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La négociation d'une nouvelle résolution redéfinissant les règles de l'intervention étrangère en Irak conformément aux vœux de la France n'est pas, pour l'instant, sur l'agenda de Washington. Les Etats-Unis sont encore à la recherche de pays qui les aideraient mais dans le cadre de la résolution 1483, qui leur assure le contrôle du dispositif. Ils savent que la France n'interviendra pas dans ce cadre, même si les militaires français font des plans, "comme c'est leur rôle", pour être prêts le jour où les conditions seront réunies. Berlin et Moscou sont sur la même ligne. "Les responsables américains avec lesquels nous en avons parlé nous ont d'ailleurs dit qu'ils comprenaient la cohérence de notre position", ajoute le diplomate français. La négociation d'une nouvelle résolution redéfinissant les règles de l'intervention étrangère en Irak conformément aux vœux de la France n'est pas, pour l'instant, sur l'agenda de Washington. Les Etats-Unis sont encore à la recherche de pays qui les aideraient mais dans le cadre de la résolution 1483, qui leur assure le contrôle du dispositif. Ils savent que la France n'interviendra pas dans ce cadre, même si les militaires français font des plans, "comme c'est leur rôle", pour être prêts le jour où les conditions seront réunies. Berlin et Moscou sont sur la même ligne. "Les responsables américains avec lesquels nous en avons parlé nous ont d'ailleurs dit qu'ils comprenaient la cohérence de notre position", ajoute le diplomate français.
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Altri cinque Paesi hanno sottoscritto l’accordo bilaterale con gli Stati Uniti per l’immunità di cittadini americani di fronte alla Corte penale internazionale (Cpi). Lo ha annunciato la Casa Bianca, precisando che Albania, Bosnia-Erzegovina, Gibuti, Mauritius e Zambia hanno accettato la proposta di Washington, che ha sempre osteggiato la creazione della Corte e non ha sottoscritto lo Statuto di Roma, atto fondante del Tribunale con sede all’Aja che perseguirà violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e contro l’umanità, genocidio. Con queste ultime firme salgono a 35 gli Stati che hanno accolto la richiesta dell’amministrazione americana di non consegnare i propri cittadini e soldati eventualmente accusati davanti alla Cpi. Gli Usa stanno conducendo una campagna per l’immunità soprattutto verso i Paesi poveri del sud del mondo, soffocati da gravi problemi economici e ‘costretti’ ad accettare le offerte di Washington, che in cambio dell’accordo bilaterale promette accordi commerciali e aiuti finanziari. L’amministrazione di George W. Bush all’inizio di luglio non ha esitato a sospendere aiuti militari per un valore di 47 milioni di dollari a 35 Paesi che si rifiutavano di sottoscrivere questo tipo di accordo. Il Sudafrica, una delle poche economie non disastrate dell’Africa, ha recentemente respinto il ricatto di Washington nonostante un taglio di 7 milioni di dollari in finanziamenti destinati a spese militari. Altri cinque Paesi hanno sottoscritto l’accordo bilaterale con gli Stati Uniti per l’immunità di cittadini americani di fronte alla Corte penale internazionale (Cpi). Lo ha annunciato la Casa Bianca, precisando che Albania, Bosnia-Erzegovina, Gibuti, Mauritius e Zambia hanno accettato la proposta di Washington, che ha sempre osteggiato la creazione della Corte e non ha sottoscritto lo Statuto di Roma, atto fondante del Tribunale con sede all’Aja che perseguirà violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e contro l’umanità, genocidio. Con queste ultime firme salgono a 35 gli Stati che hanno accolto la richiesta dell’amministrazione americana di non consegnare i propri cittadini e soldati eventualmente accusati davanti alla Cpi. Gli Usa stanno conducendo una campagna per l’immunità soprattutto verso i Paesi poveri del sud del mondo, soffocati da gravi problemi economici e ‘costretti’ ad accettare le offerte di Washington, che in cambio dell’accordo bilaterale promette accordi commerciali e aiuti finanziari. L’amministrazione di George W. Bush all’inizio di luglio non ha esitato a sospendere aiuti militari per un valore di 47 milioni di dollari a 35 Paesi che si rifiutavano di sottoscrivere questo tipo di accordo. Il Sudafrica, una delle poche economie non disastrate dell’Africa, ha recentemente respinto il ricatto di Washington nonostante un taglio di 7 milioni di dollari in finanziamenti destinati a spese militari.
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A due anni dalla sua arrivo al potere il presidente peruviano Alejandro Toledo ha ammesso pubblicamente che non riuscirà a tenere fede a tutti gli impegni presi durante la campagna elettorale del 2000. “Ci sono promesse che non possiamo mantenere, anche se lo vorremmo”, ha dichiarato il capo dello Stato in un messaggio televisivo alla nazione domenica, in occasione della festa dell’indipendenza del Perù. Nonostante la crescita economica del Paese andino – la settima economia latinoamericana – “non siamo soddisfatti, perché questi risultati non si riflettono nei portafoglio dei peruviani”. A detta dell’analista politico Augusto Alvarez Rodrich le parole di Toledo denunciano di fatto l’impotenza di un presidente che non si presenta al Paese come “vincente”, ma piuttosto oberato da un’agenda prestabilita troppo fitta per essere rispettata.E non bastano ai peruviani le reiterate accuse contro la precedente amministrazione Fujimori, che ha depredato le casse dello Stato grazie alla rete di corruzione intessuta dal suo ex uomo forte Vladimiro Montesinos, per riacquistare fiducia nel loro presidente. Resta da vedere come verranno accolti gli annunci di nuove riforme – in testa quella tributaria e quella giudiziaria – e se le misure di austerità che Toledo ha già iniziato ad applicare all’interno del suo esecutivo – tra cui la riduzione degli stipendi, le restrizioni sui viaggi all’estero dei ministri, la chiusura imminente delle ambasciate peruviane in Danimarca, Bulgaria e Filippine – riusciranno a sbloccare uno degli indici di popolarità più bassi toccati dal presidente, stimato attualmente attorno al 13 per cento. A due anni dalla sua arrivo al potere il presidente peruviano Alejandro Toledo ha ammesso pubblicamente che non riuscirà a tenere fede a tutti gli impegni presi durante la campagna elettorale del 2000. “Ci sono promesse che non possiamo mantenere, anche se lo vorremmo”, ha dichiarato il capo dello Stato in un messaggio televisivo alla nazione domenica, in occasione della festa dell’indipendenza del Perù. Nonostante la crescita economica del Paese andino – la settima economia latinoamericana – “non siamo soddisfatti, perché questi risultati non si riflettono nei portafoglio dei peruviani”. A detta dell’analista politico Augusto Alvarez Rodrich le parole di Toledo denunciano di fatto l’impotenza di un presidente che non si presenta al Paese come “vincente”, ma piuttosto oberato da un’agenda prestabilita troppo fitta per essere rispettata.E non bastano ai peruviani le reiterate accuse contro la precedente amministrazione Fujimori, che ha depredato le casse dello Stato grazie alla rete di corruzione intessuta dal suo ex uomo forte Vladimiro Montesinos, per riacquistare fiducia nel loro presidente. Resta da vedere come verranno accolti gli annunci di nuove riforme – in testa quella tributaria e quella giudiziaria – e se le misure di austerità che Toledo ha già iniziato ad applicare all’interno del suo esecutivo – tra cui la riduzione degli stipendi, le restrizioni sui viaggi all’estero dei ministri, la chiusura imminente delle ambasciate peruviane in Danimarca, Bulgaria e Filippine – riusciranno a sbloccare uno degli indici di popolarità più bassi toccati dal presidente, stimato attualmente attorno al 13 per cento.
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La rimozione del capo della Polizia nazionale civile (Pnc) Raúl Machamé dopo i disordini del ‘giovedì nero’ della scorsa settimana non è bastata a sventare il rischio dell’apertura di un procedimento di messa in stato d’accusa contro i massimi funzionari dello Stato guatemalteco, in testa il presidente Alfonso Portillo. Da ieri sono infatti depositate presso la Corte suprema di giustizia del Guatemala le richieste di procedere contro il capo dello Stato, il capo del Congresso, l’ex dittatore Efraín Ríos Montt, il ministro dell’interno Alfonso Reyes Calderón e i deputati del Fronte repubblicano guatemalteco (Frg), lo schieramento al governo, Aristides Crespo, Juan Santa Cruz e Jorge Arévalo. Di questi ultimi, denunciati da Héctor Ramírez Rubio – figlio del giornalista Héctor Ramírez, stroncato da un infarto mentre tentava di sfuggire ad un gruppo di sostenitori di Ríos Montt armati che lo inseguivano - il primo avvertì che erano in corso proteste violente mentre gli altri due parteciparono personalmente agli incidenti e vennero riconosciuti nonostante avessero il volto coperto da passamontagna. Il dossier su Portillo, come da prassi, sarà trasferito al Congresso che deciderà sull’eventuale revoca del’immunità parlamentare. Nei giorni precedenti i disordini Ríos Montt, deciso a candidarsi alle presidenziali del prossimo 9 novembre, aveva lanciato un monito agli organi giurisdizioali che di fatto dopo un lungo iter hanno congelato la sua candidatura sulla base dell’articolo 186 della Costituzione che impedisce a chiunque sia salito al potere con un golpe di correre per la massima carica dello Stato. Come si temeva, le minacce dell’ex dittatore sono state seguite dai fatti ma le forze dell’ordine non sono intervenute per disperdere i suoi sostenitori. E sulle violente manifestazioni che hanno paralizzato la capitale seminando il panico tra la popolazione investigherà anche una missione di osservatori dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), guidata dall’ex presidente ad interim peruviano Valentín Paniagua, che ieri si è riunito con alcuni esponenti del Tribunale supremo elettorale, della Corte suprema e della Procura dei diritti umani La rimozione del capo della Polizia nazionale civile (Pnc) Raúl Machamé dopo i disordini del ‘giovedì nero’ della scorsa settimana non è bastata a sventare il rischio dell’apertura di un procedimento di messa in stato d’accusa contro i massimi funzionari dello Stato guatemalteco, in testa il presidente Alfonso Portillo. Da ieri sono infatti depositate presso la Corte suprema di giustizia del Guatemala le richieste di procedere contro il capo dello Stato, il capo del Congresso, l’ex dittatore Efraín Ríos Montt, il ministro dell’interno Alfonso Reyes Calderón e i deputati del Fronte repubblicano guatemalteco (Frg), lo schieramento al governo, Aristides Crespo, Juan Santa Cruz e Jorge Arévalo. Di questi ultimi, denunciati da Héctor Ramírez Rubio – figlio del giornalista Héctor Ramírez, stroncato da un infarto mentre tentava di sfuggire ad un gruppo di sostenitori di Ríos Montt armati che lo inseguivano - il primo avvertì che erano in corso proteste violente mentre gli altri due parteciparono personalmente agli incidenti e vennero riconosciuti nonostante avessero il volto coperto da passamontagna. Il dossier su Portillo, come da prassi, sarà trasferito al Congresso che deciderà sull’eventuale revoca del’immunità parlamentare. Nei giorni precedenti i disordini Ríos Montt, deciso a candidarsi alle presidenziali del prossimo 9 novembre, aveva lanciato un monito agli organi giurisdizioali che di fatto dopo un lungo iter hanno congelato la sua candidatura sulla base dell’articolo 186 della Costituzione che impedisce a chiunque sia salito al potere con un golpe di correre per la massima carica dello Stato. Come si temeva, le minacce dell’ex dittatore sono state seguite dai fatti ma le forze dell’ordine non sono intervenute per disperdere i suoi sostenitori. E sulle violente manifestazioni che hanno paralizzato la capitale seminando il panico tra la popolazione investigherà anche una missione di osservatori dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), guidata dall’ex presidente ad interim peruviano Valentín Paniagua, che ieri si è riunito con alcuni esponenti del Tribunale supremo elettorale, della Corte suprema e della Procura dei diritti umani
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GR ore 19.30

Sommario

ESTERI

Iraq

Palestina

Guatemala

Perù

Canada

Svizzera

ITALIA

Arese

Torino

campeggio messina

Armi chimiche

GR

iraq

Senza novità il discorso ufficiale di bush tenuto oggi, nel quale ha ribadito la soddisfazione per la morte dei figli di saddam hussein, e dichiarato ancora una volta che la cattura del leader iracheno è vicina. Plus de 1 100 personnes ont été arrêtées lors d'opérations militaires américaines depuis un mois, dont 68 anciens dirigeants du régime de Saddam Hussein, selon le général Schwartz. De son côté, au lendemain de l'arrestation de trois proches collaborateurs de Saddam Hussein, le premier ministre britannique, Tony Blair, a estimé mercredi que les mailles du filet se resserraient autour de l'ancien président. ma la popolazione continua a protestare. e a giudicare l'occupazione militare americana come una chiusura della libertà, pari a quella di prima.

La France n'enverra pas de soldats en Irak tant que ce pays sera sous occupation des pays de la coalition. Paris avait fait connaître sa position dès l'adoption en mai de la résolution 1483, qui définit le rôle des Etats-Unis et de la Grande-Bretagne en tant que "puissances occupantes" en Irak. Les responsables français ont été amenés récemment à répéter et à préciser cette position, alors que les Etats-Unis peinent manifestement à trouver des volontaires pour organiser, comme ils le souhaiteraient, la relève d'une partie de leurs troupes.

"Depuis le début, nous avons clairement défini le cadre dans lequel nous pouvons envisager d'agir, dit un proche du ministre français des affaires étrangères, Dominique de Villepin. Il faut que la responsabilité de la transition en Irak revienne à l'ONU ; la responsabilité politique, économique et militaire de la transition. C'est-à-dire que les Etats-Unis décident de passer le relais aux Nations unies. Il faut un changement fondamental du cadre, passer d'une logique d'occupation à une logique de responsabilité de l'ONU."

"Nous n'avons pas changé d'avis et n'avons pas de raison de le faire tant que les Etats-Unis ne changent pas d'état d'esprit", ajoute-t-il, en démentant la thèse de certains journalistes américains selon laquelle Paris mettrait des conditions nouvelles à sa participation, à seule fin de se dérober.

La négociation d'une nouvelle résolution redéfinissant les règles de l'intervention étrangère en Irak conformément aux vœux de la France n'est pas, pour l'instant, sur l'agenda de Washington. Les Etats-Unis sont encore à la recherche de pays qui les aideraient mais dans le cadre de la résolution 1483, qui leur assure le contrôle du dispositif. Ils savent que la France n'interviendra pas dans ce cadre, même si les militaires français font des plans, "comme c'est leur rôle", pour être prêts le jour où les conditions seront réunies. Berlin et Moscou sont sur la même ligne. "Les responsables américains avec lesquels nous en avons parlé nous ont d'ailleurs dit qu'ils comprenaient la cohérence de notre position", ajoute le diplomate français.

Palestina

  • Un Ariel Sharon soddisfatto per aver saputo imporre la propria volontà a George W. Bush sta per ripartire verso Tel Aviv. Prima di lasciare gli Stati Uniti, ha visto il segretario di Stato Colin Powell, il vice presidente Dick Cheney ed è tornato sull'argomento che più sta a cuore allo Stato ebraico: il pericolo che l'Iran costituirebbe per Israele. Sharon ha spiegato ai suoi interlocutori che Teheran starebbe facendo di tutto per far fallire la Roadmap, sostenendo i gruppi islamici palestinesi, che continua a potenziare Hezbollah, e che tra qualche anno, grazie allo sviluppo della tecnologia nucleare, potrebbe disporre di armi atomiche, oltre al fatto che già conta su dei missili in grado di colpire Israele.

Intanto, è grande l'amarezza tra i palestinesi per l'atteggiamento di Bush nei confronti del premier israeliano. La marcia indietro della Casa Bianca non indebolirà né Hamas, né la Jihad, ma soltanto Abou Mazen. Il ministro palestinese per l'informazione Nabil Amr ha definito deludente l'affermazione che proseguirà la costruzione della barriera di sicurezza in Cisgiordania. Per oggi è previsto un incontro tra il ministro della Difesa israeliano Mofaz e il responsabile per la sicurezza palestinese Dahlan sul passaggio in mano dell'Autorità palestinese di altre due città della Cisgiordania.

ISM

Cinq pacifistes étrangers, membres du Mouvement international de solidarité (ISM), ont été blessés, dont un grièvement, lundi, par des tirs israéliens, lors d'une manifestation contre le mur de séparation érigé par Israël en Cisjordanie. Les militaires ont fait usage de leurs armes lorsqu'un groupe de 500 manifestants palestiniens, mené par une centaine de pacifistes d'ISM, ont jeté à terre un portail du mur, près du village d'Anin. L'objectif était de permettre aux agriculteurs palestiniens de se rendre dans leurs champs, auxquels ils n'avaient plus accès depuis l'érection du mur. Mardi 29 juillet, le premier ministre israélien, Ariel Sharon, a réaffirmé à Washington qu'Israël continuerait la construction de cet ouvrage, qu'il qualifie de "clôture de sécurité".

Dix jours plus tôt, un groupe de militants d'ISM avaient été expulsés, après avoir passé huit jours en prison. Parmi eux, Thomas Pellas, un Français enseignant de mathématiques, membre de l'association France-Palestine Solidarité (AFPS), entré en Israël fin juin pour participer à un projet d'aménagement d'une aire de jeux financé par l'AFPS, pour l'école primaire des Bédouins Jahalin, vivant dans une banlieue de Jérusalem-Est, et pour y animer des ateliers pour enfants.

"UN GRAVE DANGER"

Dans des déclarations au Monde, Thomas Pellas explique qu'il s'était joint le 10 juillet à des pacifistes d'ISM pour aider les Palestiniens à lever des barrages interdisant le passage entre les villages de Til et Iraq Bourin et la ville de Naplouse, en Cisjordanie. Alors qu'un bulldozer palestinien était sur le point de lever le dernier barrage, des militaires israéliens sont intervenus à bord de deux Jeep et ont lancé des grenades lacrymogènes pour disperser les pacifistes qui tentaient de s'interposer. Puis, reniant un engagement pris après négociation de ne procéder à aucune arrestation si les deux barrages étaient remis en place - ce qui fut fait -, les soldats ont saisi le bulldozer, arrêté le chauffeur palestinien ainsi que six pacifistes, dont deux israéliens. Ces derniers furent relâchés le lendemain "faute de charges".

Les autres, dont Thomas Pellas, ont été soumis à un rude interrogatoire, puis maintenus en détention avec quatre autres "internationaux" arrêtés à Jénine pour avoir installé une tente sur une terre réquisitionnée pour l'édification du mur. Ils furent traduits en justice sous prétexte qu'ils constituent "un grave danger pour Israël", jugés et expulsés avec interdiction de retour pour plusieurs années. Durant leur détention, groupés dans une cellule exiguë sans fenêtre et la lumière électrique allumée en permanence, ils ont été privés de leurs affaires personnelles, interdits d'accès à la cantine et n'ont eu qu'un contact limité avec leurs avocats.

Israël a nettement durci depuis trois mois sa politique contre l'ISM et toute autre organisation dont le but est de "perturber les opérations de l'armée israélienne". Une militante d'ISM, Rachel Corrie, 23 ans, a été tuée en mars, écrasée sous un monticule de terre poussé par un bulldozer de Tsahal, alors qu'elle s'opposait à la destruction d'une maison palestinienne dans la bande de Gaza.

Corte penale internazionale

Altri cinque Paesi hanno sottoscritto l’accordo bilaterale con gli Stati Uniti per l’immunità di cittadini americani di fronte alla Corte penale internazionale (Cpi). Lo ha annunciato la Casa Bianca, precisando che Albania, Bosnia-Erzegovina, Gibuti, Mauritius e Zambia hanno accettato la proposta di Washington, che ha sempre osteggiato la creazione della Corte e non ha sottoscritto lo Statuto di Roma, atto fondante del Tribunale con sede all’Aja che perseguirà violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e contro l’umanità, genocidio. Con queste ultime firme salgono a 35 gli Stati che hanno accolto la richiesta dell’amministrazione americana di non consegnare i propri cittadini e soldati eventualmente accusati davanti alla Cpi. Gli Usa stanno conducendo una campagna per l’immunità soprattutto verso i Paesi poveri del sud del mondo, soffocati da gravi problemi economici e ‘costretti’ ad accettare le offerte di Washington, che in cambio dell’accordo bilaterale promette accordi commerciali e aiuti finanziari. L’amministrazione di George W. Bush all’inizio di luglio non ha esitato a sospendere aiuti militari per un valore di 47 milioni di dollari a 35 Paesi che si rifiutavano di sottoscrivere questo tipo di accordo. Il Sudafrica, una delle poche economie non disastrate dell’Africa, ha recentemente respinto il ricatto di Washington nonostante un taglio di 7 milioni di dollari in finanziamenti destinati a spese militari.

Perù

A due anni dalla sua arrivo al potere il presidente peruviano Alejandro Toledo ha ammesso pubblicamente che non riuscirà a tenere fede a tutti gli impegni presi durante la campagna elettorale del 2000. “Ci sono promesse che non possiamo mantenere, anche se lo vorremmo”, ha dichiarato il capo dello Stato in un messaggio televisivo alla nazione domenica, in occasione della festa dell’indipendenza del Perù. Nonostante la crescita economica del Paese andino – la settima economia latinoamericana – “non siamo soddisfatti, perché questi risultati non si riflettono nei portafoglio dei peruviani”. A detta dell’analista politico Augusto Alvarez Rodrich le parole di Toledo denunciano di fatto l’impotenza di un presidente che non si presenta al Paese come “vincente”, ma piuttosto oberato da un’agenda prestabilita troppo fitta per essere rispettata.E non bastano ai peruviani le reiterate accuse contro la precedente amministrazione Fujimori, che ha depredato le casse dello Stato grazie alla rete di corruzione intessuta dal suo ex uomo forte Vladimiro Montesinos, per riacquistare fiducia nel loro presidente. Resta da vedere come verranno accolti gli annunci di nuove riforme – in testa quella tributaria e quella giudiziaria – e se le misure di austerità che Toledo ha già iniziato ad applicare all’interno del suo esecutivo – tra cui la riduzione degli stipendi, le restrizioni sui viaggi all’estero dei ministri, la chiusura imminente delle ambasciate peruviane in Danimarca, Bulgaria e Filippine – riusciranno a sbloccare uno degli indici di popolarità più bassi toccati dal presidente, stimato attualmente attorno al 13 per cento.

Guatemala

La rimozione del capo della Polizia nazionale civile (Pnc) Raúl Machamé dopo i disordini del ‘giovedì nero’ della scorsa settimana non è bastata a sventare il rischio dell’apertura di un procedimento di messa in stato d’accusa contro i massimi funzionari dello Stato guatemalteco, in testa il presidente Alfonso Portillo. Da ieri sono infatti depositate presso la Corte suprema di giustizia del Guatemala le richieste di procedere contro il capo dello Stato, il capo del Congresso, l’ex dittatore Efraín Ríos Montt, il ministro dell’interno Alfonso Reyes Calderón e i deputati del Fronte repubblicano guatemalteco (Frg), lo schieramento al governo, Aristides Crespo, Juan Santa Cruz e Jorge Arévalo. Di questi ultimi, denunciati da Héctor Ramírez Rubio – figlio del giornalista Héctor Ramírez, stroncato da un infarto mentre tentava di sfuggire ad un gruppo di sostenitori di Ríos Montt armati che lo inseguivano - il primo avvertì che erano in corso proteste violente mentre gli altri due parteciparono personalmente agli incidenti e vennero riconosciuti nonostante avessero il volto coperto da passamontagna. Il dossier su Portillo, come da prassi, sarà trasferito al Congresso che deciderà sull’eventuale revoca del’immunità parlamentare. Nei giorni precedenti i disordini Ríos Montt, deciso a candidarsi alle presidenziali del prossimo 9 novembre, aveva lanciato un monito agli organi giurisdizioali che di fatto dopo un lungo iter hanno congelato la sua candidatura sulla base dell’articolo 186 della Costituzione che impedisce a chiunque sia salito al potere con un golpe di correre per la massima carica dello Stato. Come si temeva, le minacce dell’ex dittatore sono state seguite dai fatti ma le forze dell’ordine non sono intervenute per disperdere i suoi sostenitori. E sulle violente manifestazioni che hanno paralizzato la capitale seminando il panico tra la popolazione investigherà anche una missione di osservatori dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), guidata dall’ex presidente ad interim peruviano Valentín Paniagua, che ieri si è riunito con alcuni esponenti del Tribunale supremo elettorale, della Corte suprema e della Procura dei diritti umani

Svizzera

Il parlamento svizzero a fine giugno ha completato l'elenco delle nazioni dove non ci sono perseguitati politici ed entrano a far parte di questo gruppo Bosnia Erzegovina e Macedonia. Si tratta di una decisione presa su proposta dell'Ufficio federale per i rifugiati (Ufr). Tra i criteri di valutazione: rispetto dei diritti umani, l'adesione a convenzioni internazionali nell'ambito dei diritti umani e dei rifugiati. La lista dei circa quaranta Paesi "sicuri" sul fronte dei diritti umani è stata resa nota alla vigilia della sua applicazione (il 1° agosto) e le persone provenienti da questi Stati non avranno diritto all'asilo nel territorio della Confederazione La lista di 38 Paesi - ha spiegato in una nota l'Ufr - comprende naturalmente i 15 dell'Unione europea, i dieci che entreranno nell'Ue nel maggio 2004, gli Stati dell'Aels (Liechtenstein, Norvegia e Islanda) e altri nove già presenti su una precedente lista e cioè: Albania, Bulgaria, Gambia, Ghana, India, Lituania, Mongolia, Romania e Senegal.

L'inclusione nella lista di numerosi Paesi dell'est europeo sarebbe motivata dalla volontà di premunirsi contro un massiccio arrivo di individui appartenenti a gruppi quali i Rom. La pubblicazione dell'elenco dei "safe countries" - spiega Berna - è innanzitutto una misura amministrativa che consentirà di accelerare la procedura d'esame delle domande d'asilo. Per le persone provenienti dai Paesi sull'elenco l'amministrazione svizzera non entrerà più in materia per una domanda d'asilo. Questo non significa però un rinvio automatico della persona. Rimane però la possibilità di accogliere persone che risultino effettivamente perseguitate. L'Ufficio per i rifugiati almento una volta all'anno fa la verifica dell'elenco e in caso di violazioni dei diritti umani aggiorna la lista dei safe countries.

Nella nota diffusa viene anche fornito il dato dell'accoglienza dei rifugiati nello scorso anno. Delle circa 26mila persone che nel 2002 hanno inoltrato una domanda d'asilo in Svizzera, poco meno di 3mila e precisamente 2953 persone (11,3%) provenivano da Paesi ormai considerati "sicuri".

canada

  • 50 hommes et un nombre inconnu des femmes seraient toujours détenuEs au palais de justice [sic] de la Ville de Montréal. Les gens seraient détenus dans des conditions encore pires que la veille, quoiqu'ils aient eu des sandwichs au fromage ce soir (!). Ça fait plus de deux heures que personne n'a été relâché et ça fait plus de 12 heures qu'au dessus de 60 personnes sont détenus dans la même cellule.

Certaines personnes ont de la difficulté à payer leurs cautions (entre 200$ et 250$). Il y aura une séance à la cour municipale demain matin (la cour ouvre à 9 heures) pour ces gens, alors il est important que les gens qui le peuvent aillent à la cour montrer leur solidarité aux détenus, ça fait beaucoup de bien de voir que l'on est pas seul.

Ce soir, l'accès aux tribunaux a été restreint par les forces de l'ordre et c'est possible que cela se reproduise demain.

D'ailleurs, Jaggi Singh est détenu au pénitencier de Rivières-des-Prairies et devrait avoir une audience pour sa caution demain à 9 heures à la salle 3.06 ou 3.07 à la cour municipale.

Italia

cpt

11 migranti sarebbero riusciti a scappare da corso Brunelleschi lunedì notte, sull'onda della protesta cominciata nel pomeriggio in corrispondenza della visita e del presidio. Si teme per la sorte degli undici e anche per quella di coloro che non sono riusciti a scappare, ma è importante che quel muro continui ad essere violato, perché è la condizione che ci permetterà di eliminarlo:

Hanno avuto uno strascico i disordini scoppiati lunedì pomeriggio al centro di permanenza temporanea di corso Brunelleschi mentre erano in corso una visita di tre consiglieri regionali e una manifestazione per chiederne la chiusura. Nella notte un gruppo di "ospiti" del centro ha di nuovo inscenato una protesta gettando fuori dai container mmaterassi, coperte e altri oggetti e, approfittando dell'arrivo della Croce Rossa, 11 di loro sono riusciti ad allontanarsi, travolgendo uno degli agenti in servizio che è rimast contuso (guarirà in 15 giorni).

Armi chimiche

Le forze armate italiane potranno acquistare "agenti tossici chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi, relative apparecchiature, componenti, sostanze e tecnoclogie". In particolare, dovranno dotarsi di "agenti biologici e sostanze radioattive adatti a per essere utilizzati in guerra per produrre danni alle popolazioni o agli animali, per degradare materiali o danneggiare le colture o l'ambiente, ed agenti per la guerra chimica".

Segue un lunghissimo elenco di "precursori binari" come "Alchil" (Metil, Etil, n-Propil o Isopropil), "Etil", "O-Alchil". L'elenco e la relativa autorizzazione all'acquisto e' stato pubblicato nell'ultimo numero della Gazzetta Ufficiale, la numero 171 (Suppl. Ordinario n. 119), ed e' relativo al nuovo elenco dei materali d'armamento del ministero della Difesa. Segue un elenco di gas lacrimogeni o antisommosa, ma anche "apparecchiature appositamente progettate o modificate per la disseminazione delle sostanze chimiche.

E ancora: si autirizza l'acquisto di "tecnologia per lo sviluppo, produzione o utilizzazione di agenti tossici". Quindi la Gazzetta Ufficiale definisce quali gas nervini bisogna acquistare, come il Sarin, il Soman, il Tabun il VX e tanti altri. Si passa poi agli agenti vescicanti per la guerra chimica come il Solfuro di 2-cloroetile il, Solfuro di bis. Non mancano agenti inabilitanti per la guerra chimica come 3-Quinuclidinil benzilato; ne' sfuggono gli agenti defolianti come l'Agente Arancio largamente usato in Vietnam e il Butil-2-cloro-4-fluorofenossiacetato.

Per quello che riguarda gli aspetti nucleari le dotazioni autorizzate si limiato ai vari software in grado di simulare ogni aspetto di una esplosione. Tra le varie necessita' il ministero della Difesa rileva inoltre l'esigenza di acquistare "apparecchature appositamente progettate per la difesa da tutte le sostanze elencate e i "biopolimeri" appositamente progettati o trattati per l'individuazione o l'identificazione degli agenti di guerra chimica.

Armi chimiche contro l'Iraq acquistate con i soldi italiani? Lo chiede in una interrogazione il deputato Verde Paolo Cento il quale giudica gravissime le notizie apparse sul numero 171 della Gazzetta Ufficiale nel quale la Difesa italiana e' autorizzata ad acquistare agenti tossici chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi, relative apparecchiature, componenti, sostanze e tecnologie.

"Le forze armate italiane dovranno dotarsi - come e' scritto nella Gazzetta Ufficiale, sottolinea Cento - di agenti biologici e sostanze radioattive adatti a essere utilizzati in guerra per produrre danni alle popolazioni o agli animali, per degradare materiali o danneggiare le colture o l'ambiente, ed agenti per la guerra chimica. E' possibile poi leggere - prosegue - una lunga ed inquietante lista di micidiali armi di sterminio. A cosa servono all'Italia queste terribili sostanze? Sono gia' state utilizzate contro l'Iraq o in Afghanistan? Quali sono i progetti bellici del governo Berlusconi di cui l'opinione pubblica e' tenuta all'oscuro? Si tratta di interrogativi che devono avere una risposta perche' ne va del rispetto dell'Italia delle convenzioni internazionali, del rispetto dei nostri principi costituzionali e del nostro parlamento".

Messina

E' giunto al terzo giorno il camepggio contro il ponte sullo stretto di messna, che domani vedrà anche un corteo attraversare le strade. Intanto, continuano i dibattiti e le assemblee.

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gror030730 (last edited 2008-06-26 10:06:59 by anonymous)