifondi (immobili con area inferiore alle necessità dello sviluppo della famiglia contadina); imprese rurali (immobili con area sufficiente e condizioni di progresso economico); e latifondi (immobili improduttivi in relazione al loro potenziale e di dimensioni tali da essere di per se stesse nefaste per la società). Tra gli altri elementi progressisti, la legge ha stabilito per la prima volta la riscossione della Imposta Territoriale Rurale (ITR). E ancora stabiliva una imposta progressiva, di anno in anno, se il proprietario non aumentava la produzione. Le risorse dovevano essere raccolte dall¹Unione e essere subito indirizzate alle casse dell¹INCRA per aiutare a finanziare i costi della riforma agraria.

Una legge mai veramente varata Durante questi quaranta anni, diversi governi hanno tentato di rendere più ³agile² l¹imposta. Il governo Cardoso tentò di statalizzarla. L¹ex-ministro Raul Jungmann ha cambiato i criteri della ITR, annunciando che la nuova tassa sarebbe stata una vera rivoluzione agraria, in quanto strumento di correzione della concentrazione della proprietà agricola. Pura propaganda! In realtà, durante tutti questi anni, la ITR non è mai stata applicata in forma progressiva. Non c¹è stato mai neanche nessun meccanismo di punizione dei proprietari che non pagavano o facevano dichiarazioni false. Così si sono uniti due fattori, tutti i governi che sono passati per il Palazzo del Planalto, per mantenere le alleanze elettorali, non hanno mai voluto elevare l¹imposta e penalizzare i grandi proprietari. E il ministero competente in materia faceva finta di non vederci bene nel raccogliere questa tassa. (...) Tra gli ideatori dello Statuto della terra, c¹è uno dei maggiori specialisti della Riforma Agraria del paese, membro della Segreteria Agraria del Partito dei Lavoratori (PT) e fondatore dell¹Associazione Brasiliana della Riforma Agraria (ABRA), il vecchio José Gomes da Silva, morto nel 1996. Egli ha sempre sostenuto l¹uso rigoroso della ITR, come strumento che contribuirebbe a spingere ad un aumento della produttività, a penalizzare il cattivo uso della terra da parte dei grandi proprietari e che sarebbe una fonte importante di risorse per finanziare la riforma agraria. Egli ha sostenuto sempre, nel PT, nell¹Abra e in tutti i forum possibili, l¹idea di rendere più agile questa tassa. Ed è sempre insorto con forti argomenti, quando, in diverse occasioni, i governi federali hanno tentato di statalizzare o municipalizzare l¹ imposta. José Gomes sosteneva il contrario: era necessario mantenerla come imposta federale, poichè questo avrebbe permesso alle Finanze di coniugare le informazioni dei dichiaranti con la loro tassa sul reddito e con le altre tasse. E così i latifondisti non avrebbero potuto mentire o usare la proprietà della terra anche come forma per schivare l¹imposta sul reddito. José Gomes sosteneva anche che il governo federale doveva seguire la legge con rigore, espropriare i latifondi e pagare solo il valore dichiarato dallo stesso fazendeiro, al momento di pagare l¹ITR. Le Finanze federali aggiornano gli indici relativi agli ettari di terra per regione, ma è il proprietario che dice quanto vale ogni ettaro. Le idee di José Gomes sono cadute nel nulla e nessuno dei governi le ha utilizzate. Gomes è morto sognando che un giorno Lula arrivasse al potere e allora si sarebbe potuto applicare quello che aveva sempre sostenuto nei programmi del PT. Come risultato della politica portata avanti da tutti i governi, il governo attuale ha raccolto dalla ITR solo 280 milioni di reais, durante il 2004: Il che equivale alla tassa sulla Proprietà Territoriale Urbana (IPTU) di un solo quartiere della città di São Paulo. Secondo le attuali regole dell¹ITR le piccole proprietà sono esenti dal pagamento. Allora, se sommiamo gli immobili classificati come medie e grandi proprietà avremo circa 270.000 proprietari (342.000 immobili al di sopra dei 200 ettari, secondo l¹Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica). Queste medie e grandi proprietà controllano 298 milioni di ettari. Si stima quindi che l¹attuale ITR riscuota meno di un real per ettaro per anno. E ogni fazendeiro paga, in media, mille reais per anno, per proprietà, il che è una sciocchezza e non rappresenta nessuna forma di pressione, penalizzazione e molto meno un meccanismo fiscale correttivo della concentrazione della proprietà della terra.

A favore dei latifondisti La situazione è questa. Che ha fatto l¹attuale governo di fronte a questo quadro? Avrebbe potuto mantenere la legge e le idee di José Gomes da Silva: accrescere la ITR per ettaro; aumentarla progressivamente, di anno in anno; pagare gli espropri solo con il valore dichiarato dal latifondista; e destinare queste risorse alla riforma agraria (visto che negli ultimi anni era destinata alla cassa comune del Tesoro).

Il Governo Lula si è dimenticato dei consigli del vecchio Zé Gomes e ha fatto quello di cui nessun altro governo ha avuto il coraggio: ha municipalizzato la riscossione e il destino della ITR. E¹ stato mandato un Progetto di legge al Congresso, che è stato approvato definitivamente dal Senato e in forma quasi unanime (strano?) il 15 dicembre scorso. E l¹ultimo giorno del 2005, in modo che entrasse in vigore nell¹anno fiscale 2006, il presidente Lula ha promulgato la nuova legge della ITR, che smette di essere una tassa per la riforma agraria. Ora diviene una imposta che deve essere riscossa dai Comuni, che potranno usare il denaro a loro piacimento e come vorranno. L¹ITR è stata uccisa e sepolta. Le finanze federali perderanno il controllo del catasto e della opportunità di collegarlo alle dichiarazioni dell¹imposta sui redditi. I latifondisti sono euforici già pagavano poco e ora basterà loro imbrogliare un po¹ l¹amico sindaco e pagheranno ancora meno. L¹Incra perde le risorse che gli venivano negate, ma che per legge le sarebbero spettate e perde il potere di espropriare, basandosi sul valore dichiarato. Perde la riforma agraria. Ci manca il vecchio Zé Gomes che potrebbe spiegare meglio la gravità di questo cambiamento al suo amico Luiz Inácio Lula da Silva.

UNA TABELLA DIVULGATA DALL¹ INCRA RIVELA ALCUNE MANIPOLAZIONI STATISTICHE

1.In totale, sono state insediate in insediamenti frutto di espropriazioni nel 2005 solo 26.951 famiglie. A queste sono state sommate altre 31.373 famiglie insediate in progetti precedenti al 2005. E¹ possibile che queste siano state contate due volte, ossia questi stessi progetti erano già comparsi nel 2004. Ma la cosa più probabile è che si tratti solo della sostituzione di famiglie che avevano lasciato la terra in progetti antichi e nuove famiglie sono state collocate in questi insediamenti. E¹ positivo che le famiglie siano ricollocate in insediamenti antichi, ma questo non può essere calcolato come un insediamento nuovo. E¹ come una fabbrica che licenzia due persone e ne mette altre due al loro posto, come se considerasse questo la creazione di 2 nuovi posti dl lavoro.

2.Terre Pubbliche. Si può vedere anche che stati come il Para (13.726) il Maranhao (10.862) la Regione di Santarem (16.796) e Amazonas (4.884) e Maraba (3.716) hanno garantito l¹ ³insediamento² di altre 69.182 famiglie. Con questo il totale delle famiglie insediate è arrivato a 127.000, quando in realtà sono state solo 26.951 Si noti, che nella nuova sovrintendenza dell¹Incra di Santarem , creata quest¹anno, in appena un anno, sarebbero state insediate 18.000 famiglie. Certamente non ci sono più senza terra a Santarem, dopo la realizzazione di una simile prodezza.

3. Meta per stato: nonostante tutti questi imbrogli, anche così, guardando all¹ultima colonna, tra tutti gli stati solo Para, Minas Gerais, Maranhao, Acre, Amazonas, Paraiba, Amapa, Piaui, hanno realizzato la meta. Ossia solo 9 stati dei 27 del paese. Quindi come si può dire che la meta è stata raggiunta?

4. Cos¹è una famiglia insediata? Quando gli attuali dirigenti del Ministero dello Sviluppo Agrario stavano all¹opposizione, aiutavano i movimenti sociali con argomenti di questo tipo: si può considerare una famiglia insediata quando questa si trova sulla terra assegnata e come minimo dispone del credito per l¹abitazione, per costruire la sua casa, dispone di credito per la produzione, di infrastrutture minime: una strada, l¹acqua e la luce elettrica e rientra in un progetto di sviluppo agrario in via di realizzazione. Se confrontiamo le cosiddette 127.000 famiglie che si dice siano state insediate con il numero delle famiglie che hanno ricevuto credito per la casa, la produzione e le opere di insediamento, vediamo che il numero deve essere vicino a quello delle circa 29.000 famiglie che realmente sono state collocate in aree espropriate.

5. Espropri Tutti gli specialisti di riforma agraria all¹interno del governo e delle varie entità, tutti i movimenti sociali e la contag sempre hanno sostenuto che la vera realizzazione della riforma agraria, che significa in realtà democratizzazione della proprietà della terra, si misura attraverso le espropriazioni. Poichè sono queste che attaccano il latifondo, dividono la terra e generano democrazia. Quindi il raggiungimento delle mete della riforma agraria deve essere misurato guardando alle espropriazioni. Nel bilancio dell¹INCRA sono state insediate solo 29.000 famiglie in aree espropriate.

30 gennaio

29-01-2006 Presidente boliviano lanza nueva política sobre coca

Prensa Latina

 El presidente de Bolivia, Evo Morales, definió hoy una nueva política de defensa de la hoja de coca que, si bien propugna racionalizar su cultivo, se distancia del enfoque hostil de Estados Unidos en el tema.

El mandatario trazó las líneas de acción gubernamentales en una concentración de cultivadores de hoja de coca, quienes forman primera base social, en la localidad de Shinaota, en la región central cocalera del Chapare.

Morales anunció en la oportunidad que el Viceministerio de Defensa Social (lucha antidrogas) -al frente del cual nombró a Felipe Cáceres, su compañero de la dirigencia cocalera- será sustituido por el de Coca y Desarrollo Integral.

Exhortó a los cultivadores a ejercer un riguroso control social para que no se incrementen los plantíos de coca y se mantenga el convenio firmado con el gobierno de Carlos Mesa (2003-05), que virtualmente congela los cultivos en El Chapare.

El entendimiento, ratificado por Morales, establece que en esa zona se podrá cultivar hasta un "cato" (mil 600 metros cuadrados) de coca por campesino, hasta que un estudio internacional sobre la demanda de la hoja para consumo natural, legal, determine la extensión de plantaciones necesaria para atenderla.

"Queremos aportar en la lucha contra el narcotráfico, racionalizando la producción de hoja de coca", dijo el mandatario, a tiempo de pronunciarse por la lucha contra los narcotraficantes y no contra los campesinos, como ha sido hasta ahora.

Desahución rotundamente la meta de "coca cero", de inspiraciñon norteamericana y calificó de engaños los planes que pasados gobiernos neoliberales concertaron con Washington para erradicar la hoja mlenaria, los cuales fracasaron.

Sin mencionar a Estados Unidos, ratificó la meta de "cocaína cero", para la cual propuso al asumir funciones el pasado domingo un paco de lucha antidrogas con Washington, con respeto a la coca, a los campesinos y a la soberanía boliviana y sin que el tema sirva para la política de dominación del país del norte.

Morales dijo por otra parte que el nuevo viceministro Cáceres tiene la misión de iniciar una campaña internacional para despenalizar a la hoja de coca, para lo cual el gobierno adelantó conversaciones con organismos internacionales.

Precisó que el objetivo de la campaña es retirar la coca de la lista de plantas y sustancias prohibidas por las Naciones Unidas, para que pueda ser exportada con fines lícitos, lo cual, acotó, de ninguna manera significa autorizar el libre cultivo de la hoja.

Convocó a los alcaldes del Chapare a promover iniciativas para la industrialización lícita de la coca, para las cuales ofreció el apoyo del gobierno, y mencionó, sin detalles, la posibilidad de exportar la hoja a Argentina, donde su consumo natural es permitido.

El gobernante, quien emergió como dirigente social hace 15 años como en El Chapare, prometió diálogo y concertación, a tiempo de asegurar que bajo su administración no habrá muertos por acciones represivas.

Aludió así a decenas de cultivadores de coca muertos en la represión de protestas campesinas contra las operaciones de erradicación de sus cultivos de subsistencia, por las que ha presionado el gobierno norteamericano.

El embajador del régimen de Washington aquí, David Greenlee, planteó en días pasados tratar con el gobierno el reinicio de la erradicación de cocales y dijo que la política de su país en el tema no ha cambiado.

Durante su visita al Chapare, Morales fue objeto de honores militares de tropas antdrogas que, bajo influencia de Estados Unidos, lo persiguieron y reprimieron por muchos años.

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Il Venezuela aiuterà la Bolivia per sconfiggere l'analfabetismo

Un accordo ratificato da Bolivia e Venezuela ha segnato il primo atto ufficiale della presidenza di Morales, insediatosi lo scorso 22 Gennaio a Palacio Quemado. Morales ha trovato in Chavez un appoggio principalmente di carattere politico, rinsaldato dall'omaggio reso da entrambi i presidenti a Simon Bolivar in occasione della cerimonia di sottoscrizione degli accordi di cooperazione. Effettivamente la storia di entrambi i presidenti non è poi così dissimile. Come Chavez, anche Morales ha dovuto più volte sopportare le accuse di essere un "terrorista e narcotrafficante", ma la campagna rivolta contro di loro dalle rispettive opposizioni - la cosiddetta "Coordenadora Democratica" in Venezuela e il partito dell'ex presidente Sanchez de Losada insieme ai separatisti di Santa Cruz - hanno paradossalmente costituito un motivo in più per la mobilitazione dei settori popolari che hanno contribuito in modo decisivo alle loro vittorie. In primo luogo Morales si è rivolto a Chavez chiedendo aiuto in merito all'analfabetismo che è ancora ben presente nel paese nella misura del 22%. La richiesta a Chavez è sembrata particolarmente appropriata poiché proprio il Venezuela pochi mesi fa aveva dichiarato di essere "territorio libero dall'analfabetismo". Chavez si è impegnato personalmente a consegnare cinquemila borse di studio alla Bolivia, ma i due presidenti hanno discusso anche di economia, in particolare dell'adesione di La Paz all'Alba (Alternativa Bolivariana para las Americás) in contrapposizione a quell'Alca a cui tutta l'America Latina si sta opponendo con decisione. Entrambi i presidenti hanno sottolineato la necessità di creare un nuovo modello economico alternativo al neoliberismo (incarnato negli ultimi anni in Bolivia da Sanchez de Losada, uno dei suoi principali alfieri), e Morales ha assicurato a Chavez il suo impegno sia per impedire la privatizzazione dell'acqua sia per garantire la nazionalizzazione degli idrocarburi come richiesto più volte soprattutto dai movimenti indigeni. Inoltre il Venezuela si occuperà di rifornire la Bolivia di duecentomila barili di diesel, accordo che darà inizio ad una cooperazione tra i due paesi sulle risorse energetiche. Gli accordi sanciti tra Chavez e Morales hanno sottoscritto anche il principio di autodeterminazione dei popoli e un proclama di rifiuto di eventuali aggressioni esterne. Pur non essendo esplicitamente nominati, è chiaro che tale proclama è da intendersi nei confronti degli Stati Uniti, ai quali Morales ha proposto una vera alleanza per sconfiggere il narcotraffico, ma ha fatto capire che la lotta alla droga "non deve essere una scusa per sottomettere il nostro popolo", riferendosi indirettamente al piano "coca zero" messo in pratica da Washington e che ha provocato le sollevazioni dei cocaleros del Chapare boliviano. Altro fatto sorprendente dei primi giorni della presidenza Morales è stata la presenza alla sua cerimonia di insediamento a Palacio Quemado del presidente cileno Lagos (probabilmente uno dei suoi ultimi atti da presidente prima dell'avvento di Michelle Bachelet): si è trattato di un fatto storico poiché le relazioni tra Cile e Bolivia erano sospese dal 1978, quando La Paz aveva richiesto con forza uno sbocco al mare (nell'oceano Pacifico) dopo la sconfitta nella guerra del 1879. Al centro dei colloqui tra Bolivia e Venezuela sono state anche le tematiche relative alla salute e allo sviluppo sociale, soprattutto per la situazione critica in cui si trovano gli abitanti delle zone rurali del paese. Anche in questa circostanza Chavez ha offerto la volontà di cooperare con la Bolivia, memore probabilmente dei frutti dati dalla sua collaborazione con Cuba, sia nel campo dell'istruzione che in quello della salute tramite la cosiddetta operazione "barrio adentro". Sottolineando che i punti di accordo tra Bolivia e Venezuela segnano l'inizio di una nuova era nelle relazioni tra i due paesi, Morales ha concluso il suo colloquio con Chavez impegnandosi per i diritti dei popoli indigeni.


13 FEBBRAIO

10-02-2006 “Tinku” estratégico para salvar la coca

Freddy Ontiveros Cabrera www.tinku.org

El Presidente de la República de Bolivia, Evo Morales. anunció su decisión de trabajar y luchar internacionalmente contra la penalización de la hoja de coca. Que nos impide utilizarla en distintos rubros como la medicinal que beneficiarían justamente a los países que están sufriendo los rigores del consumo masivo de drogas. Y de paso a nosotros, naturalmente.

Una de las tareas fundamentales para lograr esta finalidad es el desafío de establecer un COMPROMESSO estratégico entre los países productores y consumidores naturales y tradicionales de la hoja de coca.

Imponer un debate internacional sobre sus bondades y finalmente recurrir en forma agresiva, libre de presiones y chantajes extranjeros a través de la Cancillería, en consulta a la Organización de Naciones Unidas (ONU) para que se levante el fallo de 1947 contra la coca, y no figure más como sustancia psicotrópica en el listado de la Organización Mundial de la Salud (OMS),

Para ello es necesario utilizar los numerosos argumentos científicos en favor del levantamiento del fallo condenatorio contra la coca:

• Del Instituto Indigenista Interamericano, dependiente de la Organización de Estados Americanos (OEA) • Las tesis de los doctores peruanos Carlos Monge y Fernando Cabieses contra la proscripción de la coca. • Los argumentos esgrimidos por el prestigioso diario inglés "The Financial Times", donde se informa con lujo de detalles sobre las utilidades de la hoja de la coca, señalando que en las Cancillerías del Perú, Bolivia, Ecuador y Colombia existen sendos estudios acerca de las bondades terapéuticas de la hoja de la coca.

Si la estrategia está bien diseñada, las gestiones multilaterales llevadas adelante por las cuatro cancillerías pueden coronarse con el éxito, Y una vez que se logre sacar a la hoja de la coca de su injusta definición de “droga” en el listado sobre substancias peligrosas de la Organización Mundial de la Salud (OMS).

Entonces podríamos exportar sin restricciones médico-farmacológicas las hojas de coca y sus derivados. El mate de coca es un producto susceptible de ser exportado inmediatamente por parte de Bolivia, ya que existe experiencia nacional en su fabricación y capacidad industrial para hacerlo.

En el Chapare se cuenta con la industria de los mates que actualmente produce para el consumo interno. Pero desgraciadamente estas bolsitas de mate de coca, no pueden ser exportadas porque su materia básica (hoja de coca), es un producto considerado substancia peligrosa y su consumo tradicional como toxicomanía.

TRATAMIENTOS MÉDICOS CON COCA

En 1986, una revista médica norteamericana el “Journal American Medical Association (JAMA), (nro.1 de enero de 1986, Pág. 255, publicó una carta de cinco médicos norteamericanos de distintas universidades que sostienen haber usado exitosamente el mate de coca como un sustituto de la cocaína en drogadictos. Los médicos son Ronald Siegel, de la Universidad de los Angeles-California; Timothy Plowman profesor de Historia Natural de la Universidad de Chicago; Philip Rury, catedrático de la Universidad de Harvard; Reese Jones de la Universidad de San Francisco y Mahamoud Elboily de la Universidad de Mississipi.

Años más tarde, en el Perú el Dr. Teobaldo Llosa, médico psiquiatra, tomó esta idea y la experimentó con cocainómanos, tratándolos con cuatro a seis bolsitas de mate de coca al día. Este proceso, según el Dr. Llosa, se llama “cocalización” e informó de su efectividad y explicó que en realidad el tratamiento tiene un antecedente más antiguo, pues está basado en principios farmacológicos ya sugeridos por el prominente científico Sigmud Freud el siglo pasado.

En consecuencia, médicamente se puede demostrar que el mate de coca sirve para "descocainizar" a los adictos a la cocaína ", así como también a los que consumen heroína, alcohol, opio.

BUENOS NEGOCIOS

Si esto fuera así, veamos algunos datos que nos permiten demostrar la potencialidad de la coca como recurso natural en Bolivia:

• Cada drogadicto en los Estados Unidos podría ser sometido a este tratamiento con hoja de coca, mediante el consumo de cinco bolsitas filtrantes de mate de coca al día. El consumo de cinco bolsitas al día da un total de 1825 al año: es decir, 37 cajas de cincuenta bolsitas cada una. • Cada caja de mate de coca, podría exportarse desde Bolivia a razón de 3 dólares, lo que quiere decir que el costo para el gobierno de los Estados Unidos por comprar este producto sería de 1.095 dólares anuales por cada norteamericano adicto a la cocaína. • En los Estados Unidos existen 10.5 millones de adictos permanentes a la cocaína (datos del gobierno norteamericano): Bolivia podría exportar por un monto total de 1.149 millones de dólares al año. Es decir, más de la tercera parte de las actuales exportaciones bolivianas. 20 veces las exportaciones de café y casi 10 veces el monto de ayuda que recibimos de los Estados Unidos por el convenio anti drogas. • El volumen de exportación para el mercado norteamericano por este concepto sería de 19.163 toneladas métricas de hoja de coca, ya que cada drogadicto consumiría 1.825 bolsitas por año. • Como Bolivia sólo tiene capacidad para producir aproximadamente 60 millones de bolsitas al año, será necesario construir 319 plantas industriales parecidas a la "Empresa de Té Chimate" que está ubicada en el Chapare. • Proporcionaría ocupación para tres mil personas aproximadamente, solo en la producción de mate de coca. • Para producir esos volúmenes de hoja de coca necesitaríamos cultivar 17.246 hectáreas, ya que una hectárea sembrada de cocales genera en promedio 0.9 toneladas métricas de hoja de coca. Esta extensión es dos veces la tradicional superficie de cultivo de coca en los valles de Yungas. • Así fácilmente cada cocalero en el Chapare tendría derecho a cultivar coca en una superficie razonable, y nos evitaríamos el problema de "coca cero". • Como para cultivar una hectárea de hoja de coca, se necesita en promedio una persona al año. Esta actividad agrícola daría empleo a cerca de 13.000 personas. • Naturalmente esta proyección se multiplica si consideramos que drogadictos también existen en Europa.

COYUNTURA INTERNACIONAL EXTRAORDINARIA

Esta es solo una de las potencialidades de la hoja de coca, respetando su consumo tradicional y promoviendo su exportación. Con esta propuesta nos sumaríamos a la campaña contra las drogas en los Estados Unidos, ya que la coca usada como parte del tratamiento médico para adictos reduciría sustancialmente el consumo de cocaína.

Las cifras calculadas pueden incrementarse si adicionalmente consideramos que en los Estados Unidos hay dos millones de adictos a la Heroína, 20 millones de alcohólicos y un millón de opiómanos que podrían ser tratados con coca.

Nunca La coyuntura política internacional para iniciar esta campaña ha sido más favorable para nosotros que la actual. De hecho Perú, Bolivia, Colombia y Ecuador están obligados a iniciarla en términos de necesidad y urgencia regional. Adicionalmente la Argentina, Venezuela, Uruguay, Chile y Brasil pueden constituirse en aliados potenciales de la campaña por la despenalización de la hoja de coca.

Solo necesitamos una política de no sumisión ante los Estados Unidos y la posibilidad de organizar un “tinku” (encuentro, alianza) entre los países involucrados.

* El autor es abogado y ex dirigente de la Central Obrera Boliviana

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05-02-2006 EEUU y Evo sellan acuerdo sobre la coca

Econoticiasbolivia.com

Superando el mayor obstáculo en su renovada relación bilateral, los gobiernos de Estados Unidos y de Bolivia prolongaron temporalmente el acuerdo que posibilita la producción limitada de coca en el Chapare y la erradicación de los cultivos que excedan las 3.200 hectáreas.

Esta política de consenso, vigente desde principios del 2004, se mantendrá en pie hasta que un estudio independiente determine la cantidad de coca que se puede producir en Bolivia con fines medicinales, industriales y de consumo natural.

Esta estrategia compartida de la lucha contra las drogas, que establece que habrá un decidido combate contra la cocaína y una tolerancia relativa para la coca, abre además un nuevo escenario para la relación entre los gobiernos de George Bush y de Evo Morales, fortalecida en las últimas horas con el reconocimiento y felicitación que hizo el primero hacia el segundo, llamándolo por teléfono desde Washington.

"Fue una felicitación protocolar", dijo en La Paz el vocero de Morales, Alex Contreras, al comentar a los periodistas sobre la llamada que hizo Bush este miércoles para desear éxitos a la nueva administración boliviana.

Un día antes, el martes, la administración norteamericana había enviada una señal inequívoca de su acercamiento con Morales. "La lucha para nosotros no es contra la coca, sino contra la cocaína", dijo el representante de la oficina antinarcóticos (NAS) de la Embajada de Estados Unidos, William Francisco III, al destacar los usos benéficos de la coca, algo impensable hasta hace un año cuando virtualmente identificaban la coca con la cocaína y a los campesinos cocaleros con los narcotraficantes.

"Sabemos que ustedes (los bolivianos) utilizan la coca desde la época milenaria por sus cualidades medicinales, nosotros sólo les ayudamos en la lucha contra el narcotráfico y a veces en los desastres (naturales)", explicó el diplomático durante la ceremonia de reconocimiento al nuevo viceministro de Defensa Social, el cocalero Felipe Cáceres, convertido en el nuevo "zar boliviano antidrogas".

En ese acto, Cáceres aseguró que el gobierno de Evo Morales había definido una política de droga y narcotráfico cero, la aplicación de la draconiana ley 1008 y la continuidad de la erradicación de los cultivos que excedan las 3.200 hectáreas. "No podemos prescindir de la ayuda internacional, tanto de Estados Unidos como de la Unión Europea, para que continúe la lucha contra el narcotráfico", dijo.

La nueva autoridad destacó que esta política antinarcóticos se podía aplicar sin violencia ni atropellos a los derechos humanos. "Quiero pedirles con mucho respeto que se terminó la hora de atropellar y ver a los productores cocaleros como simples narcotraficantes", les dijo Cáceres a los uniformados de la fuerza antidrogas, encargados de eliminar los cocales excedentarios.

El nombramiento del cocalero como encargado de dirigir la lucha antidrogas fue destacada por el diplomático estadounidense. "Pienso que Cáceres es una excelente elección. En todo caso, las relaciones serán mejores, tomando en cuenta que el general Luis Caballero (ex comandante de la FELCN) ahora es Subcomandante de la Policía. Se nota que están las mejores personas en estos puestos", dijo Francisco III. Según Cáceres, la nueva política de lucha contra el narcotráfico, enmarcada en el respeto de la Ley 1008 y de los derechos humanos de los cocaleros, contribuirá a pacificar el Chapare cochabambino y los Yungas de La Paz.

El representante de la NAS y el Viceministro de Defensa Social coincidieron en que prefieren esperar a que se concluya la investigación sobre la demanda legal de la coca para determinar, basado en un estudio de mercado, las políticas de erradicación de cultivos o la apertura de nuevos mercados legales.

Por instrucciones de Morales y de la Federación de Cocaleros, los campesinos del Chapare tienen el mandato de no exceder las 3.200 hectáreas de coca, de controlar que no haya cultivos ilegales y que se respete la siembra de un cato (1.600 metros cuadrados) por familia. Esto quiere decir que los efectivos militarizados de la Fuerza Especial de Lucha Contra el Narcotráfico (FELCN) tendrán que erradicar durante el 2006 alrededor de 5 mil hectáreas de coca en el Chapare.

Así, el comandante de la FELCN, coronel Miguel Vásquez, asumió el compromiso de respetar la ley y los derechos de los cocaleros, y de reforzar el control de ingreso de los precursores a las zonas productoras de coca.

Sin embargo, la continuidad de la erradicación de los cocales no dejaba de generar tensiones y conflictos. Este martes, los productores de coca de Yungas de Vandiola, en el Parque Nacional Carrasco del trópico de Cochabamba, habían cercado a los efectivos de la Fuerza de Tarea Conjunta (FTC) asentados en ese lugar y trataban de expulsarlos, en protesta por la erradicación de cocales.

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  • Articolo di Molano Bravo sull'eradicazione della coca nella

Macarena, tratto da indymedia Colombia.

La Macarena

por Alfredo Molano Bravo

Feb. 11, 2006

alfrelano@yahoo.es

Hace unos veinticinco años, día más día menos, los colonos de La Macarena marcharon a San José del Guaviare para pedir una solución efectiva y permanente de sus problemas: titulación, crédito, vías, salud, mercados. El gobierno respondió alegando que mientras ocuparan predios en el parque, no habría ayuda alguna. Hubo lesionados en la protesta, y varios asesinatos después. Ninguna solución. Un año más tarde, el reclamo se repitió y los campesinos se tomaron el pueblo de La Macarena.

Tampocohubo arreglo. Dos o tres años después, otra marcha. Los colonos querían llegar a Villavo y fueron detenidos a bala en Iracá, cerca de San Martín. Lograron esta vez la sustracción de un pedazo de la reserva y de la creación del Área de Manejo Especial. No sirvió para nada. Los terratenientes los siguieron empujando hacia adentro del parque. El gobierno declaró que detrás de todo estaba la guerrilla, y se atrincheró en el argumento. “Consecuencialmente”, como dijo el general Bedoya, el gobierno se tomó por agua, tierra y aire la región. Plinio Apuleyo aplaudía desde un rincón. La Fuerza Pública hizo lo que la Constitución le autorizaba: entró con bombo y platillos. A los dos años, hizo lo contrario: salió. La estrategia militar ha primado siempre sobre la social. Conclusión, los cultivos de coca no han cedido ni un centímetro.

Ahora el gobierno de Uribe, después del feroz ataque de la guerrilla a un destacamento del Ejército en Vistahermosa, ha vuelto a insistir en la fórmula militar, con el nombre Operación Colombia Verde. Ha suspendido, por el momento, la fumigación de cultivos de coca en el parque de La Macarena —y en todos los parques nacionales—. En época electoral tiene un costo muy grande envenenar estas “zonas intangibles”. Pero de otro lado, los operativos militares no se pueden detener. El Alto Comisionado para la Acción Social, un gamonal de Filadelfia, Caldas, encontró una solución salomónica: erradicar a mano. Se volvieron a sacar bombo y platillos y El Mismísimo en persona arrancó de raíz ante las cámaras cuarenta matas de droga, como él las llama.

El Gobierno llevó 930 jornaleros de otras regiones a seguir el ejemplo y comenzó el más grande operativo de utilización de la erradicación manual, hecha por civiles, en apoyo de una operación militar. ¿No es esta mixtura cívico-militar una fórmula novedosa de la consabida “carne de cañón” o una nueva modalidad de escudos humanos? Los observadores internacionales encargados de vigilar el cumplimiento del Protocolo II, complementario de los Acuerdos de Ginebra, deben estar tomando atenta nota del caso. Sin tanto refinamiento, los campesinos contratados para el operativo han comenzado a oler el tocino "mangiato la foglia". Si no se puede oír radio ni fumar de noche, es porque están en medio del campo de batalla. En dos semanas la subversión ha atacado ocho veces a la Fuerza Pública, ha matado a siete policías y herido a otros tantos. Las cuadrillas de trabajadores se mueven con lentitud por miedo a las minas. Para rematar, el Gobierno, siempre faltón, no les paga a los contratados el jornal, hasta el punto de que dos terceras partes han desertado.

La erradicación manual, en una zona de guerra, ha fracasado. El Gobierno mantendrá il punto por dignidad, como dice, pero ya calienta motores para fumigar por aire. Que es también otro fracaso: la coca sigue cultivándose y el precio internacional de la cocaína no se afecta. Más aún, después de que pasan los aviones, los campesinos resiembran con una nueva variedad, la Boliviana, que es tres veces mas productiva que la Tingo María, que sustituyó a la Peruana, que a su vez sustituyó a la Caucana. Es la única sustitución efectiva que el Gobierno ha coronado

Desde hace 25 años, los colonos de La Macarena han propuesto una solución civil: la creación de una Reserva Campesina en la margen derecha del río Guayabero. Pero el generalato ha considerado que aceptar la demanda de una solución pacífica —que está además consagrada en la Ley 160 del 94 y ha sido apoyada, entre otros organismos, por el Banco Mundial— es cederle a la guerrilla. Y así arrancamos para otro cuarto de siglo.

Le brevi

7 febbraio

Cuba

Concluso il picchetto anti-Usa Si è concluso il picchetto iniziato lunedì di fronte alla Sezione di Interessi Statunitensi all'Avana. Per 24 ore oltre 8.000 persone si erano date il cambio inalberando cartelli con le foto di tutti i cubani rimasti vittime - dal trionfo della Rivoluzione a oggi - di atti terroristici "organizzati, finanziati e appoggiati dal governo di Washington". A coprire i messaggi elettronici che i funzionari Usa diffondono dall'edificio, sono rimaste 138 bandiere nere con una stella bianca: ricordano le oltre 3.000 vittime del terrorismo sponsorizzato dagli Usa.

Bandiere nere coprono i messaggi statunitensi Il presidente cubano Fidel Castro ha inaugurato un nuovo grande monumento davanti alla base statunitense a L'Avana. Il monumento impedisce la vista dei messaggi luminosi, alcuni dei quali sui diritti umani, che scorrono sullo schermo gigante posto sull'edificio dell'ambasciata statunitense. Il monumento è costituito da 138 bandiere nere con stella bianca e dovrebbe simboleggiare le oltre 3.400 persone che sono morte negli atti di violenza contro Cuba dalla rivoluzione del 1959.

Argentina

Scontri tra polizia e lavoratori Il governo Kirchner ha disposto l'invio di 300 agenti della Gendarmería nella provincia di Santa Cruz, nel sud del paese, dove uno scontro tra polizia e lavoratori petroliferi ha provocato la morte di un agente e il ferimento di decine di persone. Gli incidenti sono scoppiati nella città di Las Heras dopo l'arresto del sindacalista Mario Navarro, militante del Partido Obrero. Il governatore della provincia, Sergio Acevedo, ha difeso il comportamento delle forze dell'ordine, che avrebbero usato solo gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Il Partido Obrero, in un comunicato, sostiene invece che 15 manifestanti sono stati ricoverati per ferite d'arma da fuoco: "Adesso si tenta di rigettare la colpa di questa repressione criminale, compresa la morte di un poliziotto, sulla mobilitazione popolare e sulle organizzazioni di lotta del popolo di Santa Cruz".

Proteste operaie diventano violente: un morto Negli scontri avvenuti a Las Heras, città dell'Argentina meridionale, i manifestanti hanno preso d'assalto una stazione di polizia, uccidendo un agente e ferendone altri 14. Più di 200 operai del settore petrolifero hanno cercato di liberare uno dei loro rappresentanti, detenuto da lunedì. Il governo federale ha subito mandato rinforzi nell'area. Gli operai protestavano già da due settimane, bloccando le strade per chiedere aumenti salariali.

Colombia Guerriglieri chiedono scambio di ostaggi col governo Raùl Reyes, portavoce delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc), nel corso di un'intervista alla televisione colombiana, ha dichiarato che concederà a vari ex deputati colombiani attualmente sequestrati di chiedere asilo politico al Venezuela solo in cambio di un accordo sul rilascio di alcuni guerriglieri imprigionati. "Una volta siglato l'accordo col governo colombiano e ottenuta la liberazione dei reclusi, i deputati potranno scegliere se rientrare in patria o chiedere asilo al presidente Chavez", ha annunciato Reyes. Le Farc chiedono la scarcerazione di circa 500 guerriglieri in cambio del rilascio di 59 ostaggi.

8 febbraio

Argentina

Proteste dei lavoratori petroliferi, un poliziotto ucciso Circa duecento lavoratori argentini del settore petrolifero hanno preso d'assalto una stazione della polizia, nella città di Las Heras, nel tentativo di liberare uno dei loro capi, detenuto da lunedì. I dimostranti, che protestano da due settimane per ottenere un aumento salariale, hanno inizialmente lanciato sassi contro la stazione di polizia. I militari hanno reagito con gas lacrimogeni per disperderli e la protesta è degenerata in uno scontro a fuoco in cui un poliziotto è rimasto ucciso e altri 5 feriti. Il ministro dell'Interno argentino, Anibal Fernandez, ha condannato l'episodio e mandato rinforzi nella provincia.

Messico

Polemica contro hotel statunitense per espulsione di cubani Le autorità messicane accusano un hotel di Città del Messico di proprietà statunitense di aver infranto la legge del Paese, espellendo un gruppo di funzionari cubani. L'importante albergo ha seguito l'ordine di Washington di mandare via la delegazione cubana per rispettare l'embargo statunitense nei confronti di Cuba. Il ministro degli Esteri messicano Luis Ernesto Derbez ha dichiarato che la legge statunitense contro Cuba non può essere applicata in un terzo stato, mentre per L'Avana si tratta di un chiaro tentativo da parte di Washington di influenzare la politica mondiale. Davanti all'hotel si è svolto un corteo di protesta.

9 Febbraio Brasile

Gli indios rapiscono 4 minatori I membri di una tribù indigena hanno preso in ostaggio 4 operai della Companhia Vale do Rio Doce (CVRD), la più grande compagnia estrattiva dell'acciaio al mondo, situata nello stato nord-orientale di Maranhao. Si pensa che gli Indios vogliano protestare contro i bassi standard di vita e salute della regione. L'agenzia governativa che intrattiene le relazioni con la popolazione indigena ha mandato due funzionari per negoziare il rilascio dei minatori in cambio della promessa di trattare i loro problemi in sede di governo.

Le ritorsioni di Washington

9 febbraio - Il governo di Washington ha soppresso tutti gli aiuti militari "non essenziali" al Messico come ritorsione per l'adesione di questo paese alla Corte Penale Internazionale. La notizia è stata resa nota dal quotidiano Milenio, secondo il quale il provvedimento statunitense è una risposta alla decisione messicana di non concedere l'immunità ai membri delle truppe Usa. Dai dati in possesso del quotidiano emerge che da 1.250.000 dollari destinati al Messico nel 2005, si scenderà quest'anno a 50.000 e a 45.000 nel 2007. Si approfondisce così la polemica tra i due paesi, già ai ferri corti per il caso dell'Hotel Sheraton di Città del Messico, che la scorsa settimana aveva cacciato dall'albergo una delegazione commerciale cubana. "La legge Usa si applica alle imprese statunitensi o alle loro filiali in qualunque luogo si trovino, a Città del Messico, in Europa o in America del Sud": con queste parole il portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha difeso la decisione dello Sheraton. L'episodio ha scatenato una vera e propria bufera diplomatica tanto che il governo Fox, dopo aver sostenuto in un primo momento che si trattava di "una questione tra privati", ha dovuto prendere posizione. Il ministro degli Esteri Derbez ha affermato che "la legge statunitense Helms-Burton [che inasprisce l'embargo contro Cuba] non può in alcun modo avere applicazione extraterritoriale". Molto più duro il governo cittadino, che ha definito "discriminatorio" l'atteggiamento dei gestori dello Sheraton. E la responsabile della Delegación Cuauhtémoc (la zona della capitale dove sorge l'albergo) ha assicurato che esistono elementi sufficienti per imporre una multa e la chiusura temporanea dell'esercizio.

11 Febbraio

Haiti Tensione post elettorale

Sembrava già fatta per Rene Preval, candidato presidenziale super favorito ad Haiti. Nei giorni scorsi gli exit poll lo davano al 65 per cento delle preferenze. Oggi non è così. I dati che arrivano dall'isola parlano di una percentulale che si aggirerebbe intorno al 50.3. Dalle bidonville, intanto, si alzano i primi malumori e si vocifera su possibili brogli elettorali.

Elezioni, migliaia di persone in piazza per Préval

Sono circa 10mila le persone scese per le strade di Port-au-Prince ad Haiti per rivendicare la vittoria alle elezioni presidenziali dell'ex capo di stato René Préval. La protesta è scoppiata dopo che il Consiglio elettorale haitiano ha annunciato che Préval, candidato favorito nei quartieri popolari, non ha superato il 50% dei voti, quorum necessario per evitare il secondo turno di elezioni previsto per il 19 marzo. A causa delle agitazioni l'autorità elettorale ha annullato una conferenza stampa in cui dovevano essere annunciati i risulati delle elezioni.


20 gennaio

"In questo anno il governo Uribe ci ha incolpato di proibire la vendita di prodotti per noi illegali come per esempio il liquore. Quello che si vede oggi in San José sono cantine gestite dai paramilitari in convivenza con la polizia e la presa di case e terre da parte dei così detti smobilitati o meglio dire i legalizzati paramilitari. La polizia ha fatto molto bene il suo lavoro di proteggere i paramilitari in San José ed insieme ad essi sono arrivati i postriboli. La strada è in pessime condizioni, i blocchi si mantengono, il controllo sull' alimentazione è totale, la stessa realtà mostra le bugie del governo. Ma il suo cinismo non ha limiti a dispetto della realtà di morte e di sterminio alla quale ci ha condannati, il governo c'incolpa di questo dicendo semplicemente che fanno tutte le cose possibili ma che la comunità non collabora, è chiusa"

Un anno dopo il massacro della comunita' di pace di San Josè de Apartadò

Di Cristiano Morsolin per Selvas.org

16 Febbraio 2006

Il 21 febbraio di 2005 a Mulatos truppe militari hanno sequestrato, assassinato a colpi di machete alle 8 del mattino Luis Eduardo Guerra leader della comunità, la sua compagna Bellanira Areiza Guzman ed al figlio di Luis Eduardo, Deiner Andrés Guerra di 11 anni. La carovana della morte ha proseguito e lo stesso giorno alle 12:30 del mattino alla Resbalosa ha assassinato Alfonso Bolivar leader della comunità, la sua compagna Sandra Milena Muñoz i suoi figli Natalia Andrea di 5 anni di età, suo figlio Santiago di 18 mesi ed Alejandro Pérez. Numerosi testimoni segnalano l'esercito colombiano (nella fattispecie la Brigata 17) come responsabile di questo crimine contro l'umanità, tesi confermata da diverse commissioni d' indagine formate da giuristi internazionali che sono andati alla zona del massacro.

I rappresentanti della Comunità di pace di San Josè de Apartadò nel comunicato del 28 gennaio scorso denunciano che “dopo un anno lo Stato ci ha ingannato sulla sua famosa presenza che da nove anni di esistenza della comunità è stata sempre la stessa: sterminio e morte. A un anno dal massacro troviamo solo desolazione silenzio e desplazamiento nelle frazioni de La Nieves, Resbalosa, la Speranza, el Porvenir, desplazamiento attuale nella frazione Caraballo, attacchi indiscriminati contro le zone umanitarie di La Cristallina ed Arenas, l'assassinio dei due maggior liders della comunità Arlen Salas ed Edilberto Vasquez. Si sono messi sotto accusa i contadini, i leader della comunità; la morte, il silenzio delle tombe, la distruzione, il furto, la tortura, è quello che abbiamo vissuto in questo anno dopo il massacro. In questo anno il governo Uribe ci ha incolpato di proibire la vendita di prodotti per noi illegali come per esempio il liquore. Quello che si vede oggi in San José sono cantine gestite dai paramilitari in convivenza con la polizia e la presa di case e terre da parte dei così detti smobilitati o meglio dire i legalizzati paramilitari. La polizia ha fatto molto bene il suo lavoro di proteggere i paramilitari in San José ed insieme ad essi sono arrivati i postriboli. La strada è in pessime condizioni, i blocchi si mantengono, il controllo sull' alimentazione è totale, la stessa realtà mostra le bugie del governo. Ma il suo cinismo non ha limiti a dispetto della realtà di morte e di sterminio alla quale ci ha condannati, il governo c'incolpa di questo dicendo semplicemente che fanno tutte le cose possibili ma che la comunità non collabora, è chiusa”.

Quali interessi strategici?

Alfredo Molano, editorialista del settimanale EL ESPECTADOR un anno fa (il 12 marzo 2005) affermava che “le dichiarazioni del governo dopo il massacro di San José de Apartadó non lasciano spazio al benché minimo dubbio: le Comunità di Pace - ce ne sono circa dodici nel paese - saranno liquidate con la forza perché non può esistere un posto nel Paese in cui non sia ammessa la presenza dell'Esercito Nazionale". La stessa scusa era già stata usata in passato, così come il riferimento/accusa a repubbliche indipendenti, quando si trattava in realtà di comunità contadine composte da rifugiati interni. E' paradossale che uno stato così servile e inginocchiato come la Colombia - e in particolare dall'attuale presidenza Uribe - si appelli al concetto di sovranità mentre permette agli Stati Uniti di fare ciò che vogliono e quando vogliono. Ma la rivendicazione della sovranità nazionale in realtà ha un altro significato. Si tratta di una strategia diretta contro le comunità nere ancestrali, le aree contadine e le comunità che si oppongono alla guerra e allo sfruttamento guidato dagli interessi capitalistici di un esercito guidato dagli investimenti privati. Forse nel caso di San José c'è anche un'altra componente, essendo questa una delle poche comunità nella regione che non si è arresa ai paramilitari, che ha vietato le armi nel suo territorio e che si rifiuta di diventare scudo delle forze armate, qualsiasi sia la loro natura. Il sistema mira a diffondere il terrore affinché la popolazione scappi e il capitale, puro o impuro che sia, entri ad appropriarsi delle terre, del bestiame e delle strutture. Ma la questione va oltre. Dietro allo sgombero della popolazione c'è un piano ben preciso: la coltivazione su grande scala di palma africana.

Le comunità che dopo San José sono nella mira dell'esercito sono quelle sulle rive dei fiumi Cacarica, Salaqui, Jiguamiandó e Cubaradó, per le quali esiste un grande progetto che mira a sostituire i boschi naturali con piantagioni di palma, dette deserti verdi. Il danno ambientale, culturale e sociale è incalcolabile, ma i guadagni delle compagnie coltivatrici di palma saranno enormi: il terreno e il clima sono ideali e la gente, terrorizzata da paramilitari, militari e guerriglia, accetta qualsiasi salario. Queste sono due componenti fondamentali per il futuro dell'industria palmera in Colombia, che si vede costretta a competere con Malesia, Nuova Guinea, Indonesia, Tailandia e Nigeria. Infatti, i guadagni dipendono sempre di più dal basso prezzo della mano d'opera. Non solo, il prezzo dell'olio di palma tende ad abbassarsi nel mercato mondiale: nel 1950 una tonnellata costava 1800 dollari, oggi soltanto 300. Gli imprenditori della palma progettano di seminare 200.000 ettari soltanto nel Chocó, il che comporterebbe investimenti enormi in disboscamento, semina, vie di comunicazione, impianti di estrazione e raffinatrici. Molte di queste spese vengono pagate dalle compagnie stesse con i profitti della commercializzazione del legno e altri investimenti sono finanziati dallo stato. Il progetto prevede inoltre una cornice legale chiamata Legge Forestale, consistente in realtà in una legge che fornisce ogni sorta di garanzia agli investitori privati, di modo che siano liberi di saccheggiare boschi, comunità nere, indigene e contadine, eliminando gli ostacoli che si oppongono al libero gioco dell'interesse privato. La Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH- Corte Interamericana de Derechos Humanos) ha denunciato il fatto: dal 2001 la compagnia Urapalma S.A. ha promosso la semina della palma da olio in circa 1500 ettari appartenenti alle terre comunali di queste comunità con l'aiuto della protezione armata perimetrale e concentrica dell'esercito e di civili armati nelle loro fattorie e banche di semi. (Risoluzione CIDH, del 6 marzo 2003).

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18-02-2006 Fracaso en el combate a las drogas

Adital La oficina de las Naciones Unidas contra las Drogas y el Delito, Acción Social, y Parques Nacionales Naturales de Colombia (UNODC) divulgó esta semana, dos estudios sobre la situación del cultivo ilícito de droga en el país. El primero, Sembramos y ahora cosechamos: Somos familias guardabosques, presenta siete estudios de caso, conteniendo datos científicos y sociales del programa Familias Guardabosques, patrocinado por el gobierno colombiano.

Para Sandro Cavancanti, representante de la UNODC, esas declaraciones "son un testimonio de la urgencia de los colombianos por escapar del estigma del narcotráfico y de los cultivos ilícitos, pero también de la esperanza de contar con opciones alternativas y la búsqueda de productos legales, con mercados rentables para no depender de nuevo de la coca y de la amapola".

El segundo estudio, "Dinámica de los cultivos de coca en los Parques Naturales", muestra las áreas de Parques Nacionales que están siendo usadas para el cultivo de coca y los efectos destructivos de ese cultivo. De los 50 Parques Nacionales Naturales colombianos, 13 tienen cultivos de coca que sumados corresponden a 5.364 hectáreas de tierra.

El informe, divulgado por las Naciones Unidas, afirma que, en realidad, el impacto del cultivo alcanza un área mucho mayor que el de la plantación, pues "la utilización de químicos y otras substancias ajenas al bosque, además de la construcción de caminos, puentes y otras infraestructuras, perjudican a la naturaleza".

Y agregó que la tendencia de disminución de áreas cultivadas que se puede observar entre 2001 y 2004 (caída de 1.022 hectáreas), sufrió una inversión, y de 2004 al 2005, aumentó 803 hectáreas. A pesar de esta inversión, el UNODC celebra el hecho de que 35 municipios se hayan mantenidos lejos del cultivo de coca.

Los informes del UNODC van en contra de las declaraciones realizadas en el II Seminario Internacional sobre Persistencia de los Cultivos de Coca, Marihuana, Amapola: Fracaso de la Política Antidroga, que fue realizado, a comienzos de febrero, por las organizaciones Fensuagro (Federación Nacional Sindical Unitaria Agropecuaria), ONIC (Organización Nacional Indígena de Colombia), CPDH (Comité Permanente por los Derechos Humanos) y FENACOA (Federación Nacional de Cooperativas Agropecuarias). El objetivo de los organizadores era solucionar el problema de los países productores y consumidores.

En declaraciones a la prensa colombiana, Aidee Moreno, responsable del área de Derechos Humanos de la Fensuagro, dijo que "la política antidroga es un fracaso porque no se ofrecen alternativas a los campesinos y porque los cultivos no disminuyeron; no se ofrecen garantías para sembrar cultivos como la iuca (especie de mandioca), banana o maíz; no existen subsidios, vías de comunicación ni mercado, y por lo contrario, con la hoja de coca, los compradores van a buscar el producto donde están los cultivos. De donde se ve que esa política es un fracaso".

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LETTERA DEL SINALTRAINAL

ANCORA MINACCE CONTRO IL SINALTRAINAL

Palmira, 7 febbraio 2006

A: PANAMCO COLOMBIA Y/O COCA COLA FEMSA S.A.

c.a.: JUAN CARLOS JARAMILLO Presidente

Bogotá

Con profonda preoccupazione informiamo che il giorno sabato 4 febbraio 2006, il compagno Plutarco Vargas Roldan, dirigente della sezione del SINALTRAINAL di Bogotà e lavoratore della impresa di imbottigliamento della Coca-Cola in questa città, ha ricevuto un comunicato di minacce contro di lui e contro la sua famiglia, che è stato lasciato sotto alla porta di casa, il cui testo dice: "Tu avrai seri problemi. E’ meglio che non ci provochi perché un giorno di questi potrebbe accadere che non ci sarà più nessuno che ti salvi…abbiamo già una certa voglia… Ah, e occhio a tenere la bocca chiusa, perché tu già stai sotto tiro. Ok, “soldado avvisato, non muore in guerra”….”.

Questo accade subito dopo che l’impresa ha iniziato a promuovere la firma di documenti con cui i lavoratori, disconoscendo la realtà dei fatti, sostengano l’impresa e affermino che non viola i diritti umani. Inoltre l’impresa ha emesso dei comunicati con cui afferma la responsabilità di alcuni lavoratori che “la stanno calunniando e denunciando”.

Oltre a questo, il giorno 31 gennaio 2006, più o meno alle 4,30 di pomeriggio, di fronte all’impianto di Corferias nella città di Bogotà, dove veniva esibita la Coppa del Mondo della FIFA, diversi lavoratori dell’imbottigliatrice di Bogotà sono stati aggrediti verbalmente e fotografati da soggetti che indossavano uniformi e portavano cappelli della Coca-Cola – calzati abbastanza perché non fossero identificabili – , mentre stavano protestando per i problemi di cui siamo vittime. Questi individui hanno minacciato di chiamare la SIJIN perché prendesse i nomi di coloro che erano intenti in quell’attività e li passasse all’impresa per farli licenziare, poi hanno attraversato la strada per arrivare dove si trovavano i compagni e hanno cominciato a fotografare i presenti con un atteggiamento ostile e provocatorio.

Per tutto questo, dichiariamo responsabile l’impresa per la sicurezza e l’integrità fisica dei lavoratori, visto che a causa della campagna di pressione e disinformazione realizzata dall’impresa, si sono verificati tentativi di aggressione fisica contro nostri affiliati e siamo stati offesi a parole.

LUIS JAVIER CORREA SUÁREZ

Presidente della Giunta Direttiva Nazionale del SINALTRAINAL

Copie della lettera sono state inviate a: Fiscalia, Defensoria del Pueblo, Coca Cola Atlanta e Comité Ejeccutivo Nacional CUT

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Martedì 14 Febbraio 2006, 11:13

Coca Cola: Acquisito 100% Acqua Minerale Lilia

(ANSA) - MILANO, 14 FEB - Coca-Cola Hellenic Bottling Company (CCHBC) e The Coca-Cola Company (TCCC) hanno annunciato in data odierna di aver raggiunto l' accordo per l' acquisizione del 100% del Gruppo Traficante, produttore italiano di acqua minerale. Nell'acquisizione sono inclusi due stabilimenti di produzione nel Sud Italia nonché i marchi Lilia (acqua minerale naturale) e Lilia Kiss (acqua minerale gassata), marchi noti a livello nazionale. Il corrispettivo dell'operazione ammonta a 35 milioni di Euro, compreso il regolamento di alcuni obblighi finanziari della società ma esclusi i costi di acquisizione. Si prevede che l'operazione verrà perfezionata entro giugno 2006, tenendo conto dell'eventuale necessità di ottenere l'approvazione delle autorità competenti. Gianluca Carpiceci, amministratore delegato di Coca-Cola Italia, ha dichiarato: "Questa decisione conferma il nostro serio interesse a continuare a sviluppare in Italia investimenti strutturali e di lungo periodo. Fa parte della nostra strategia di offrire ai consumatori la più ampia scelta nell'area delle bevande non alcoliche. Ci consentirà, insieme alle innovazioni che stiamo introducendo nei segmenti dei soft drinks e delle bevande piatte, di soddisfare i nuovi trend che vedono aumentare la domanda di bevande a basso contenuto calorico". (ANSA).

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27 febbraio 2006

27-02-2006 Investigan el secuestro de 24 sindicalistas tras el golpe de Estado de 1976 Víctimas de la dictadura argentina acusan a Ford de "terrorismo empresarial"

Stella Calloni La Jornada Un abogado que representa a sindicalistas víctimas de la dictadura militar (1976-1983) interpuso hoy una doble demanda contra la empresa estadunidense Ford Motor Company, y su filial Ford en Argentina, en una causa que investiga el secuestro de integrantes de la comisión gremial interna de esa compañía el 24 de marzo de 1976.

En la misma causa se solicitó una orden de captura contra el ex presidente de la Ford argentina, el chileno Nicolás Enrique Courard, y otros ex ejecutivos como el ex gerente, Pedro Müller, y el entonces responsable de relaciones industriales, Guillermo Galárraga.

También están involucrados en la causa el ex jefe de seguridad, el militar Héctor Francisco Sibilla, y el ex director de la Escuela de Ingenieros, Antonio Francisco Molinari, todo ellos relacionados con la filial de Ford en General Pacheco, provincia de Buenos Aires.

El querellante es el delegado sindical de Ford, Pedro Norberto Troiani, víctima de la dictadura. Su abogado, Tomás Ojea Quintana, fue quien presentó la demanda.

Troiani fue secuestrado, al igual que sus compañeros, por las Fuerzas de Seguridad cuando se encontraban en la fábrica, y privados de su libertad en un improvisado centro de detención en terrenos de la misma planta, donde había un campo deportivo.

Según el relato de Troiani, él y los demás secuestrados fueron encapuchados "nos golpearon, sufrimos todo tipo de torturas, incluso con la picana eléctrica y hubo simulacros de fusilamientos".

En esa empresa, donde en su momento hubo más de 5 mil trabajadores, se fabricaban los autos Ford Falcon verde oliva, que las fuerzas de seguridad y grupos de tareas utilizaron para secuestros.

Veinticuatro delegados de la comisión interna y otros empleados secuestrados declararon que fueron identificados por sus captores por la fotografía del carnet de la empresa, y que los ejecutivos tenían estrecha relación con los militares.

La empresa está acusada de ejecutar un plan para castigar la actividad gremial. Mediante esta medida de "terrorismo empresarial" podían llevar a cabo despidos sin protestas del gremio. Según otro trabajador, Vicente Ismael Portillo, "las fuerzas militares utilizaron para nuestros secuestros medios suministrados por la empresa".

Una investigación similar se llevó a cabo contra la empresa alemana Mercedes Benz que comprobó lo que familiares y víctimas consideran una abierta colaboración de esas trasnacionales en el esquema de guerra sucia de la dictadura militar.

Esta acción ocurre a pocos días de que en Uruguay se identificó al coronel retirado, Eduardo Ferro, como uno de los asesinos de la joven María Claudia García de Gelman, nuera del poeta Juan Gelman, quien fue trasladada desde Argentina a Uruguay en la Operación Cóndor, en 1976.

Según investigadores , este y otros balnearios se convirtieron en un verdadero "refugio" de ex torturadores y criminales de la pasada dictadura en uruguaya (1973-1985).

Una investigación del periodista Roger Rodríguez, publicada en el periódico uruguayo La República, en 2002, reconstruye el secuestro de María Claudia, quien fue llevada embarazada a Uruguay, donde estuvo cautiva hasta que nació su hija, que fue entregada a la familia de un policía uruguayo.

Aún se buscan los restos de la mujer, los de su esposo Marcelo fueron hallados en Argentina. La hija del matrimonio fue localizada en 2000.

Ferro era gerente del Hotel Las Dunas de Manantiales, en Punta del Este, en el vecino país que funciona como refugio de ex militares de las dictaduras. Entre ellos figuran los coroneles retirados, José Baudean y Calixto de Armas. Se denunció que ambos estuvieron bajo las órdenes del coronel Regino Burgueño, quien estaría en Miami y habría tenido bajo su mando a militares clave en la Operación Cóndor, como José Nino Gavazzo, Manuel Cordero, Jorge Pajarito Silveira, Ricardo el turco Arab y, precisamente, Eduardo Ferro.

Este ex alumno de la Escuela de las Américas ha sido acusado de cumplir tareas del Organismo de Operaciones Antisubversivas (OCOA) desde 1975, y en el centro clandestino de detención y torturas ubicado en los fondos del Batallón 13 de Montevideo.

También cumplió órdenes en Argentina y está acusado de haber sido parte del comando conjunto que secuestró el 12 de noviembre de 1978 en Porto Alegre, Brasil, al matrimonio uruguayo de Lilián Celiberti y Universindo Rodríguez Díaz junto a dos hijos de la joven. El matrimonio sobrevivió gracias a organismos de derechos humanos de Brasil.

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26-02-2006 Y entonces, ¿me pongo de nuevo la capucha?

Carlos Aurelio Bozzi Rebelión

Cercanos ya los 30 años del golpe militar algo no funciona en el tema de los derechos humanos. Aun quienes llevan años de lucha en este terreno no han podido instalar en la sociedad la conciencia generalizada de que la práctica de la desaparición forzada de personas, fue efectuada principalmente por funcionarios públicos, como son los cuadros profesionales de las Fuerzas Armadas y de Seguridad, todos integrantes de un solo ente jurídico que no es otro que el "Estado Argentino".

Ignorar a esta altura de los tiempos que los crímenes de la década del 70 se montaron sobre una estructura semi-pública de aprehensión de personas y un sistema clandestino de juzgamiento y eliminación de las mismas con la anuencia de influyentes sectores de la sociedad, es evadir la realidad

Este diagrama de la muerte se diseñó como una POLITICA DE ESTADO, método que por una parte buscó ocultar los hechos, mientras que por otra registraba minuciosa y administrativamente todo detalle de cada asesinato.

"Reticentemente (lo menos posible), con una ineficiencia que mezcla sabiamente estupidez y formalidad (lo genérico y consecuentemente inútil para la diferenciación se repite como una ceremonia, los rasgos distintivos se ignoran, se esconden, se entierran), ciego, sordo y mudo a lo que no debía ver, oír o decir, pero tampoco pudiendo dejar de registrar, el Estado burocrático escribió, a su manera, la historia", identificando de un modo u otro a sus victimas . (¿Qué significa Identificar". Articulo de Maco Somigliana y Dario Olmo.- Equipo Argentino de Antropología Forense.)-

Y así, responsable único de esta historia, el ESTADO, el de ayer como el de hoy, sea quien fuere el que se encuentre al frente de su administración, va evadiendo lentamente su obligación de brindar y poner al alcance de todos, los elementos necesarios e imprescindibles para que miles de argentinos reconstruyan su historia.

Es que con el tiempo ciertas habilidades de la sociedad políticas provocaron desviaciones. El propósito de la represión fue impedir la reconstrucción de los acontecimientos, privar la posibilidad del recuerdo, intento que el poder jurídico estatal debió haber abortado definitivamente, pero continua reticiente a hacerlo.

Por el contrario, a través de su brazo político el Estado sancionó leyes mediante las cuales otorgó impunidad a los represores tarifando posteriormente el dolor del secuestro, la tortura y la muerte. Estas normas fueron excusa para que la justicia no se expidiera sobre la responsabilidad del plan estatal de represión, retrasándose años la búsqueda de la verdad..

Beneficiados mayormente quienes sufrieron largos cautiverios, olvidando una reparación igualitaria para aquellos que fueron secuestrados, apaleados y torturados por cuatro, cinco o diez días y vieron también frustado su proyecto de vida, perdieron sus trabajos, debieron migrar a otras ciudades del país o quedar señalados para siempre como "subversivo suelto", sin importar la suerte corrida tras su minicalvario, la historia se habia difundido por otras voces.....

En tanto a través de las distintas administraciones políticas gran cantidad de afectados por los hechos de terrorismo fue ocupando puestos públicos mientras y otros desempeñándose en oficios radiales, gráficos y televisivos, monopolizaron con un criterio diferente la dilucidación final de la suerte de todos los perjudicados, en un intento de silenciar la memoria o al menos buscarle una interpretación distinta.

Apagados los ecos de la Conadep la misión posterior recayó administrativamente sobre la Secretaria de Derechos Humanos de la Nación sobre cuya tarea no pueden emitirse comentarios favorables por la desatención a los casos comunes, a los hechos sin prensa ni tapa rimbombante. En el recuerdo están aún las víctimas del Norte y del Sur, del Este y del Oeste, de la localidad chica, del pueblo, de la aldea.......y de todos aquellos a los que el temor les privò de la posibilidad de poder explicar su calvario......

Los Juicios por la Verdad impulsados a partir de 1999 trajeron el aire fresco que avivó nuevamente un fuego de esperanza... Pero como siempre, el escollo fue el Estado. Sin los datos en su poder, no es posible superar el manto de neblina que rodea todo el proceso, aún por más cantidad de represores que se encuentren detenidos o procesados.

No es bastante, en realidad casi nada: "Se resuelven algunas causas, se descabezan algunas cúpulas militares, se ceden campos de concentracion para conservacion de la memoria" .(" Nuestros Hijos no desaparecieron para siempre" Carta de una Madre de Santa Fe). Pero nunca se llega a la verdad total de los hechos.

Y entonces, la pregunta es : ¿ Hasta cuando...?:

" Hoy pienso que los monstruos que hoy por su edad están en sus domicilios disfrutando de la compañía de sus hijos, de sus nietos, que por humanidad y edad gozan de este privilegio... yo me pregunto, en dos meses voy a cumplir 75 años y abrazando a todas las madres y padres que estarán en estas edades, pienso por qué no tenemos también por humanidad el privilegio de que se nos diga la verdad.

Por qué no podemos gozar también nosotros de un privilegio sobre el destino de nuestros queridos hijos y nietos. Y cuántos de estos padres se han quedado en el camino por el dolor de la tremenda pérdida de no poder abrazar más ni saber de sus seres tan queridos... se pueden hacer listas de tantos padres y madres, mi esposo falleció al año y dos meses de la desaparición de mi hija y tantos nombres para decir...

Hoy oigo pasos en la escalera y aún me digo "y si fuera"; pero también está la necesidad cada vez más grande de saber qué fue de ella, dónde está lo que pudo quedar de ella, por eso les pido ayuda a todos... ....Le pido ayuda a todos por favor, ayudenme a saber, a encontrar. Nada más." (Testimonio de Eva Fanjul de Sanllorenti, por la desaparación de María Eugenia Sanllorenti. La Plata 23 de Febrero de 2000.)

La realidad es una sola. Esto tiene nombre y apellido y no se soluciona con excusas ni discursos llenos de pretextos. Solo se necesitan datos, fechas, registros, anotaciones, documentos, resoluciones secretas y públicas, nómina de pilotos militares en el periodo 1976 a 1982, listado de todos los conscriptos clase 1955 a 1958, etc... todo lo que tiene el Estado y no da... y quizás sabe muy bien porqué lo niega u oculta.

La verdad también es una sola: toda dependencia de las Fuerzas de Seguridad en la década del 70 fue un centro clandestino de detención... Cuartel, unidad naval, escuadrón, comisarias provinciales, unidades federales, dependencias de bomberos y miles de establecimientos estatales más.

El Estado no solo educó a estos funcionarios, sino que también los entrenó y les brindó asistencia espiritual, además de proporcionarles todos los recursos posibles para que procedieran como lo hicieron. ( ¿Y los seguirá educando actualmente de la misma forma?)

La mayoría de los integrantes de esas fuerzas participaron de la represión y los que se opusieron fueron separadas de sus cuadros, cuando no asesinados y menos aún reivindicados por gobiernos democráticos posteriores.

Por eso la memoria debe reconstruirse con todos los datos, no con algunos. Preguntarse "que historia contar" implica insertar la historia de estos crímenes en cualquier proyecto político ajeno ala VERDAD que se busca. No es un proceder legítimo.

Los desaparecido se sabe quienes son, pero el Estado debe dar cuenta de lo acontecido, porque al fin de cuentas fue el autor de la acción y conoce el destino de cada uno. Aun no se han brindado todos los datos precisos de los desaparecedores, muchos de estos le prestaron servicios después del gobierno militar, hasta que la misma asociación política los fue descartando a medida que no le eran útiles.

"La coexistencia en los espacios institucionales con los ex represores" sería "el precio de la paz" , llegó a decir hace un tiempo una destacada funcionaria de la Subsecretaría de Derechos Humanos. Toda una definicion.

"Soplan brisas de democracia que borran las heridas del tiempo, te pusiste a pensar lo que pasa por la mente y por el cuerpo de aquel que viaja solo para gritar lo que ocurrió entonces." ("Yo te escribo Hebe desde las celdas..."Carta de exdetenida-desaparecida en el Pozo de Quilmes/Banfield.)

"Y tu cabeza está llena de ratas. Te compraste las acciones de esta farsa y el tiempo no para.Yo veo el futuro repetir el pasado, veo un museo de grandes novedades y el tiempo no para, no para." (Bersuit Vergarabat)

A esta altura de los tiempos, a treinta años, la situación de incertidumbre se perpetua en un estado de cosas angustiante para los familiares. A los hijos los mataron, con ellos esto no será necesario: se están muriendo solos.

Someter a los asesinados a una nueva desaparición es tan imperdonable como la acción de quienes fueron sus ejecutores primarios. Desaparecieron sus cuerpos, acallaron sus ideas y en camino se está por asesinar su memoria.

Alguien quizás les llegue a exigir testigos de su propia muerte o se los volverá a juzgar y mientras se los sigue investigando, colocarles nuevamente la capucha. ¿Hasta cuando se va a seguir declarando, hasta cuando más pruebas? ¿Es difícil entender que cada día que pasa es un siglo?

Pero esta, como siempre, será una tarea de la sociedad y como tal, si el conjunto no es convencido del significado de este HORROR, poco más se podrá lograr, continuándose relativizando todo hecho vinculado con la impunidad, la corrupción y la muerte. Hace un tiempo alguien escribió: "Los crimines contra la humanidad siempre son crímenes de la humanidad. Perpetrados por ella". Y no es fácil para ninguna comunidad ver de frente sus propios monstruos. No hay que olvidar esto.

Se extenderán los homenajes con las consabidas placas recordatorias, se reiterará el relato truculento, el libro del recuerdo, el reportaje oportuno, la falsa confesión y así, pero la verdad nunca más verá la luz y quién sabe si tantas ausencias no queden impunes.

Imposible revertir este largo silencio sin el esfuerzo de toda la sociedad, porque de lo otro ya dice la canción: "No existe más iluso que el iluso que aún espere que la mano se la de el que lo gobierne" . (Fantasía y Realidad.-Callejeros).-

*Articulo Publicado en "La Retórica".

Publicacion de la "Asociacion de Abogados y Procuradores de San José"

Diario Regional. Lomas de Zamora.Pcia.Bs.As.

Carlos A.Bozzi es Abogado. Sobreviviente de La Noche de las Corbatas. Carlosbozzi@hotmail.com

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27-02-2006 Frei Betto rompe el silencio. Entrevista

Mario Augusto Jacobskind Brecha

“Hoy el Norte es el Sur. Es aquí en América Latina donde la democracia está dando un salto de calidad. Fatigado con el neoliberalismo, el electorado vota gobiernos populares, que la derecha caracteriza como populistas”

Carlos Alberto Libânio Christo, frei Betto, participa activamente en la política brasileña en los últimos 40 años. Acaba de lanzar su libro número 43, en el que hace una reflexión crítica del gobierno de Luiz Inácio Lula da Silva. En entrevista exclusiva para BRECHA realizada por Mario Augusto Jacobskind, Frei Betto hace una evaluación crítica de su participación como asesor especial del presidente.

ES UNO DE LOS MÁS destacados activistas en favor de las luchas populares: comenzó su andadura militante en el movimiento estudiantil de los sesenta en grupos católicos que luchaban contra la dictadura instalada en abril de 1964 que derribó al presidente João Goulart; pasó cuatro años en prisión y a fines de los años setenta se acercó al líder sindical Luiz Inácio Lula da Silva, de quien se convirtió en amigo y compadre, colaborando en la fundación del Partido de los Trabajadores (PT). Con la elección de Lula, frei Betto pasó a ejercer como asesor especial del presidente y como coordinador de movilización social del programa Hambre Cero. Después de 687 días decidió abandonar el cargo, a fines de 2004, por discrepar con la política económica del actual gobierno, “más favorable al gran capital y poco sintonizado con la deuda social que, en Brasil, es enorme”.

Periodista y escritor consagrado, el fraile dominico escribe casi diariamente para varios periódicos brasileños, y acaba de editar Mosca azul, una reflexión sobre el gobierno de Lula y el comportamiento político del núcleo dirigente del PT. Básicamente, frei Betto discrepa con la posición actual del partido que contribuyó a fundar, hace 26 años, porque la cúpula dejó en segundo plano los ideales que llevaron al PT a convertirse en el mayor partido político de la izquierda de América Latina.

En esta entrevista frei Betto muestra que, a pesar de los pesares, el PT aún tiene condiciones para cambiar, o sea para superar la práctica política oportunista que en su opinión ha llevado adelante el llamado Campo Mayoritario, y retornar a sus orígenes para continuar siendo “el canal de las transformaciones sociales y la expresión político-partidaria de las aspiraciones de los más pobres”. Envió “un cariñoso abrazo a ese pueblo [uruguayo] tan combatiente y querido”, y explicó por qué votará nuevamente a Lula, ya que espera que “el PT no repita la película que terminó en tragedia ética”.

¿Cuál es el significado de Mosca azul?

Mosca azul trata del poder, la mayor de las tentaciones humanas. Recorro los clásicos: Platón, Aristóteles, Maquiavelo, Montaigne, Hanna Arendt, Robert Michels. Intento diagnosticar el proceso histórico que llevó al PT al gobierno de Brasil y las causas de su involucramiento en procesos antiéticos. Analizo la crisis de la izquierda brasileña, su tendencia a cambiar un proyecto de nación por un proyecto electoral, y enfatizo en la importancia de gobernar en sintonía con los movimientos populares, condición de una democracia real.

Durante 687 días usted participó en el gobierno de Lula como asesor especial de la Presidencia y decidió abandonar el cargo. ¿Qué sucedió?

Dejé el gobierno para retomar mi actividad literaria. La mosca azul no me picó. Y también por discrepar con la política económica, más favorable al gran capital y poco sintonizada con la deuda social que, en Brasil, es enorme.

Si el gobierno cambiara su rumbo, decidiendo cumplir al menos una parte de las promesas de la campaña electoral, ¿volvería a ocupar el cargo al que renunció?

El gobierno de Lula hace una política externa soberana e independiente; políticas sociales avanzadas como Hambre Cero, Bolsa Familia, el microcrédito, la valorización de la agricultura familiar; una importante reforma educativa, etcétera. Por lo tanto cumple en parte lo que prometió en la campaña. Faltan las reformas agraria, política, tributaria y laboral. Y la reforma previsional no me agrada, porque es onerosa para los jubilados. Aunque fuera el gobierno de mis sueños jamás volvería. Dos años en el poder público fueron suficientes para constatar que aquel no es mi lugar. Prefiero actuar en la base, junto a los movimientos populares.

El PT ha cumplido 26 años. Hubo una fiesta en la que Lula, según la prensa, prácticamente perdonó a todos los que cometieron deslices y fueron objeto de denuncias de corrupción. ¿Qué piensa de eso?

Creo que el PT aún le debe al país una investigación rigurosa de todo lo que sucedió. La cuestión no es inculpar personas sino investigar responsabilidades.

¿Cree que el PT terminó, como partido transformador de la realidad brasileña, o aún tiene chances de rescatar las banderas que lo convirtieron en el mayor partido de la izquierda de América Latina?

Una de las tendencias del PT, el Campo Mayoritario –que ahora no es más hegemónica en la dirección del partido– se dejó picar por la mosca azul. Es lo que analizo en mi libro. Pero el PT es mucho más que esa corriente. Tiene 860 mil afiliados. Creo que el PT puede recuperarse, porque jamás sobrevivirá como un partido socialdemócrata. Si no es el canal de las transformaciones sociales y la expresión político-partidaria de los más pobres, el PT no tendrá futuro, o quedará como el PTB (partido laborista liderado por Leonel Brizola), un partido de alquiler, completamente desfigurado respecto de sus orígenes políticos e históricos.

Se aproxima una elección presidencial y una campaña con características salvajes, o sea con acusaciones mutuas entre el PT y el PSDB/pfl, con parte de la opinión pública encontrando que ambos tienen razón. Usted ha dicho que va a votar por Lula, pero ¿va a participar en la campaña por la reelección de Lula, aun si repite las alianzas con partidos conservadores y de derecha?

Votaré a Lula, pero espero que su campaña presente un proyecto consistente de cambios sociales y, sobre todo, una política económica vinculada a las demandas sociales y no a la inversa. En Mosca azul analizo cómo los partidos que hacen alianzas espurias acaban siendo víctimas de sus adversarios históricos que se muestran como compañeros ocasionales. Espero que el PT no repita la película que terminó en tragedia ética.

¿Cree que las transformaciones que Brasil necesita para mejorar las condiciones de vida de la gente pasan sólo por la vía institucional?

También abordo ese tema en el libro. No hay condiciones para cambios por vías no institucionales. Pero tampoco habrá avances sin el fortalecimiento del movimiento, de la sociedad civil organizada. Un poder necesita siempre la contraposición de otro poder, porque en caso contrario comete abusos y desvíos. Es ese poder popular el objeto de mi libro y el sujeto de la democracia real.

¿Cree que un eventual segundo mandato de Lula tendrá condiciones para cumplir las promesas de la campaña, desvinculándose del capital financiero y realizando una política económica con otros moldes que la actual?

Va a depender de la presión de los movimientos sociales. El gobierno sólo responde a las presiones. Si el gobierno se mantiene desvinculado de sus bases populares, es posible que se repita esa contradicción de un programa social avanzado contenido por una política económica conservadora, para la cual la responsabilidad fiscal no debe tener como contrapartida la responsabilidad social.

Algunos analistas han dicho que el gobierno de Lula estaría viviendo una gran contradicción entre su política exterior y la interior, pero que en algún momento el gobierno deberá optar.

Las contradicciones son muchas, como ocurrió con François Mitterrand en Francia y, a mi modo de ver, ocurrirá con Michele Bachelet en Chile. Hoy los partidos socialdemócratas como el PSDB son de hecho conservadores, retrógrados, y los de izquierda, como el PT, el PCB, son socialdemócratas. De izquierda son Fidel Castro, Hugo Chávez y, espero, Evo Morales. Tabaré Vázquez y Lula caminan sobre el filo de la navaja.

Usted está acompañando los acontecimientos en América Latina, la elección de Morales, el avance de la revolución bolivariana, los avances de los movimientos populares en Ecuador, Perú y Nicaragua, entre otros, y la moderación de ciertos gobiernos como en Uruguay. ¿Cómo analiza el cuadro actual en el continente?

Hoy el Norte es el Sur. Es aquí en América Latina donde la democracia está dando un salto de calidad. Fatigado con el neoliberalismo, el electorado vota gobiernos populares, que la derecha caracteriza como populistas. Es claro que la coyuntura no siempre permite que lo deseable se torne posible. Pero creo que hay avances considerables, como el rescate del MERCOSUR y el entendimiento entre los gobiernos de la región. El desafío es que el movimiento social aumente su poder para forzar a los gobiernos populares a ser coherentes con sus programas de campaña.

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Roma, 21 febbraio 2006

Oggetto: Commissione d’inchiesta sulla Coca-Cola in Colombia

Il 7 novembre 2005, a seguito della presa di posizione contraria al passaggio della torcia olimpica espressa dai presidenti dei Municipi X e XI del Comune di Roma, la Coca Cola, nella persona di Nicola Raffa, Responsabile relazioni esterne della multinazionale, si è impegnata a consentire una commissione di inchiesta indipendente presso i suoi impianti di imbottigliamento in Colombia, nel mese di marzo 2006.

L’accordo è stato sottoscritto dal Sindaco di Roma Walter Veltroni, dall’Assessore al Bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri, dai Presidenti dei Municipi X e XI Sandro Medici e Massimiliano Smeriglio.

A distanza di tre mesi, il 7 febbraio 2006, la Ragione Lazio e il Municipio XI hanno avviato la trattativa con Coca Cola per definire i dettagli della commissione.

Visto l’approssimarsi della scadenza e i tempi tecnici necessari per costituire una commissione di alto profilo, alla luce del fatto che ad oggi non è dato conoscere gli sviluppi della trattativa, esprimiamo la nostra preoccupazione e chiediamo ai firmatari dell’accordo se intendano confermare gli impegni presi al fine di verificare le violazioni ai diritti umani denunciate dal sindacato colombiano SINALTRAINAL e dai lavoratori della Coca Cola.

Confermiamo la nostra disponibilità a prendere parte ad una commissione che sia realmente in grado di rispondere alla richiesta di verità e giustizia dei lavoratori e della società civile che li accompagna in tutto il mondo, e che in Italia li ha accompagnati contestando lo sponsor della fiaccola olimpica.

In attesa di cortese e pronto riscontro, vi salutiamo cordialmente.

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gennaio-febbraio_06 (last edited 2008-06-26 09:51:13 by anonymous)