gror: apre macedonio, il mercante d'arte dei disobbedienti


liberia

E' salito ad almeno 90 intanto il numero dei morti accertati nella giornata più violenta da almeno due mesi a questa parte per gli attacchi a tutto campo sferrati dalle forze ribelli per prendere la capitale Monrovia. I feritisono almeno 360.

Durante un bombardamento continuo a colpi di mortaio durato due ore, ieri una granata ha ucciso 25 liberiani rifugiatisi assieme ad altri circa 10.000 profughi in un complesso diplomatico statunitense. L'edificio si trova dall'altra parte della strada rispetto all'ambasciata Usa, di fronte alla costa Atlantica. Una quarantina di marines sono stati inviati per rafforzare la vigilanza e aiutare lo sgombero dei civili.

Dopo lo scoppio della granata negli edifici diplomatici, alcuni liberiani esasperati hanno allineato almeno 18 diciotto corpi maciullati e insanguinati nella strada davanti all'ambasciata. Alcuni hanno gridato: "Siamo morendo per niente", mentre due sentinelle in mimetica osservavano la scena dietro un vetro antiproiettile.

ancora liberia (fonte misna da specificare)

Mentre da Monrovia arrivano notizie di pesantissimi combattimenti, la Comunità internazionale continua a perdere tempo, nonostante i ripetuti appelli del segretario generale dell’Onu Kofi Annan. È davvero inquietante l’atteggiamento dell’Ecowas, la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale, che sembra debba allestire una ‘Crociata’ d’altri tempi, per non parlare degli Stati Uniti che appaiono a dir poco timorosi, come se facesse loro paura sbarcare in terra africana. Questi signori sapevano bene che in Liberia la tregua tra governo e ribelli era appesa da giorni ad un esile filo, eppure continuano a temporeggiare in attesa del peggio a tutti i costi, secondo una sorta di cinico copione, prima del loro fatidico intervento… ammesso e non concesso che ci sarà mai. Intanto il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, dal suo ranch di Crawford, nel Texas, assicura che la sua amministrazione sta lavorando con i Paesi dell’Ecowas per stabilire quando le truppe di pace africane saranno in grado di entrare in Liberia. Bush, nella conferenza stampa al termine del suo incontro con il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi, ha aggiunto, con un tono, oseremmo dire, poco convincente, che gli Usa sono in contatto anche con le Nazioni Unite per tentare di ottenere un nuovo ‘cessate-il-fuoco’ tra le parti belligeranti in Liberia. Eppure, a pensarci bene, si tratta semplicemente di spedire poche migliaia di soldati per una missione d’interposizione che anche le Chiese chiedono a gran voce, non foss’altro perché di questo passo, con tutte le bombe che piovono dal cielo, sarà davvero un’ecatombe umanitaria.

colombia

Le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) hanno chiesto di poter esporre alle Nazioni Unite la loro versione sull’andamento del conflitto che da quattro decenni insanguina il Paese sudamericano. In una lettera aperta al segretario generale dell’Onu Kofi Annan, pubblicata in internet, il movimento guerrigliero colombiano ha asserito che solo in questo modo l’organismo “potrà ottenere una visione molto più obiettiva” della realtà colombiana. Le Farc hanno precisato di essere a conoscenza ma di non condividere il sostegno offerto dall’Onu al governo del presidente Alvaro Uribe, che chiede un ‘cessate-il-fuoco’ unilaterale come condizione imprescindibile per il riavvio del negoziato fallito lo scorso anno. Una volta esposti i propri argomenti la guerriglia è certa che l’Onu “potrà analizzare e decidere con certezza se realmente conviene dare appoggio al signor Uribe”. Nel caso di una risposta favorevole di Annan, hanno aggiunto le Farc, sarà il comandante Raul Reyes a fare da portavoce del gruppo armato. Intanto il governo francese ha negato di aver avviato contatti con le Farc per trattare la liberazione di ostaggi, in particolare dell’ex candidata presidenziale e leader dei Verdi Ingrid Betancourt, rapita il 23 febbraio dello scorso anno. Lo ha dichiarato il portavoce del dicastero degli esteri di Parigi Hervé Ladsous. Era stata la rivista brasiliana ‘Cartas Capital’ a riferire nei giorni scorsi di un presunto negoziato tra il governo francese e le Farc che avrebbe avuto luogo tra il 9 e il 13 luglio scorsi nel vicino Paese. Ladsous ha comunque confermato che l’esecutivo transalpino mantiene l’impegno ad apportare un “sostegno umanitario” agli ostaggi in mano ai gruppi armati.

guantanamo

(da contestualizzare)

Sono iniziati ieri a Washington i colloqui trilaterali fra Stati Uniti, Gran Bretagna ed Australia per stabilire la sorte dei cittadini britannici ed australiani detenuti a Guantanamo con l'accusa di terrorismo e che potrebbero comparire di fronte ad un tribunale militare americano. Le trattative dovrebbero proseguire per tutta la giornata di oggi. Tra i 660 detenuti di Guantanamo figurano infatti nove cittadini britannici e due australiani, tre dei quali, Moazzam Begg, Feroz Abbasi e David Hicks, fanno parte del primo gruppo di sei imputati che sarebbero dovuti comparire in giudizio in quanto considerati "combattenti nemici" e per questo sottoposti alla giurisdizione militare. Sia la Gran Bretagna che l'Australia hanno espresso perplessità di fronte all'ipotesi di un tribunale militare, il cui funzionamento differisce notevolmente da quello delle corti civili. I dibattimenti si tengono a porte chiuse, non necessariamente sul territorio americano, i legali della difesa vengono nominati d'ufficio dalle forze armate (o se civili devono essere comunque cittadini americani scelti in base a ristretti criteri) e non è possibile presentare istanza di appello contro la sentenza. Sentenza per la quale sono necessari solo due dei tre voti degli ufficiali che compongono la giuria, anche in caso di richiesta di pena di morte. Lord Goldsmith, procuratore generale britannico, ha ribadito che agli imputati deve essere garantito l'accesso ad un'assistenza legale di loro scelta: "Il mio obbiettivo è che ai cittadini britannici venga assicurato un processo equo e conforme agli standard legali internazionali, ovunque essi abbiano luogo; uno dei primi passi in questa direzione è il beneficio della difesa", ha spiegato il funzionario, che ha sottolineato come il suo governo si opponga "in ogni circostanza a qualsiasi ipotesi di pena di morte". Quanto all'Australia, da Canberra era arrivata l'ammissione che Washington difficilmente avrebbe accettato di estradare gli imputati, in quanto la legge antiterrorismo australiana era stata approvata dopo la loro cattura avvenuta in Afghanistan, il che renderebbe impossibile celebrare un processo. Sia l'opposizione che il governo hanno tuttavia fatto presente che l'opinione pubblica australiana è contraria alla pena di morte, e che in base alla legislazione vigente la pena massima per il reato di terrorismo è di 25 anni di carcere. Washington, stando a fonti governative australiane, si sarebbe impegnata a non chiedere la pena capitale. Il maggiore John Smith, portavoce del Pentagono, ha confermato che i criteri statunitensi per il rilascio dei prigionieri rimangono quelli già resi noti in passato: che non costituiscano una minaccia per gli Stati Uniti, che non stiano fornendo notizie utili ai servizi segreti e che non debbano essere incriminati. Nessuno dei detenuti nella base di Guantanamo è stato ancora formalmente incriminato per terrorismo.