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G.R. 10,30

PALESTINA Gerusalemme, né Hamas né Jihad fra i 350 palestinesi liberati Non saranno liberati per ora membri di Hamas e della Jihad Islamica in mano di Israele. Lo ha deciso stamane, secondo quanto ha riferito la radio pubblica, la commissione interministeriale israeliana sui prigionieri palestinesi a conclusione della seduta che ha tenuto a Gerusalemme in cui ha deciso l'esatto numero dei detenuti - 350 - da scarcerare e i tempi della loro liberazione. Secondo l'emittente la decisione di non liberare membri di Hamas e della Jihad Islamica è stata motivata col fatto che ciò non rientra nei parametri prima stabiliti dal governo per decidere quali prigionieri liberare. La questione dovrà perciò essere rinviata al governo per decidere una revisione dei criteri. La commissione si riunirà di nuovo dopo il ritorno del premier Ariel Sharon dagli Stati Uniti, alla fine della prossima settimana. I palestinesi chiedono la liberazione di un numero molto più grande di detenuti, inclusi membri di Hamas e della Jihad Islamica, e di partecipare alla scelta di quelli che riavranno la libertà. IRAQ Mossul, soldato Usa ucciso in esplosione Un soldato americano è morto e altri sei sono rimasti feriti nell'esplosione di una mina o di una bomba presso Mossul, nel nord dell'Iraq. Lo ha annunciato un portavoce militare americano.

GUANTANAMO Gli Stati Uniti hanno assicurato che non chiederanno la pena di morte per i due detenuti britannici rinchiusi nella base di Guantanamo, accusati di appartenere ad Al Qaeda. Lo ha rivelato il ministro della Giustizia britannico, Lord Goldsmith, precisando che, a seguito dell'incontro della settimana scorsa tra il presidente americano George W. Bush e il premier britannico Tony Blair, è stato deciso che Moazzem Begg, 35 anni, e Feroz Abbasi, 23, non saranno condannati a morte se giudicati colpevoli. I due cittadini britannici fanno parte del gruppo di primi sei detenuti che verranno processati da un tribunale militare. Entrambi, si legge in una dichiarazione di Lord Goldsmith diffusa a Washington, "saranno adeguatamente rappresentati" da un avvocato civile americano e da uno britannico, che avrà il ruolo di consulente. Nella base navale di Guantanamo si trovano circa 600 prigionieri di 42 Paesi diversi, tutti catturati durante la guerra in Afghanistan: alcuni di loro, detenuti da 18 mesi, non hanno mai potuto parlare con un avvocato e contro di loro non è stata ancora formulata alcuna accusa specifica

LIBERIA Ancora una giornata di combattimenti quella di ieri nella capitale liberiana Monrovia, dove la situazione umanitaria è stata definita “terrificante” da un portavoce di un’agenzia delle Nazioni Unite. Mentre resta incerto il bilancio delle vittime dei violenti bombardamenti in corso da cinque giorni – circa 600 secondo il ministro della difesa liberiano Daniel Chea, un centinaio i morti e 300 i feriti stando a fonti ospedaliere e di organizzazioni umanitarie – appare chiaro che l’arrivo dei peacekeeper africani non avverrà nei tempi stretti richiesti dall’Onu e dalla popolazione ormai disperata di Monrovia. Un portavoce del presidente nigeriano Olusegun Obasanjo ha dichiarato che le truppe del contingente di pace dell’Africa Occidentale, che dovrebbe essere guidato dalla Nigeria, saranno dispiegate solo dopo il raggiungimento di una tregua. Un’ipotesi che ieri è sembrata allontanarsi di nuovo dopo che i due gruppi ribelli in lotta contro il presidente Charles Taylor, il Lurd (Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia) e il Model (Movimento per la democrazia in Liberia) hanno dichiarato di non voler firmare la bozza dell’accordo di pace. Intanto tutti gli occhi sono puntati su Washington, in attesa che il presidente statunitense George W. Bush sciolga le riserva sulla possibilità di contribuire alla forza multinazionale africana. Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca, ha tuttavia dichiarato che l’amministrazione Usa continua a lavorare “attivamente” con l’Onu e l’Ecowas per trovare una soluzione alla guerra civile liberiana

MESSICO - CHIAPAS L'Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) ha preannunciato una serie di cambiamenti nella sua organizzazione interna e nei rapporti con la società civile nazionale ed internazionale, che saranno comunicati nei prossimi giorni, rilanciando al contempo “la resistenza come sua principale forma di lotta”. In un comunicato siglato dal ‘subcomandante’ Marcos, il movimento sollevatosi in armi nel 1994 in Chiapas attacca “la globalizzazione del potere, entrata nella sua fase più aggressiva, facendo della guerra militare la sua arma principale di dominazione. L’aggressione contro l’Iraq non solo ha evidenziato la vera vocazione distruttiva della globalizzazione ma ha anche provocato il più vasto rifiuto a livello mondiale della storia dell’umanità”. La nota punta quindi il dito contro l’intera classe politica messicana “che ha tradito le speranze di milioni di cittadini di vedere riconosciuti costituzionalmente i diritti e la cultura dei popoli indigeni del Messico”.

gror.030723 (last edited 2008-06-26 09:53:43 by anonymous)