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Firenze - Gruppo di lavoro permanente sul carcere, 24 agosto 2004
Vista l’accesa discussione che si è scatenata negli ultimi giorni sui fatti di Regina Coeli crediamo doveroso far sentire anche la nostra voce. Dobbiamo da una parte esprimere la nostra piena e totale solidarietà ai detenuti che hanno attuato la protesta, dall’altra tentare una riflessione sullo "stupore" generalizzato per una protesta non-pacifica.
In realtà ci si dovrebbe stupire sul fatto che episodi come quello di Roma non accadano giornalmente ed in tutte le carceri italiane viste le attuali condizioni di non-vita Negli ultimi quattro anni i detenuti italiani hanno effettuato decine di proteste pacifiche (molto spesso in accordo con la direzione) con il risultato di non vedere accolta neanche una delle loro rivendicazioni ma, anzi, di vedersi anche beffare con il cosiddetto "indultino" con il quale si mistifica la rimessa in libertà di 5600 detenuti.
I (pochi) difensori di questo aborto legislativo si scordano di dire che, essendo i requisiti per l’indultino più restrittivi di quelli di altre misure alternative come - ad esempio - l’affidamento, essi avrebbero potuto tranquillamente uscire con tali misure. Anzi è significativo che molti abbiano accettato un regime di fatto più penalizzante (firma giornaliera, possibilità di revoca per cinque anni a prescindere dalla durata del residuo pena, ecc) invece delle normali misure, segno inequivocabile che quest’ultime vengono concesse con sempre maggior difficoltà.
La trasversale criminalizzazione dei fatti di Regina Coeli segue il copione consolidato per cui è lecito rivendicare i propri diritti, ma solo nei modi e con le regole che il sistema stesso stabilisce in modo che, salva una parvenza di democrazia, la rivendicazione stessa sia del tutto inefficace (il parallelo con gli autoferrotranvieri non è assolutamente casuale).
Illusi, derisi, abbandonati a loro stessi e costretti a vivere (?) in quattro o cinque in loculi di pochi metri quadri per 21 ore al giorno, senza assistenza sanitaria, con un vitto del valore di 1,58 euro al giorno per colazione pranzo e cena, esposti a malattie, condizioni igieniche inesistenti, soprusi e umiliazioni (molto spesso anche pestaggi).
In questo quadro non stupisce affatto che anche il maggior deterrente (insieme all’immancabile repressione interna) a vere e proprie rivolte e cioè l’accesso a misure alternative previste dalla legge Gozzini (pur con un iniquo criterio di premialità) possa venire meno giacché tale accesso è sempre più virtuale che reale. In tale contesto invitiamo tutte le forze impegnate sul fronte carcere, oltre a manifestare la propria solidarietà ai detenuti "ribelli", anche a partecipare fisicamente al processo che (sic) verrà celebrato nei loro confronti, come atto tangibile d’appoggio alle loro giuste rivendicazioni. A quanti poi attribuiscono la degenerazione delle carceri esclusivamente all’attuale ministro della giustizia - sul quale non ci pronunciamo, visto che a dimostrare la sua assoluta incapacità ed inadeguatezza ci pensa benissimo da solo - ricordiamo che le cause legislative dell’incremento del numero di detenuti dai 25.000 del ‘90 agli attuali 57.000 sono state tutte varate dal centrosinistra: legge sull’immigrazione, legge Craxi – Jervolino – Vassali sulle tossicodipendenze per non parlare dell’ignobile pacchetto giustizia che ha portato, tra l’altro, il minimo della pena per un semplice furto da sei mesi a tre anni. Così come sempre più settori della sinistra appoggiano in pieno la cosiddetta politica della "restituzione del danno", sventolandola come progressista quando invece nel suo significato intrinseco ci riporta indietro di almeno vent’anni al concetto di pena come espiazione e riparazione nei confronti di una società perfetta alla quale non si può attribuire nessuna correlazione con il reato, atto di pura devianza individuale.
Tale concezione oscurantista era stata in qualche modo superata dall’introduzione della Gozzini che, pur con i suoi evidenti limiti, riconosceva un aspetto sociale del reato e quindi dell’esecuzione penale. In merito agli interventi da attuare per dare delle risposte concrete alla crescente disperazione dei detenuti, noi siamo convinti che esista una sola strada: un indulto vero e generalizzato per sanare una situazione d’illegalità nella quale versa ormai da anni l’Amministrazione Penitenziaria ma accompagnato da misure politiche senza le quali avrebbe un effetto solo temporaneo.
Tra esse crediamo prioritarie: una maggiore applicazione delle misure alternative previste per legge, anche creando le condizioni per cui non vengono concesse (di solito l’impossibilità di trovare un lavoro e/o un’abitazione); l’abolizione del "pacchetto giustizia" per riportare i limiti di pena ad una dimensione reale; una seria politica di depenalizzazione dei reati minori ed in particolare quelli legati ad immigrazione e tossicodipendenza. A questo proposito invitiamo tutti a partecipare alle due grosse manifestazioni nazionali su immigrazione e tossicodipendenza in programma a Roma nel prossimo autunno.


Roma One, 24 agosto 2004
Delegazione di assessori comunali e consiglieri regionali al penitenziario di Regina Coeli. Più istruzione e l’attivazione dei corsi di formazione professionale sono le richieste dei detenuti. Luigi Nieri: "Sarà istituita una commissione che avrà il compito di verificare i progressi"
I detenuti del carcere di Regina Coeli non chiedono un’amnistia, ma che il penitenziario sia un’istituzione che consenta un percorso di reinserimento nel tessuto sociale. Questa è la richiesta che una rappresentanza di carcerati, dopo le proteste dei giorni scorsi ha girato all’assessore alle politiche del lavoro capitolino, Luigi Nieri, venuto oggi a visitare la casa circondariale insieme agli assessori regionali Loredana Mezzabotta e Clemente Ruggiero.
"I detenuti - ha spiegato Nieri - hanno sollevato il problema dell’istruzione, con la richiesta di poter istituire una scuola media all’interno del penitenziari e l’attivazione di corsi di formazione professionali. Il Comune e la Regione - prosegue l’assessore - si serviranno, per raggiungere questi obbiettivi, del centro di orientamento al lavoro". Problemi e soluzioni saranno discussi da una commissione che dovrà incontrare mensilmente i carcerati. È stata la volontà ad ascoltare i problemi dei carcerati quella che ha determinato la fine delle proteste.
I politici hanno assicurato che si batteranno perché i lavori di ristrutturazione della quarta sezione, quella più deteriorata, dove ci sono state le proteste più accese, inizino al più presto.
L’importanza di un continuo dialogo tra istituzioni e detenuti è stato ribadito anche dal consigliere regionale dell’Udeur, Clemente Ruggiero: "Il rapporto continuo - dice il consigliere - con i detenuti è l’unica via che può funzionare per reintegrare i detenuti.Gli strumenti, che il Comune di Roma deve utilizzare, sono i corsi professionali e una stretta collaborazione con le aziende per il reinserimento dei carcerati nel mondo del lavoro".
Ma il lavoro fuori dal carcere aiuterebbe anche a risolvere i problemi del sovraffollamento: "Le carceri sono sovraffollate proprio perché vengono lasciati nelle galere persone che non dovrebbero esserci e perché non si sfruttano le politiche di detenzione alternativa"
RomaOne.it ha chiesto all’assessore Nieri quali sono le cause del problema della mancanza di personale nelle carceri, lamentato nei giorni scorsi da più parti. "Per le carceri - dice Nieri - si investe poco. Non è solo un problema di carenza di guardie carcerarie, ma anche di una serie di figure come sociologi e psicologi, fondamentali per il reinserimento delle persone".
I detenuti hanno bisogno di sentire le istituzioni vicino, e "non è un caso - dice il consigliere Mezzabotta - che la protesta sia esplosa in estate quando la politica si distrae dai problemi".
Il Comune di Roma, attraverso il sistema delle borse lavoro, un istituto di politica sociale, troverà lavoro per quei detenuti ancora non giudicati definitivamente. I permessi saranno concessi direttamente dal direttore del penitenziario, con un iter più breve di quello attuale.
La mancanza di personale è forte anche nel settore sanitario del carcere. "La Regione Lazio - spiega la Mezzabotta - dovrà risolvere il problema della mancanza di addetti, soprattutto nella sezione dei tossicodipendenti. La nostra proposta è di mettere a disposizione del carcere dei dipendenti delle Asl di zona".
In ultimo abbiamo chiesto al consigliere Loredana Mezzabotta qual è la situazione delle detenute che hanno dei figli in custodia nel penitenziario. "La situazione - risponde - è drammatica.
Bisognerebbe applicare una legge che già esiste: questa prevede la possibilità per le detenute madri con figli fino a 10 anni d’età e che hanno commesso reati minori di poter scontare la pena al proprio domicilio. . Il problema della sua non applicazione riguarda soprattutto le straniere, dal momento che le italiane possono contare su una rete di protezione familiare estesa. Bisognerebbe prendere ad esempio il quinto municipio che mette a disposizione una casa di accoglienza, ma la triste realtà è che mancano i fondi per progetti come questi e quella del quinto municipio rimane, purtroppo, l’unico esempio in Italia".
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Lettera di Vallanzasca ai media: "Vorrei tornare a vivere"
TG Com, 24 agosto 2004
"Vorrei ritornare a vivere". Questo, in sintesi, quanto scritto da Renato Vallanzasca, in carcere da 32 anni, in una lettera inviata ai media. "Ritornare a vivere era un’opportunità a cui forse avevo rinunciato, è una speranza che cercherò di coltivare. Ho ucciso, ho rapinato, sequestrato, mai con cattiveria o odio verso gli altri... Ho cercato di fuggire e ci sono riuscito, ma il mio desiderio di libertà era forse soffocato da me stesso".
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Social Press, 24 agosto 2004
È tragico che ogni anno, in estate, "esplodano" le carceri italiane. Ancora più drammatica la fermezza con la quale il Ministro Castelli vieta in questi giorni l’ingresso nelle carceri ai parlamentari, additando proprio in questi i "responsabili" delle rivolte.
In carcere si sta male e si muore. Le associazioni e i singoli che lavorano a stretto contatto con gli istituti penitenziari ogni anno presentano alla stampa e al pubblico dei dossier da brivido, come il recente "Così si muore in galera - 2° Rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane" di Luigi Manconi, Andrea Boraschi ed Elina Lo Voi dell’associazione "A Buon Diritto".
Il dossier fa emergere un "profilo medio" del detenuto che si toglie la vita: per lo più giovane, in attesa di giudizio, con un curriculum criminale recente, con capi d’imputazione relativamente poco gravi e con poche settimane di detenzione alle spalle. Dal dossier citato: "Nelle carceri sembra esistere un rapporto inversamente proporzionale tra "speranza di libertà" e propensione al suicidio: ci si uccide molto di più tra quanti, per posizione giuridica, età, permanenza detentiva, potrebbero sperare in una reclusione breve o relativamente breve; o tra quanti potrebbero attendere, espiata la pena, un "ritorno" alla società". 500 detenuti, il 50% sotto i 40 anni, hanno perso la vita, uno ogni due giorni, tra il 2001 ed il 2003, anno in cui i suicidi sono stati 65, tra cui due minorenni. È questa la realtà dei 205 istituti penitenziari dove vivono in condizioni precarie 56.578 detenuti, 14.360 in più del limite previsto dalla capienza regolamentare.
Si muore anche di malattia in carcere, non solo per suicidio, e spesso per malattie che, all’esterno degli istituti di pena, sono perfettamente curabili. Il meccanismo è diabolico. Per alcune patologie la legge stabilisce l’incompatibilità con il regime carcerario: chi è gravemente malato non dovrebbe stare in carcere. Le persone spesso rimangono però all’interno degli istituti di pena provvisti di "Centri Clinici", strutture che dovrebbero provvedere alle cure ma che sono però inadeguate, perché vi manca tutto.
Accade così che detenuti con l’Aids, l’epatite, gravi insufficienze renali o tubercolosi, muoiano perché questi Centri non sono provvisti di medicine che sono invece facilmente somministrate da ospedali o farmacie. Oppure succede anche che questi detenuti si suicidino per non poter o non voler più tollerare la propria condizione. La morte di queste persone è fortemente paragonabile all’ingiustizia delle morti per Aids o malaria che si verificano nei Paesi più poveri del mondo, così come veniva poco tempo fa denunciato dalle associazioni che lavorano sul diritto alla salute (cfr. "L’Africa in zona Magenta" ).
Il carcere come luogo dell’esclusione sociale. Lo conferma l’alta percentuale di detenuti stranieri. I dati elaborati dall’associazione Antigone mostrano che gli italiani in carcere hanno un numero medio di imputazioni superiore a quello degli stranieri, mentre l’associazione A Buon Diritto ci informa che "gli stranieri vanno in carcere e ci rimangono più a lungo degli italiani non solo perché - percentualmente - "delinquono con maggiore frequenza" (anche per evidenti ragioni economiche, sociali e ambientali); ma soprattutto perché "pagano" difficoltà linguistiche e di comunicazione, scarsa conoscenza del sistema giuridico e una minor tutela delle garanzie di difesa. Basti pensare al ricorso alla custodia cautelare; tra gli stranieri, il 60% è composto da detenuti in attesa di giudizio, mentre tra gli italiani il dato scende al di sotto del 40%". Continua il dossier: "infine, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere degli stranieri è mediamente assai più lunga di quella degli italiani, sia in fase di custodia cautelare che dopo la sentenza".
Di notevole interesse, per approfondire le notizie dal e sul carcere, il sito dell’associazione Ristretti Orizzonti, "Pagine di cultura e informazione dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena Femminile della Giudecca realizzate da detenuti, detenute, operatori volontari", al sito www.ristretti.it. Nelle pagine della rassegna stampa, in relazione ai fatti di questo ultimo agosto, Ristretti Orizzonti dà spazio all’ennesimo dibattito sull’amnistia e l’indulto.
Tema scottante e delicato, spesso utilizzato come tema di propaganda politica dai diversi partiti, quando, come sempre accade, rischia semplicemente di far nascere false speranze all’interno della popolazione detenuta. Il sito ospita un altro dossier sulle morti in carcere, aggiornato ogni mese e utilizzato peraltro come fonte importante anche nel lavoro di Luigi Manconi. Tra le pagine anche una serie di "storie" di morti e suicidi. Dodici morti solo nel luglio 2004.
"Bisogna difendere il diritto ad essere inadeguati!" così affermava perentoriamente qualche tempo fa Luigi Ciotti. Lo sguardo lucido del presidente del Gruppo Abele parlava delle ingiustizie del qui ed ora. Di un pezzo d’Italia, il carcere appunto, paragonabile ai luoghi più poveri e disperati del pianeta.
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Salerno: sciopero della fame, aderiscono in 100
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Napoli: Poggioreale, ecco i primi focolai di protesta...
Il Mattino, 24 agosto 2004
La protesta dei detenuti arriva anche a Poggioreale. Facile prevederlo, il sovraffollamento e le condizioni disagiate dei carcerati hanno provocato forti proteste della maggioranza dei detenuti nella serata di domenica. Centro delle lamentele il padiglione Livorno, che ospita duecento persone, dove in serata alcuni detenuti hanno inscenato la battitura, ovvero la gavetta sbattuta contro le inferriate della cella. In più in molti hanno fatto per un giorno uno sciopero della fame, non ritirando il vitto del carcere. Infine sono state incendiate alcune lenzuola poi buttate dai finestroni del padiglione.
Alle proteste avrebbe partecipato l’85 per cento degli oltre 1800 detenuti del carcere di Poggioreale. Situazione rientrata dopo qualche ora. La protesta è stata fatta - come avvenuto in altri istituti penitenziari italiani, a iniziare da Regina Coeli - anche per denunciare il problema sovraffollamento
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Salerno: medico sotto accusa per suicidio di un detenuto
La Città di Salerno, 24 agosto 2004
Altri dieci giorni di cella e sarebbe tornato in libertà. Ma la paura - o meglio, l’angoscia - di poter essere riarrestato, lo spinsero ad uccidersi in carcere. Una morte - quella del 31enne di Giffoni Valle Piana, Antonio Rinaldi - per la quale fu indagato il dottor Giovanni Di Cunzolo, responsabile sanitario della casa circondariale di Fuorni.
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Suicidi, rivolte, affollamento: il dramma delle carceri italiane
di Monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani delle carceri
Famiglia Cristiana, 24 agosto 2004
Sono stato cappellano del carcere milanese di San Vittore per 41 anni: di uomini detenuti morti ne ho visti tanti, troppi. Ogni volta nasceva in me un senso di sgomento, oltre che di dolore, e mi chiedevo se avessi fatto tutto quello che andava fatto per impedire quella morte e se la struttura avesse fatto tutto il possibile. Perché chi ha commesso reati, per quanto gravi siano, è sempre un uomo, e lo Stato, che ha dovuto togliergli la libertà fisica e lo ha in custodia, ha il dovere di proteggere la sua vita.
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La situazione nelle carceri italiane
Premessa
L’elaborazione che segue è stata fatta sui dati aggiornati al 30 giugno 2004 e resi pubblici sul sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it). I dati originari sono stati eleborati da: Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Quest’anno, a differenza delle statistiche semestrali pubblicate in precedenza, l’unico dato disponibile è quello delle presenze Istituto per Istituto, con un riepilogo nazionale nel quale sinanche le addizioni sono sbagliate.
Quanti sono i detenuti in Italia?
Secondo il quadro di sintesi diffuso dal Ministero della Giustizia in Italia ci sarebbero 56.532 detenuti di cui 2.660 donne e 53.872 uomini. In realtà andando a vedere nel dettaglio i dati, istituto per istituto, si ha un totale di: 56.440 detenuti di cui 2.660 donne e 53.780 uomini
La posizione giuridica dei detenuti
Il Ministero della Giustizia ha diffuso il dato alla posizione giuridica dei detenuti al 31 dicembre del 2003. Dai dati al 30 giugno 2004 disponibili non è possibile ricostruire la posizione giuridica sul dato reale di 56.440 detenuti ma solo su quello errato di 56.532 detenuti che risulta essere.
Sono in attesa di giudizio: 20.151 detenuti pari al 35,65% di cui 1.046 donne (39,32%); e 19.105 uomini (35,46%) hanno subito una condanna definitiva; 36.381 detenuti pari al 64.35%, di cui 1.614 donne (60,68%) e 34.767 uomini (64,54%).
Il sovraffollamento
I dati relativi alla capienza di ciascun istituto al 30 giugno 2004 comprendono due parametri: quello della "capienza regolamentare" e quello dei "detenuti presenti". Quest’anno è stato omesso un dato che l’anno scorso era invece presente e che è un parametro in uso, quello della "capienza tollerabile". Dall’analisi dei dati relativi ai 201 istituti risulta che: complessivamente i posti disponibili sono 42.313; i detenuti presenti 56.440 con un indice di affollamento del 133.39%; per le 2.660 detenute vi sono 2.167 posti disponibili (101,64%); per i 56.440 detenuti vi sono 42.313 posti disponibili (135,48%).
Il sovraffollamento reale
Per quanto la situazione complessiva non sia delle migliori, almeno dal punto di vista matematico, infatti ogni 3 posti disponibili vi sono 4 detenuti presenti, già questo dato inserito nel contesto reale della maggior parte delle strutture, assume un significato molto diverso da quello che il dato matematico può rappresentare.
Ma tra la situazione complessiva e il dato relativo a ciascun istituto la situazione assume dei connotati a dir poco vergognosi. Per le loro caratteristiche intrinseche abbiamo analizzato il sovraffollamento reale a partire da tre grandi gruppi: gli ospedali psichiatrici giudiziari; gli istituti e/o le sezioni maschili; gli istituti e/o le sezioni femminili.
Ma è solo analizzando Istituto per Istituto che si può avere un quadro reale della situazione nelle carceri italiane, almeno dal punto di vista dell’affollamento.
Gli Ospedali Pschiatrici Giudiziari (Opg)
Su 6 Istituti e 8 sezioni, di cui 6 maschili e 2 femminili, emerge che una delle sezioni femminili che ha una capienza regolamentare di 9 posti è vuota, quella dell’istituto di Reggio Emilia. Vi è quindi una sola sezione femminile in funzione, quella dell’istituto di Castiglione delle Stiviere (MN) che ha una capienza regolamentare di 80 posti e in cui le detenute presenti sono 79. Delle 6 sezioni maschili, in due c’è un numero di detenuti presente che è inferiore al numero dei posti disponibili [istituti di Castiglione delle Stiviere (MN) e Barcellona Pozzo di Gozzo (ME)]. Nelle 4 sezioni sovraffollate [istituti di Napoli Sant’Eframo (NA), Aversa Saporito (CE), Montelupo Fiorentino (FI) e Reggio Emilia] vi sono complessivamente 579 posti disponibili e 686 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 118,48%. La situazione più grave è quella della sezione maschile dell’istituto di Reggio Emilia: 140 posti disponibili e 194 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 138,57%.
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Firenze - Gruppo di lavoro permanente sul carcere, 24 agosto 2004
Vista l’accesa discussione che si è scatenata negli ultimi giorni sui fatti di Regina Coeli crediamo doveroso far sentire anche la nostra voce. Dobbiamo da una parte esprimere la nostra piena e totale solidarietà ai detenuti che hanno attuato la protesta, dall’altra tentare una riflessione sullo "stupore" generalizzato per una protesta non-pacifica.
In realtà ci si dovrebbe stupire sul fatto che episodi come quello di Roma non accadano giornalmente ed in tutte le carceri italiane viste le attuali condizioni di non-vita Negli ultimi quattro anni i detenuti italiani hanno effettuato decine di proteste pacifiche (molto spesso in accordo con la direzione) con il risultato di non vedere accolta neanche una delle loro rivendicazioni ma, anzi, di vedersi anche beffare con il cosiddetto "indultino" con il quale si mistifica la rimessa in libertà di 5600 detenuti.
I (pochi) difensori di questo aborto legislativo si scordano di dire che, essendo i requisiti per l’indultino più restrittivi di quelli di altre misure alternative come - ad esempio - l’affidamento, essi avrebbero potuto tranquillamente uscire con tali misure. Anzi è significativo che molti abbiano accettato un regime di fatto più penalizzante (firma giornaliera, possibilità di revoca per cinque anni a prescindere dalla durata del residuo pena, ecc) invece delle normali misure, segno inequivocabile che quest’ultime vengono concesse con sempre maggior difficoltà.
La trasversale criminalizzazione dei fatti di Regina Coeli segue il copione consolidato per cui è lecito rivendicare i propri diritti, ma solo nei modi e con le regole che il sistema stesso stabilisce in modo che, salva una parvenza di democrazia, la rivendicazione stessa sia del tutto inefficace (il parallelo con gli autoferrotranvieri non è assolutamente casuale).
Illusi, derisi, abbandonati a loro stessi e costretti a vivere (?) in quattro o cinque in loculi di pochi metri quadri per 21 ore al giorno, senza assistenza sanitaria, con un vitto del valore di 1,58 euro al giorno per colazione pranzo e cena, esposti a malattie, condizioni igieniche inesistenti, soprusi e umiliazioni (molto spesso anche pestaggi).
In questo quadro non stupisce affatto che anche il maggior deterrente (insieme all’immancabile repressione interna) a vere e proprie rivolte e cioè l’accesso a misure alternative previste dalla legge Gozzini (pur con un iniquo criterio di premialità) possa venire meno giacché tale accesso è sempre più virtuale che reale. In tale contesto invitiamo tutte le forze impegnate sul fronte carcere, oltre a manifestare la propria solidarietà ai detenuti "ribelli", anche a partecipare fisicamente al processo che (sic) verrà celebrato nei loro confronti, come atto tangibile d’appoggio alle loro giuste rivendicazioni. A quanti poi attribuiscono la degenerazione delle carceri esclusivamente all’attuale ministro della giustizia - sul quale non ci pronunciamo, visto che a dimostrare la sua assoluta incapacità ed inadeguatezza ci pensa benissimo da solo - ricordiamo che le cause legislative dell’incremento del numero di detenuti dai 25.000 del ‘90 agli attuali 57.000 sono state tutte varate dal centrosinistra: legge sull’immigrazione, legge Craxi – Jervolino – Vassali sulle tossicodipendenze per non parlare dell’ignobile pacchetto giustizia che ha portato, tra l’altro, il minimo della pena per un semplice furto da sei mesi a tre anni. Così come sempre più settori della sinistra appoggiano in pieno la cosiddetta politica della "restituzione del danno", sventolandola come progressista quando invece nel suo significato intrinseco ci riporta indietro di almeno vent’anni al concetto di pena come espiazione e riparazione nei confronti di una società perfetta alla quale non si può attribuire nessuna correlazione con il reato, atto di pura devianza individuale.
Tale concezione oscurantista era stata in qualche modo superata dall’introduzione della Gozzini che, pur con i suoi evidenti limiti, riconosceva un aspetto sociale del reato e quindi dell’esecuzione penale. In merito agli interventi da attuare per dare delle risposte concrete alla crescente disperazione dei detenuti, noi siamo convinti che esista una sola strada: un indulto vero e generalizzato per sanare una situazione d’illegalità nella quale versa ormai da anni l’Amministrazione Penitenziaria ma accompagnato da misure politiche senza le quali avrebbe un effetto solo temporaneo.
Tra esse crediamo prioritarie: una maggiore applicazione delle misure alternative previste per legge, anche creando le condizioni per cui non vengono concesse (di solito l’impossibilità di trovare un lavoro e/o un’abitazione); l’abolizione del "pacchetto giustizia" per riportare i limiti di pena ad una dimensione reale; una seria politica di depenalizzazione dei reati minori ed in particolare quelli legati ad immigrazione e tossicodipendenza. A questo proposito invitiamo tutti a partecipare alle due grosse manifestazioni nazionali su immigrazione e tossicodipendenza in programma a Roma nel prossimo autunno.


Roma One, 24 agosto 2004
Delegazione di assessori comunali e consiglieri regionali al penitenziario di Regina Coeli. Più istruzione e l’attivazione dei corsi di formazione professionale sono le richieste dei detenuti. Luigi Nieri: "Sarà istituita una commissione che avrà il compito di verificare i progressi"
I detenuti del carcere di Regina Coeli non chiedono un’amnistia, ma che il penitenziario sia un’istituzione che consenta un percorso di reinserimento nel tessuto sociale. Questa è la richiesta che una rappresentanza di carcerati, dopo le proteste dei giorni scorsi ha girato all’assessore alle politiche del lavoro capitolino, Luigi Nieri, venuto oggi a visitare la casa circondariale insieme agli assessori regionali Loredana Mezzabotta e Clemente Ruggiero.
"I detenuti - ha spiegato Nieri - hanno sollevato il problema dell’istruzione, con la richiesta di poter istituire una scuola media all’interno del penitenziari e l’attivazione di corsi di formazione professionali. Il Comune e la Regione - prosegue l’assessore - si serviranno, per raggiungere questi obbiettivi, del centro di orientamento al lavoro". Problemi e soluzioni saranno discussi da una commissione che dovrà incontrare mensilmente i carcerati. È stata la volontà ad ascoltare i problemi dei carcerati quella che ha determinato la fine delle proteste.
I politici hanno assicurato che si batteranno perché i lavori di ristrutturazione della quarta sezione, quella più deteriorata, dove ci sono state le proteste più accese, inizino al più presto.
L’importanza di un continuo dialogo tra istituzioni e detenuti è stato ribadito anche dal consigliere regionale dell’Udeur, Clemente Ruggiero: "Il rapporto continuo - dice il consigliere - con i detenuti è l’unica via che può funzionare per reintegrare i detenuti.Gli strumenti, che il Comune di Roma deve utilizzare, sono i corsi professionali e una stretta collaborazione con le aziende per il reinserimento dei carcerati nel mondo del lavoro".
Ma il lavoro fuori dal carcere aiuterebbe anche a risolvere i problemi del sovraffollamento: "Le carceri sono sovraffollate proprio perché vengono lasciati nelle galere persone che non dovrebbero esserci e perché non si sfruttano le politiche di detenzione alternativa"
RomaOne.it ha chiesto all’assessore Nieri quali sono le cause del problema della mancanza di personale nelle carceri, lamentato nei giorni scorsi da più parti. "Per le carceri - dice Nieri - si investe poco. Non è solo un problema di carenza di guardie carcerarie, ma anche di una serie di figure come sociologi e psicologi, fondamentali per il reinserimento delle persone".
I detenuti hanno bisogno di sentire le istituzioni vicino, e "non è un caso - dice il consigliere Mezzabotta - che la protesta sia esplosa in estate quando la politica si distrae dai problemi".
Il Comune di Roma, attraverso il sistema delle borse lavoro, un istituto di politica sociale, troverà lavoro per quei detenuti ancora non giudicati definitivamente. I permessi saranno concessi direttamente dal direttore del penitenziario, con un iter più breve di quello attuale.
La mancanza di personale è forte anche nel settore sanitario del carcere. "La Regione Lazio - spiega la Mezzabotta - dovrà risolvere il problema della mancanza di addetti, soprattutto nella sezione dei tossicodipendenti. La nostra proposta è di mettere a disposizione del carcere dei dipendenti delle Asl di zona".
In ultimo abbiamo chiesto al consigliere Loredana Mezzabotta qual è la situazione delle detenute che hanno dei figli in custodia nel penitenziario. "La situazione - risponde - è drammatica.
Bisognerebbe applicare una legge che già esiste: questa prevede la possibilità per le detenute madri con figli fino a 10 anni d’età e che hanno commesso reati minori di poter scontare la pena al proprio domicilio. . Il problema della sua non applicazione riguarda soprattutto le straniere, dal momento che le italiane possono contare su una rete di protezione familiare estesa. Bisognerebbe prendere ad esempio il quinto municipio che mette a disposizione una casa di accoglienza, ma la triste realtà è che mancano i fondi per progetti come questi e quella del quinto municipio rimane, purtroppo, l’unico esempio in Italia".


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Lettera di Vallanzasca ai media: "Vorrei tornare a vivere"
TG Com, 24 agosto 2004
"Vorrei ritornare a vivere". Questo, in sintesi, quanto scritto da Renato Vallanzasca, in carcere da 32 anni, in una lettera inviata ai media. "Ritornare a vivere era un’opportunità a cui forse avevo rinunciato, è una speranza che cercherò di coltivare. Ho ucciso, ho rapinato, sequestrato, mai con cattiveria o odio verso gli altri... Ho cercato di fuggire e ci sono riuscito, ma il mio desiderio di libertà era forse soffocato da me stesso".


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Social Press, 24 agosto 2004
È tragico che ogni anno, in estate, "esplodano" le carceri italiane. Ancora più drammatica la fermezza con la quale il Ministro Castelli vieta in questi giorni l’ingresso nelle carceri ai parlamentari, additando proprio in questi i "responsabili" delle rivolte.
In carcere si sta male e si muore. Le associazioni e i singoli che lavorano a stretto contatto con gli istituti penitenziari ogni anno presentano alla stampa e al pubblico dei dossier da brivido, come il recente "Così si muore in galera - 2° Rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane" di Luigi Manconi, Andrea Boraschi ed Elina Lo Voi dell’associazione "A Buon Diritto".
Il dossier fa emergere un "profilo medio" del detenuto che si toglie la vita: per lo più giovane, in attesa di giudizio, con un curriculum criminale recente, con capi d’imputazione relativamente poco gravi e con poche settimane di detenzione alle spalle. Dal dossier citato: "Nelle carceri sembra esistere un rapporto inversamente proporzionale tra "speranza di libertà" e propensione al suicidio: ci si uccide molto di più tra quanti, per posizione giuridica, età, permanenza detentiva, potrebbero sperare in una reclusione breve o relativamente breve; o tra quanti potrebbero attendere, espiata la pena, un "ritorno" alla società". 500 detenuti, il 50% sotto i 40 anni, hanno perso la vita, uno ogni due giorni, tra il 2001 ed il 2003, anno in cui i suicidi sono stati 65, tra cui due minorenni. È questa la realtà dei 205 istituti penitenziari dove vivono in condizioni precarie 56.578 detenuti, 14.360 in più del limite previsto dalla capienza regolamentare.
Si muore anche di malattia in carcere, non solo per suicidio, e spesso per malattie che, all’esterno degli istituti di pena, sono perfettamente curabili. Il meccanismo è diabolico. Per alcune patologie la legge stabilisce l’incompatibilità con il regime carcerario: chi è gravemente malato non dovrebbe stare in carcere. Le persone spesso rimangono però all’interno degli istituti di pena provvisti di "Centri Clinici", strutture che dovrebbero provvedere alle cure ma che sono però inadeguate, perché vi manca tutto.
Accade così che detenuti con l’Aids, l’epatite, gravi insufficienze renali o tubercolosi, muoiano perché questi Centri non sono provvisti di medicine che sono invece facilmente somministrate da ospedali o farmacie. Oppure succede anche che questi detenuti si suicidino per non poter o non voler più tollerare la propria condizione. La morte di queste persone è fortemente paragonabile all’ingiustizia delle morti per Aids o malaria che si verificano nei Paesi più poveri del mondo, così come veniva poco tempo fa denunciato dalle associazioni che lavorano sul diritto alla salute (cfr. "L’Africa in zona Magenta" ).
Il carcere come luogo dell’esclusione sociale. Lo conferma l’alta percentuale di detenuti stranieri. I dati elaborati dall’associazione Antigone mostrano che gli italiani in carcere hanno un numero medio di imputazioni superiore a quello degli stranieri, mentre l’associazione A Buon Diritto ci informa che "gli stranieri vanno in carcere e ci rimangono più a lungo degli italiani non solo perché - percentualmente - "delinquono con maggiore frequenza" (anche per evidenti ragioni economiche, sociali e ambientali); ma soprattutto perché "pagano" difficoltà linguistiche e di comunicazione, scarsa conoscenza del sistema giuridico e una minor tutela delle garanzie di difesa. Basti pensare al ricorso alla custodia cautelare; tra gli stranieri, il 60% è composto da detenuti in attesa di giudizio, mentre tra gli italiani il dato scende al di sotto del 40%". Continua il dossier: "infine, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere degli stranieri è mediamente assai più lunga di quella degli italiani, sia in fase di custodia cautelare che dopo la sentenza".
Di notevole interesse, per approfondire le notizie dal e sul carcere, il sito dell’associazione Ristretti Orizzonti, "Pagine di cultura e informazione dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena Femminile della Giudecca realizzate da detenuti, detenute, operatori volontari", al sito www.ristretti.it. Nelle pagine della rassegna stampa, in relazione ai fatti di questo ultimo agosto, Ristretti Orizzonti dà spazio all’ennesimo dibattito sull’amnistia e l’indulto.
Tema scottante e delicato, spesso utilizzato come tema di propaganda politica dai diversi partiti, quando, come sempre accade, rischia semplicemente di far nascere false speranze all’interno della popolazione detenuta. Il sito ospita un altro dossier sulle morti in carcere, aggiornato ogni mese e utilizzato peraltro come fonte importante anche nel lavoro di Luigi Manconi. Tra le pagine anche una serie di "storie" di morti e suicidi. Dodici morti solo nel luglio 2004.
"Bisogna difendere il diritto ad essere inadeguati!" così affermava perentoriamente qualche tempo fa Luigi Ciotti. Lo sguardo lucido del presidente del Gruppo Abele parlava delle ingiustizie del qui ed ora. Di un pezzo d’Italia, il carcere appunto, paragonabile ai luoghi più poveri e disperati del pianeta.


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Salerno: sciopero della fame, aderiscono in 100
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Napoli: Poggioreale, ecco i primi focolai di protesta...
Il Mattino, 24 agosto 2004
La protesta dei detenuti arriva anche a Poggioreale. Facile prevederlo, il sovraffollamento e le condizioni disagiate dei carcerati hanno provocato forti proteste della maggioranza dei detenuti nella serata di domenica. Centro delle lamentele il padiglione Livorno, che ospita duecento persone, dove in serata alcuni detenuti hanno inscenato la battitura, ovvero la gavetta sbattuta contro le inferriate della cella. In più in molti hanno fatto per un giorno uno sciopero della fame, non ritirando il vitto del carcere. Infine sono state incendiate alcune lenzuola poi buttate dai finestroni del padiglione.
Alle proteste avrebbe partecipato l’85 per cento degli oltre 1800 detenuti del carcere di Poggioreale. Situazione rientrata dopo qualche ora. La protesta è stata fatta - come avvenuto in altri istituti penitenziari italiani, a iniziare da Regina Coeli - anche per denunciare il problema sovraffollamento

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Salerno: medico sotto accusa per suicidio di un detenuto
La Città di Salerno, 24 agosto 2004
Altri dieci giorni di cella e sarebbe tornato in libertà. Ma la paura - o meglio, l’angoscia - di poter essere riarrestato, lo spinsero ad uccidersi in carcere. Una morte - quella del 31enne di Giffoni Valle Piana, Antonio Rinaldi - per la quale fu indagato il dottor Giovanni Di Cunzolo, responsabile sanitario della casa circondariale di Fuorni.

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Suicidi, rivolte, affollamento: il dramma delle carceri italiane
di Monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani delle carceri
Famiglia Cristiana, 24 agosto 2004
Sono stato cappellano del carcere milanese di San Vittore per 41 anni: di uomini detenuti morti ne ho visti tanti, troppi. Ogni volta nasceva in me un senso di sgomento, oltre che di dolore, e mi chiedevo se avessi fatto tutto quello che andava fatto per impedire quella morte e se la struttura avesse fatto tutto il possibile. Perché chi ha commesso reati, per quanto gravi siano, è sempre un uomo, e lo Stato, che ha dovuto togliergli la libertà fisica e lo ha in custodia, ha il dovere di proteggere la sua vita.

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La situazione nelle carceri italiane
Premessa
L’elaborazione che segue è stata fatta sui dati aggiornati al 30 giugno 2004 e resi pubblici sul sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it). I dati originari sono stati eleborati da: Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Quest’anno, a differenza delle statistiche semestrali pubblicate in precedenza, l’unico dato disponibile è quello delle presenze Istituto per Istituto, con un riepilogo nazionale nel quale sinanche le addizioni sono sbagliate.
Quanti sono i detenuti in Italia?
Secondo il quadro di sintesi diffuso dal Ministero della Giustizia in Italia ci sarebbero 56.532 detenuti di cui 2.660 donne e 53.872 uomini. In realtà andando a vedere nel dettaglio i dati, istituto per istituto, si ha un totale di: 56.440 detenuti di cui 2.660 donne e 53.780 uomini
La posizione giuridica dei detenuti
Il Ministero della Giustizia ha diffuso il dato alla posizione giuridica dei detenuti al 31 dicembre del 2003. Dai dati al 30 giugno 2004 disponibili non è possibile ricostruire la posizione giuridica sul dato reale di 56.440 detenuti ma solo su quello errato di 56.532 detenuti che risulta essere.
Sono in attesa di giudizio: 20.151 detenuti pari al 35,65% di cui 1.046 donne (39,32%); e 19.105 uomini (35,46%) hanno subito una condanna definitiva; 36.381 detenuti pari al 64.35%, di cui 1.614 donne (60,68%) e 34.767 uomini (64,54%).
Il sovraffollamento
I dati relativi alla capienza di ciascun istituto al 30 giugno 2004 comprendono due parametri: quello della "capienza regolamentare" e quello dei "detenuti presenti". Quest’anno è stato omesso un dato che l’anno scorso era invece presente e che è un parametro in uso, quello della "capienza tollerabile". Dall’analisi dei dati relativi ai 201 istituti risulta che: complessivamente i posti disponibili sono 42.313; i detenuti presenti 56.440 con un indice di affollamento del 133.39%; per le 2.660 detenute vi sono 2.167 posti disponibili (101,64%); per i 56.440 detenuti vi sono 42.313 posti disponibili (135,48%).
Il sovraffollamento reale
Per quanto la situazione complessiva non sia delle migliori, almeno dal punto di vista matematico, infatti ogni 3 posti disponibili vi sono 4 detenuti presenti, già questo dato inserito nel contesto reale della maggior parte delle strutture, assume un significato molto diverso da quello che il dato matematico può rappresentare.
Ma tra la situazione complessiva e il dato relativo a ciascun istituto la situazione assume dei connotati a dir poco vergognosi. Per le loro caratteristiche intrinseche abbiamo analizzato il sovraffollamento reale a partire da tre grandi gruppi: gli ospedali psichiatrici giudiziari; gli istituti e/o le sezioni maschili; gli istituti e/o le sezioni femminili.
Ma è solo analizzando Istituto per Istituto che si può avere un quadro reale della situazione nelle carceri italiane, almeno dal punto di vista dell’affollamento.
Gli Ospedali Pschiatrici Giudiziari (Opg)
Su 6 Istituti e 8 sezioni, di cui 6 maschili e 2 femminili, emerge che una delle sezioni femminili che ha una capienza regolamentare di 9 posti è vuota, quella dell’istituto di Reggio Emilia. Vi è quindi una sola sezione femminile in funzione, quella dell’istituto di Castiglione delle Stiviere (MN) che ha una capienza regolamentare di 80 posti e in cui le detenute presenti sono 79. Delle 6 sezioni maschili, in due c’è un numero di detenuti presente che è inferiore al numero dei posti disponibili [istituti di Castiglione delle Stiviere (MN) e Barcellona Pozzo di Gozzo (ME)]. Nelle 4 sezioni sovraffollate [istituti di Napoli Sant’Eframo (NA), Aversa Saporito (CE), Montelupo Fiorentino (FI) e Reggio Emilia] vi sono complessivamente 579 posti disponibili e 686 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 118,48%. La situazione più grave è quella della sezione maschile dell’istituto di Reggio Emilia: 140 posti disponibili e 194 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 138,57%.

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IRAQ

Le forze americane e irachene hanno oggi ulteriormente stretto l'assedio attorno alla moschea di Najaf, mentre Moqtada Sadr ha esortato i suoi seguaci in tutto il Paese a compiere una marcia verso la citta' santa, cosi' come, con toni diversi, ha fatto il grande ayatollah Ali Sistani, massima autorita' religiosa sciita irachena, che e' da poche ore tornato a sorpresa in Iraq da Londra ed e' diretto proprio a Najaf. Le forze Usa hanno reso noto di non aver ancora lanciato l'assalto finale, ma i mezzi blindati americani si trovano ormai a una ventina di metri dall'entrata della moschea al cui interno sorge il mausoleo dell'imam Ali. I miliziani hanno reagito incendiando alcune barricate, mentre tiratori scelti statunitensi hanno aperto il fuoco contro tutti gli ingressi della moschea, che sono quindi stati sbarrati dai miliziani. Allo stesso tempo, due missili sparati da un aereo americano sono caduti a pochi metri dalla moschea, scuotendola fino alle fondamenta e mandando in frantumi molti vetri dell'edificio. Poco dopo, si e' diffusa la notizia del ritorno del grande ayatollah Sistani. Uno dei suoi consiglieri, Ahmad al Khaffaf, ha anche lanciato a suo nome un appello dalla Tv al Arabiya a tutti gli iracheni affinche' marcino su Najaf. Khaffaf ha anche espresso amarezza perche' il sacro mausoleo e' stato insudiciato e violato, in una apparente critica ai miliziani di Sadr e alle forze americane, e ha poi affermato che una iniziativa sara' annunciata quando arriveremo alle porte della citta' santa. Poco dopo, apparentemente rispondendo in maniera polemica con Sistani, anche Moqtada Sadr, ha esortato oggi i suoi seguaci ad una marcia su Najaf, per spezzare l'assedio delle truppe Usa. Il suo portavoce a Baghdad, Mahmoud al-Soundani, ha precisato che l'appello per la marcia era stato programmato prima di quello lanciato dal grande ayatollah. L'ufficio del martire Sadr invita tutti i fedeli a marciare su Najaf. Si tratta di un appello diverso da quello lanciato da Sistani. In ogni caso, i due appelli sembrano essere stati recepiti, perche' dai quartieri sciiti di Baghdad diverse persone si sono gia' messe in marcia. L'ayatollah Sistani intanto ha fatto sosta a Bassora, nel sud del Paese, e conta di andare a Najaf domani - ha detto Khaffaf.

ISRAELE

TRIBUNALE VIETA INGRESSO A GIORNALISTA - Il tribunale per le questioni amministrative di Tel Aviv ha respinto oggi un appello presentato dalla giornalista britannica Ewa Jasiewicz, alla quale l' 11 agosto era stato negato il permesso di ingresso in Israele per via della sua passata attivita' politica in favore dei palestinesi. In queste due settimane Jasiewicz ha ingaggiato una tenace battaglia legale, giungendo fino alla Corte Suprema, affinche' le fosse consentito di entrare in Israele, dove vorrebbe realizzare una inchiesta sulla sinistra israeliana e sulla sua opinione circa la Barriera di separazione in Cisgiordania. Nel corso del dibattito il rappresentante dello Shin Bet (sicurezza interna) ha riferito che in passato Jasiewicz ha partecipato nei Territori ad attivita' dell' International Solidarity Movement (Ism) che hanno ostacolato le attivita' militari. Ha aggiunto che un anno fa la giornalista e' riuscita a entrare in Israele con documenti falsi. Il giudice Deborah Pilpel ha cosi' respinto l' appello della giornalista rilevando che non e' possibile stabilire che essa rappresenta un pericolo per Israele, ma non si puo neppure escludere che la sua ingenuita' e la sua passione politica siano sfruttate, magari a sua insaputa, da quanti cercano di organizzare attentati. Jasiewicz ha subito annunciato che ricorrera' di nuovo alla Corte Suprema.

RUSSIA

AEREI CADUTI, SEPARATISTI CECENI: NOI NON C'ENTRIAMO - Il leader indipendentista ceceno Aslan Maskhadov e le forze che controlla "non hanno niente a che fare" con lo schianto dei due aerei decollati da Mosca ieri sera e precipitati nella Russia Meridionale. Lo ha riferito uno dei portavoce di Maskhadov, Akhmed Zakayev, citato dall'edizione online del quotidiano El Mundo Nelle ultime ore, le autorità russe hanno fornito versioni contrastanti sul segnale emesso dal Tu-154 diretto a Soci, prima che scomparisse dai tracciati radar. Non è insomma chiaro se il velicolo stesse cercando di segnalare un dirottamento in corso o altri problemi, come un guasto tecnico. Un portavoce dell'Fsb, l'ex Kgb russo, ha sottolineato che i primi elementi raccolti non ricondurrebbero all'ipotesi di un attentato. "Per il momento, la principale pista che viene considerata è quella della violazione di regole nei velivoli a uso civile" ha dichiarato il portavoce, Nikolai Zakharov. Fra le cause possibili, ci sarebbero un guasto tecnico, l'uso di carburante scadente, una violazione nelle pratiche di rifornimento o un errore dei piloti. In precedenza, l'Itar-Tass ha citato il capo dell'ufficio comunicazione dell'Fsb, Sergei Ignatchenko, secondo cui i sospetti convergevano sull'ipotesi di "interferenze illegali nell'attività dell'aviazione civile". Ignatchenko non ha comunque escluso definitivamente la pista terrorismo

IMMIGRATI

DALL'UNHCR, NO ALLA COSTRUZINE DI CAMPI FUORI DALL'EUROPA= La proposta di creare sportelli Ue nei paesi africani per valutare le domande d'asilo va attentamente valutata. Lo spiega Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, in un'intervista pubblicata oggi su 'La Stampa'. Proprio per far terra bruciata attorno ai trafficanti di merce umana, bisogna mettere in campo una strategia articolata. La maggior parte dei rifugiati si trova nel sud del mondo, in quei paesi confinanti da quelli da qui scappano. Il primo intervento - conclude Boldrini - va organizzato proprio nei territori cosiddetti di primo asilo: bisogna aiutare questi paesi per migliorare le condizioni di protezione e di vita dei campi profughi e delle comunita' locali.

ALITALIA

FILT CGIL, PRIMI CEDIMENTI: ACCETTEREMO TAGLI MA NON LICENZIAMENTI - Il problema è che non si riesce a fare sistema nel settore aereo, così come accade negli altri Paesi -spiega il sindacalista-. Questa è una carenza della politica, che non deve spendere soldi ma solo legiferare. Vorrei replicare alle parole del ministro Lunardi, che ha affermato 'Basta con le trattative, adesso bisogna accettare le condizioni altrimenti è il sindacato che fa chiudere l'azienda'. Si preoccupi di creare una condizione di sistema del settore aereo, tale per cui fra 8 mesi non saremo di nuovo qui a ridiscutere della crisi di Alitalia. Infine Scotti ricorda che tutti sostengono che bisogna liberarsi del fardello del personale di terra. Ma Air France, Lufthansa e Klm hanno un rapporto fra personale di terra e totale forza lavoro maggiore e su questo siamo in una posizione migliore rispetto ai nostri competitori. E allora i problemi stanno altrove. Non voglio svicolare, visto che noi comunque accetteremo anche migliaia di tagli, posto che non si tratti di licenziamenti.

CARCERI

ASINARA: REGIONE E COMUNE P.TORRES, NO A RITORNO DETENUTI - Il sindaco di Porto Torres e la Regione dicono no all'ipotesi, ventilata dal ministero della Giustizia, di un ritorno dei detenuti nell'isola dell'Asinara, nel nord della Sardegna, seppure di pochi condannati a pene lievi addetti alla coltivazione di campi e orti abbandonati. Gilda Usai Cermelli, in un'intervista all'Unione Sarda, ricorda "che l'isola e' ormai libera dai vecchi gravami carcerari", e insiste perche' l'amministrazione penitenziaria - accusata del degrado delle strutture dell'ex istituto di pena - ceda al parco dell'Asinara tutto il patrimonio immobiliare rimasto inutilizzato.

============== ============== Firenze - Gruppo di lavoro permanente sul carcere, 24 agosto 2004 Vista l’accesa discussione che si è scatenata negli ultimi giorni sui fatti di Regina Coeli crediamo doveroso far sentire anche la nostra voce. Dobbiamo da una parte esprimere la nostra piena e totale solidarietà ai detenuti che hanno attuato la protesta, dall’altra tentare una riflessione sullo "stupore" generalizzato per una protesta non-pacifica. In realtà ci si dovrebbe stupire sul fatto che episodi come quello di Roma non accadano giornalmente ed in tutte le carceri italiane viste le attuali condizioni di non-vita Negli ultimi quattro anni i detenuti italiani hanno effettuato decine di proteste pacifiche (molto spesso in accordo con la direzione) con il risultato di non vedere accolta neanche una delle loro rivendicazioni ma, anzi, di vedersi anche beffare con il cosiddetto "indultino" con il quale si mistifica la rimessa in libertà di 5600 detenuti. I (pochi) difensori di questo aborto legislativo si scordano di dire che, essendo i requisiti per l’indultino più restrittivi di quelli di altre misure alternative come - ad esempio - l’affidamento, essi avrebbero potuto tranquillamente uscire con tali misure. Anzi è significativo che molti abbiano accettato un regime di fatto più penalizzante (firma giornaliera, possibilità di revoca per cinque anni a prescindere dalla durata del residuo pena, ecc) invece delle normali misure, segno inequivocabile che quest’ultime vengono concesse con sempre maggior difficoltà. La trasversale criminalizzazione dei fatti di Regina Coeli segue il copione consolidato per cui è lecito rivendicare i propri diritti, ma solo nei modi e con le regole che il sistema stesso stabilisce in modo che, salva una parvenza di democrazia, la rivendicazione stessa sia del tutto inefficace (il parallelo con gli autoferrotranvieri non è assolutamente casuale). Illusi, derisi, abbandonati a loro stessi e costretti a vivere (?) in quattro o cinque in loculi di pochi metri quadri per 21 ore al giorno, senza assistenza sanitaria, con un vitto del valore di 1,58 euro al giorno per colazione pranzo e cena, esposti a malattie, condizioni igieniche inesistenti, soprusi e umiliazioni (molto spesso anche pestaggi). In questo quadro non stupisce affatto che anche il maggior deterrente (insieme all’immancabile repressione interna) a vere e proprie rivolte e cioè l’accesso a misure alternative previste dalla legge Gozzini (pur con un iniquo criterio di premialità) possa venire meno giacché tale accesso è sempre più virtuale che reale. In tale contesto invitiamo tutte le forze impegnate sul fronte carcere, oltre a manifestare la propria solidarietà ai detenuti "ribelli", anche a partecipare fisicamente al processo che (sic) verrà celebrato nei loro confronti, come atto tangibile d’appoggio alle loro giuste rivendicazioni. A quanti poi attribuiscono la degenerazione delle carceri esclusivamente all’attuale ministro della giustizia - sul quale non ci pronunciamo, visto che a dimostrare la sua assoluta incapacità ed inadeguatezza ci pensa benissimo da solo - ricordiamo che le cause legislative dell’incremento del numero di detenuti dai 25.000 del ‘90 agli attuali 57.000 sono state tutte varate dal centrosinistra: legge sull’immigrazione, legge Craxi – Jervolino – Vassali sulle tossicodipendenze per non parlare dell’ignobile pacchetto giustizia che ha portato, tra l’altro, il minimo della pena per un semplice furto da sei mesi a tre anni. Così come sempre più settori della sinistra appoggiano in pieno la cosiddetta politica della "restituzione del danno", sventolandola come progressista quando invece nel suo significato intrinseco ci riporta indietro di almeno vent’anni al concetto di pena come espiazione e riparazione nei confronti di una società perfetta alla quale non si può attribuire nessuna correlazione con il reato, atto di pura devianza individuale. Tale concezione oscurantista era stata in qualche modo superata dall’introduzione della Gozzini che, pur con i suoi evidenti limiti, riconosceva un aspetto sociale del reato e quindi dell’esecuzione penale. In merito agli interventi da attuare per dare delle risposte concrete alla crescente disperazione dei detenuti, noi siamo convinti che esista una sola strada: un indulto vero e generalizzato per sanare una situazione d’illegalità nella quale versa ormai da anni l’Amministrazione Penitenziaria ma accompagnato da misure politiche senza le quali avrebbe un effetto solo temporaneo. Tra esse crediamo prioritarie: una maggiore applicazione delle misure alternative previste per legge, anche creando le condizioni per cui non vengono concesse (di solito l’impossibilità di trovare un lavoro e/o un’abitazione); l’abolizione del "pacchetto giustizia" per riportare i limiti di pena ad una dimensione reale; una seria politica di depenalizzazione dei reati minori ed in particolare quelli legati ad immigrazione e tossicodipendenza. A questo proposito invitiamo tutti a partecipare alle due grosse manifestazioni nazionali su immigrazione e tossicodipendenza in programma a Roma nel prossimo autunno.

Roma One, 24 agosto 2004 Delegazione di assessori comunali e consiglieri regionali al penitenziario di Regina Coeli. Più istruzione e l’attivazione dei corsi di formazione professionale sono le richieste dei detenuti. Luigi Nieri: "Sarà istituita una commissione che avrà il compito di verificare i progressi" I detenuti del carcere di Regina Coeli non chiedono un’amnistia, ma che il penitenziario sia un’istituzione che consenta un percorso di reinserimento nel tessuto sociale. Questa è la richiesta che una rappresentanza di carcerati, dopo le proteste dei giorni scorsi ha girato all’assessore alle politiche del lavoro capitolino, Luigi Nieri, venuto oggi a visitare la casa circondariale insieme agli assessori regionali Loredana Mezzabotta e Clemente Ruggiero. "I detenuti - ha spiegato Nieri - hanno sollevato il problema dell’istruzione, con la richiesta di poter istituire una scuola media all’interno del penitenziari e l’attivazione di corsi di formazione professionali. Il Comune e la Regione - prosegue l’assessore - si serviranno, per raggiungere questi obbiettivi, del centro di orientamento al lavoro". Problemi e soluzioni saranno discussi da una commissione che dovrà incontrare mensilmente i carcerati. È stata la volontà ad ascoltare i problemi dei carcerati quella che ha determinato la fine delle proteste. I politici hanno assicurato che si batteranno perché i lavori di ristrutturazione della quarta sezione, quella più deteriorata, dove ci sono state le proteste più accese, inizino al più presto. L’importanza di un continuo dialogo tra istituzioni e detenuti è stato ribadito anche dal consigliere regionale dell’Udeur, Clemente Ruggiero: "Il rapporto continuo - dice il consigliere - con i detenuti è l’unica via che può funzionare per reintegrare i detenuti.Gli strumenti, che il Comune di Roma deve utilizzare, sono i corsi professionali e una stretta collaborazione con le aziende per il reinserimento dei carcerati nel mondo del lavoro". Ma il lavoro fuori dal carcere aiuterebbe anche a risolvere i problemi del sovraffollamento: "Le carceri sono sovraffollate proprio perché vengono lasciati nelle galere persone che non dovrebbero esserci e perché non si sfruttano le politiche di detenzione alternativa" RomaOne.it ha chiesto all’assessore Nieri quali sono le cause del problema della mancanza di personale nelle carceri, lamentato nei giorni scorsi da più parti. "Per le carceri - dice Nieri - si investe poco. Non è solo un problema di carenza di guardie carcerarie, ma anche di una serie di figure come sociologi e psicologi, fondamentali per il reinserimento delle persone". I detenuti hanno bisogno di sentire le istituzioni vicino, e "non è un caso - dice il consigliere Mezzabotta - che la protesta sia esplosa in estate quando la politica si distrae dai problemi". Il Comune di Roma, attraverso il sistema delle borse lavoro, un istituto di politica sociale, troverà lavoro per quei detenuti ancora non giudicati definitivamente. I permessi saranno concessi direttamente dal direttore del penitenziario, con un iter più breve di quello attuale. La mancanza di personale è forte anche nel settore sanitario del carcere. "La Regione Lazio - spiega la Mezzabotta - dovrà risolvere il problema della mancanza di addetti, soprattutto nella sezione dei tossicodipendenti. La nostra proposta è di mettere a disposizione del carcere dei dipendenti delle Asl di zona". In ultimo abbiamo chiesto al consigliere Loredana Mezzabotta qual è la situazione delle detenute che hanno dei figli in custodia nel penitenziario. "La situazione - risponde - è drammatica. Bisognerebbe applicare una legge che già esiste: questa prevede la possibilità per le detenute madri con figli fino a 10 anni d’età e che hanno commesso reati minori di poter scontare la pena al proprio domicilio. . Il problema della sua non applicazione riguarda soprattutto le straniere, dal momento che le italiane possono contare su una rete di protezione familiare estesa. Bisognerebbe prendere ad esempio il quinto municipio che mette a disposizione una casa di accoglienza, ma la triste realtà è che mancano i fondi per progetti come questi e quella del quinto municipio rimane, purtroppo, l’unico esempio in Italia".

========= Lettera di Vallanzasca ai media: "Vorrei tornare a vivere" TG Com, 24 agosto 2004 "Vorrei ritornare a vivere". Questo, in sintesi, quanto scritto da Renato Vallanzasca, in carcere da 32 anni, in una lettera inviata ai media. "Ritornare a vivere era un’opportunità a cui forse avevo rinunciato, è una speranza che cercherò di coltivare. Ho ucciso, ho rapinato, sequestrato, mai con cattiveria o odio verso gli altri... Ho cercato di fuggire e ci sono riuscito, ma il mio desiderio di libertà era forse soffocato da me stesso".

============= Social Press, 24 agosto 2004 È tragico che ogni anno, in estate, "esplodano" le carceri italiane. Ancora più drammatica la fermezza con la quale il Ministro Castelli vieta in questi giorni l’ingresso nelle carceri ai parlamentari, additando proprio in questi i "responsabili" delle rivolte. In carcere si sta male e si muore. Le associazioni e i singoli che lavorano a stretto contatto con gli istituti penitenziari ogni anno presentano alla stampa e al pubblico dei dossier da brivido, come il recente "Così si muore in galera - 2° Rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane" di Luigi Manconi, Andrea Boraschi ed Elina Lo Voi dell’associazione "A Buon Diritto". Il dossier fa emergere un "profilo medio" del detenuto che si toglie la vita: per lo più giovane, in attesa di giudizio, con un curriculum criminale recente, con capi d’imputazione relativamente poco gravi e con poche settimane di detenzione alle spalle. Dal dossier citato: "Nelle carceri sembra esistere un rapporto inversamente proporzionale tra "speranza di libertà" e propensione al suicidio: ci si uccide molto di più tra quanti, per posizione giuridica, età, permanenza detentiva, potrebbero sperare in una reclusione breve o relativamente breve; o tra quanti potrebbero attendere, espiata la pena, un "ritorno" alla società". 500 detenuti, il 50% sotto i 40 anni, hanno perso la vita, uno ogni due giorni, tra il 2001 ed il 2003, anno in cui i suicidi sono stati 65, tra cui due minorenni. È questa la realtà dei 205 istituti penitenziari dove vivono in condizioni precarie 56.578 detenuti, 14.360 in più del limite previsto dalla capienza regolamentare. Si muore anche di malattia in carcere, non solo per suicidio, e spesso per malattie che, all’esterno degli istituti di pena, sono perfettamente curabili. Il meccanismo è diabolico. Per alcune patologie la legge stabilisce l’incompatibilità con il regime carcerario: chi è gravemente malato non dovrebbe stare in carcere. Le persone spesso rimangono però all’interno degli istituti di pena provvisti di "Centri Clinici", strutture che dovrebbero provvedere alle cure ma che sono però inadeguate, perché vi manca tutto. Accade così che detenuti con l’Aids, l’epatite, gravi insufficienze renali o tubercolosi, muoiano perché questi Centri non sono provvisti di medicine che sono invece facilmente somministrate da ospedali o farmacie. Oppure succede anche che questi detenuti si suicidino per non poter o non voler più tollerare la propria condizione. La morte di queste persone è fortemente paragonabile all’ingiustizia delle morti per Aids o malaria che si verificano nei Paesi più poveri del mondo, così come veniva poco tempo fa denunciato dalle associazioni che lavorano sul diritto alla salute (cfr. "L’Africa in zona Magenta" ). Il carcere come luogo dell’esclusione sociale. Lo conferma l’alta percentuale di detenuti stranieri. I dati elaborati dall’associazione Antigone mostrano che gli italiani in carcere hanno un numero medio di imputazioni superiore a quello degli stranieri, mentre l’associazione A Buon Diritto ci informa che "gli stranieri vanno in carcere e ci rimangono più a lungo degli italiani non solo perché - percentualmente - "delinquono con maggiore frequenza" (anche per evidenti ragioni economiche, sociali e ambientali); ma soprattutto perché "pagano" difficoltà linguistiche e di comunicazione, scarsa conoscenza del sistema giuridico e una minor tutela delle garanzie di difesa. Basti pensare al ricorso alla custodia cautelare; tra gli stranieri, il 60% è composto da detenuti in attesa di giudizio, mentre tra gli italiani il dato scende al di sotto del 40%". Continua il dossier: "infine, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere degli stranieri è mediamente assai più lunga di quella degli italiani, sia in fase di custodia cautelare che dopo la sentenza". Di notevole interesse, per approfondire le notizie dal e sul carcere, il sito dell’associazione Ristretti Orizzonti, "Pagine di cultura e informazione dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena Femminile della Giudecca realizzate da detenuti, detenute, operatori volontari", al sito www.ristretti.it. Nelle pagine della rassegna stampa, in relazione ai fatti di questo ultimo agosto, Ristretti Orizzonti dà spazio all’ennesimo dibattito sull’amnistia e l’indulto. Tema scottante e delicato, spesso utilizzato come tema di propaganda politica dai diversi partiti, quando, come sempre accade, rischia semplicemente di far nascere false speranze all’interno della popolazione detenuta. Il sito ospita un altro dossier sulle morti in carcere, aggiornato ogni mese e utilizzato peraltro come fonte importante anche nel lavoro di Luigi Manconi. Tra le pagine anche una serie di "storie" di morti e suicidi. Dodici morti solo nel luglio 2004. "Bisogna difendere il diritto ad essere inadeguati!" così affermava perentoriamente qualche tempo fa Luigi Ciotti. Lo sguardo lucido del presidente del Gruppo Abele parlava delle ingiustizie del qui ed ora. Di un pezzo d’Italia, il carcere appunto, paragonabile ai luoghi più poveri e disperati del pianeta.

============= Salerno: sciopero della fame, aderiscono in 100 =============

Napoli: Poggioreale, ecco i primi focolai di protesta... Il Mattino, 24 agosto 2004 La protesta dei detenuti arriva anche a Poggioreale. Facile prevederlo, il sovraffollamento e le condizioni disagiate dei carcerati hanno provocato forti proteste della maggioranza dei detenuti nella serata di domenica. Centro delle lamentele il padiglione Livorno, che ospita duecento persone, dove in serata alcuni detenuti hanno inscenato la battitura, ovvero la gavetta sbattuta contro le inferriate della cella. In più in molti hanno fatto per un giorno uno sciopero della fame, non ritirando il vitto del carcere. Infine sono state incendiate alcune lenzuola poi buttate dai finestroni del padiglione. Alle proteste avrebbe partecipato l’85 per cento degli oltre 1800 detenuti del carcere di Poggioreale. Situazione rientrata dopo qualche ora. La protesta è stata fatta - come avvenuto in altri istituti penitenziari italiani, a iniziare da Regina Coeli - anche per denunciare il problema sovraffollamento

================ Salerno: medico sotto accusa per suicidio di un detenuto La Città di Salerno, 24 agosto 2004 Altri dieci giorni di cella e sarebbe tornato in libertà. Ma la paura - o meglio, l’angoscia - di poter essere riarrestato, lo spinsero ad uccidersi in carcere. Una morte - quella del 31enne di Giffoni Valle Piana, Antonio Rinaldi - per la quale fu indagato il dottor Giovanni Di Cunzolo, responsabile sanitario della casa circondariale di Fuorni.

=============== Suicidi, rivolte, affollamento: il dramma delle carceri italiane di Monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani delle carceri Famiglia Cristiana, 24 agosto 2004 Sono stato cappellano del carcere milanese di San Vittore per 41 anni: di uomini detenuti morti ne ho visti tanti, troppi. Ogni volta nasceva in me un senso di sgomento, oltre che di dolore, e mi chiedevo se avessi fatto tutto quello che andava fatto per impedire quella morte e se la struttura avesse fatto tutto il possibile. Perché chi ha commesso reati, per quanto gravi siano, è sempre un uomo, e lo Stato, che ha dovuto togliergli la libertà fisica e lo ha in custodia, ha il dovere di proteggere la sua vita.

============= La situazione nelle carceri italiane Premessa L’elaborazione che segue è stata fatta sui dati aggiornati al 30 giugno 2004 e resi pubblici sul sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it). I dati originari sono stati eleborati da: Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Quest’anno, a differenza delle statistiche semestrali pubblicate in precedenza, l’unico dato disponibile è quello delle presenze Istituto per Istituto, con un riepilogo nazionale nel quale sinanche le addizioni sono sbagliate. Quanti sono i detenuti in Italia? Secondo il quadro di sintesi diffuso dal Ministero della Giustizia in Italia ci sarebbero 56.532 detenuti di cui 2.660 donne e 53.872 uomini. In realtà andando a vedere nel dettaglio i dati, istituto per istituto, si ha un totale di: 56.440 detenuti di cui 2.660 donne e 53.780 uomini La posizione giuridica dei detenuti Il Ministero della Giustizia ha diffuso il dato alla posizione giuridica dei detenuti al 31 dicembre del 2003. Dai dati al 30 giugno 2004 disponibili non è possibile ricostruire la posizione giuridica sul dato reale di 56.440 detenuti ma solo su quello errato di 56.532 detenuti che risulta essere. Sono in attesa di giudizio: 20.151 detenuti pari al 35,65% di cui 1.046 donne (39,32%); e 19.105 uomini (35,46%) hanno subito una condanna definitiva; 36.381 detenuti pari al 64.35%, di cui 1.614 donne (60,68%) e 34.767 uomini (64,54%). Il sovraffollamento I dati relativi alla capienza di ciascun istituto al 30 giugno 2004 comprendono due parametri: quello della "capienza regolamentare" e quello dei "detenuti presenti". Quest’anno è stato omesso un dato che l’anno scorso era invece presente e che è un parametro in uso, quello della "capienza tollerabile". Dall’analisi dei dati relativi ai 201 istituti risulta che: complessivamente i posti disponibili sono 42.313; i detenuti presenti 56.440 con un indice di affollamento del 133.39%; per le 2.660 detenute vi sono 2.167 posti disponibili (101,64%); per i 56.440 detenuti vi sono 42.313 posti disponibili (135,48%). Il sovraffollamento reale Per quanto la situazione complessiva non sia delle migliori, almeno dal punto di vista matematico, infatti ogni 3 posti disponibili vi sono 4 detenuti presenti, già questo dato inserito nel contesto reale della maggior parte delle strutture, assume un significato molto diverso da quello che il dato matematico può rappresentare. Ma tra la situazione complessiva e il dato relativo a ciascun istituto la situazione assume dei connotati a dir poco vergognosi. Per le loro caratteristiche intrinseche abbiamo analizzato il sovraffollamento reale a partire da tre grandi gruppi: gli ospedali psichiatrici giudiziari; gli istituti e/o le sezioni maschili; gli istituti e/o le sezioni femminili. Ma è solo analizzando Istituto per Istituto che si può avere un quadro reale della situazione nelle carceri italiane, almeno dal punto di vista dell’affollamento. Gli Ospedali Pschiatrici Giudiziari (Opg) Su 6 Istituti e 8 sezioni, di cui 6 maschili e 2 femminili, emerge che una delle sezioni femminili che ha una capienza regolamentare di 9 posti è vuota, quella dell’istituto di Reggio Emilia. Vi è quindi una sola sezione femminile in funzione, quella dell’istituto di Castiglione delle Stiviere (MN) che ha una capienza regolamentare di 80 posti e in cui le detenute presenti sono 79. Delle 6 sezioni maschili, in due c’è un numero di detenuti presente che è inferiore al numero dei posti disponibili [istituti di Castiglione delle Stiviere (MN) e Barcellona Pozzo di Gozzo (ME)]. Nelle 4 sezioni sovraffollate [istituti di Napoli Sant’Eframo (NA), Aversa Saporito (CE), Montelupo Fiorentino (FI) e Reggio Emilia] vi sono complessivamente 579 posti disponibili e 686 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 118,48%. La situazione più grave è quella della sezione maschile dell’istituto di Reggio Emilia: 140 posti disponibili e 194 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 138,57%.

gror.040825 (last edited 2008-06-26 09:52:10 by anonymous)