mace apre ed esclama: maronna che suonn

gRor ore 10.00

dal mondo

PALESTINA

Le forze armate israeliane hanno effettuato una doppia incursione nella notte nel settore autonomo palestinese della striscia di Gaza. Lo si apprende da fonti della sicurezza palestinese. Una colonna israeliana e' penetrata a Beit Lahia, una seconda nella vicina Beit Hancun, sempre nel nord della striscia di Gaza. Sono stati sentiti colpi di arma da fuoco. Dieci palestinesi ricercati dai servizi di sicurezza israeliani perche' sospettati di aver partecipato ad attacchi anti-israeliani sono stati arrestati durante la doppia incursione di questa notte. Lo ha annunciato l'esercito israeliano in un suo comunicato precisando che una bomba e' esplosa durante l'operazione senza causare feriti. I militari israeliani hanno inoltre annunciato la cattura di altri quattro palestinesi in Cisgiordania. Nella doppia incursione di stanotte, fatta con mezzi corazzati contro Beit Lahia e la vicina Beit Hanun non vi sono state vittime. Brevi sparatorie sono avvenute fra israeliani e palestinesi.

Un avamposto eretto illegalmente da coloni ebrei nella zona di Nablus (Cisgiordania) e' stato rimosso la scorsa notte su ordine del ministro della difesa Benyamin Ben Eliezer. Lo ha riferito la radio militare secondo cui si tratta dell'avamposto di Ein Horon. Nel corso della operazione - che ha destato forte irritazione nel movimento dei coloni - sono stati fermati alcuni cittadini israeliani. Secondo il movimento 'Pace Adesso' gli avamposti selvaggi eretti da coloni in Cisgiordania sono ormai numerose decine. Nel frattempo si e' conclusa la incursione israeliana in due cittadine palestinesi nel Nord della striscia di Gaza. Le forze armate israeliane hanno compiuto quattro arresti. Fonti militari israeliane hanno aggiunto che nel corso della operazione due soldati sono rimasti feriti in modo leggero.

CILE (fonte misma)

L’ennesimo ‘no’ è stato opposto dalla magistratura cilena a una richiesta di revoca dell’immunità per l’ex dittatore Augusto Pinochet. La Corte d’appello di Santiago del Cile ha infatti respinto ieri l’istanza presentata dal giudice argentino Maria Servini de Cubría, la quale avrebbe voluto sottoporre a interrogatorio l’anziano generale in merito all’uccisione del generale cileno Carlos Prats e della sua consorte, Sofia Cuthbert. Il duplice omicidio venne perpetrato nella capitale argentina Buenos Aires il 30 settembre 1974. In relazione a questo caso è già stato condannato all’ergastolo Enrique Arancibia Claven, ex agente della Direzione di intelligenza nazionale (Dina), la polizia segreta attiva durante la dittatura (1973-‘90). Con questa sentenza la Corte d’appello conferma la linea fin qui seguita dalla Corte Suprema, la quale anche riguardo alla vicenda della cosiddetta ‘Carovana della morte’ (operazione che nelle settimane successiva al golpe vide gli uomini di Pinochet impegnati a eliminare gli avversari politici in varie zone del Cile) ha ritenuto l’ex dittatore non in grado di sostenere un processo, a causa delle sue condizioni di salute. Il pronunciamento dei giudici è arrivato proprio alla vigilia del 29mo anniversario del colpo di Stato che portò al potere la giunta guidata da Pinochet.

PAKISTAN

Uomini armati hanno occupato un edificio nella zona commerciale di Karachi e in una sparatoria sono stati feriti tre poliziotti. Il tutto è avvenuto oggi all'alba nella citta' portuale pachistana. Lo hanno riferito le autorità pakistane secondo la quale gli scontri a fuoco sono in corso da circa tre ore e nessuna altra informazione e' disponibile su chi siano gli attaccanti e su quali siano le loro richieste. Le forze dell'ordine hanno intensificato le misure di sciurezza a Karachi e in altre citta' pachistane per prevenire possibili attacchi terroristici in occasione dell'anniversarrio dell'11 settembre.

dall'Itala

Lo shock dell’11 settembre ha offerto l’opportunità a diversi governi di compiere un giro di vite ai danni dei diritti umani, in nome della crociata mondiale contro il terrorismo. E’ questo il senso della denuncia formulata dal presidente della sezione italiana di Amnesty International, Marco Bertotto, proprio in coincidenza con l’anniversario dei drammatici attentati di cui sono stati teatro lo scorso anno gli Stati Uniti. La MISNA propone il testo completo della presa di posizione da parte dell’organizzazione di difesa dei diritti umani. “In Bielorussia, una normativa approvata lo scorso dicembre autorizza la perquisizione di edifici senza l’approvazione dell’autorità giudiziaria. Il sistema repressivo dell’Egitto – caratterizzato da tortura e processi iniqui – è stato suggerito dallo stesso governo del Cairo come modello efficace di lotta al terrorismo per i paesi occidentali. In Pakistan, gli emendamenti alla legge sulla sicurezza nazionale mettono a rischio l’indipendenza della magistratura e stabiliscono la partecipazione di personale militare alle giurie chiamate ad occuparsi di processi per ‘terrorismo’. L’atto sull’antiterrorismo introdotto lo scorso anno nel Regno Unito consente la detenzione a tempo indeterminato, senza accusa né processo, di cittadini stranieri sospettati di collusione con il terrorismo internazionale. L’ordinanza sulla sicurezza e l’ordine pubblico nello Zimbabwe, entrata in vigore a gennaio, vieta le manifestazioni e criminalizza chiunque esprima critiche nei confronti della polizia, delle forze armate o del presidente Mugabe. Sono, questi, solo alcuni degli episodi più significativi per raccontare, senza troppi giri di parole, in quale mondo viviamo ad un anno di distanza dall’immane tragedia dell’11 settembre 2001. Promulgando nuove leggi e facendo ricorso alla vecchia brutalità, in tante circostanze i governi - a partire da quello degli Usa, dove ora un sistema di ‘giustizia di seconda classe’ si fonda su detenzioni arbitrarie e tribunali militari - hanno finito per sacrificare i diritti umani sull’altare della sicurezza e dell’antiterrorismo. L’obiettivo della ‘sicurezza a tutti i costi’ si è trasformato in un pretesto, quasi una forma di legittimazione preventiva per colpire gli oppositori e le minoranze e giustificare nuove forme di repressione e di riduzione delle libertà fondamentali. A ben pensarci, non c’è nulla di così nuovo nel comportamento di governi che, esposti a situazioni di particolare rischio ed emergenza, fanno ricorso a misure straordinarie e si appellano alla dottrina della sicurezza nazionale per limitare, sia pure in maniera provvisoria, l’esercizio di taluni diritti fondamentali. La vera novità che abbiamo di fronte sta nella diffusione di un paradigma inedito, che considera apertamente i diritti umani come un ostacolo alla sicurezza e ritiene di poter sconfiggere il ‘terrorismo’ con i soli strumenti della repressione: intervenendo quindi esclusivamente sui sintomi del fenomeno e non affrontando la radice vera dei problemi di ingiustizia e privazione che, su scala planetaria, rappresentano un terreno fertile per i disordini e la violenza. Inutile dire che questo approccio si è rivelato fallimentare da ogni punto di vista. Innanzitutto perché a promuoverlo sono soprattutto governi che hanno ‘approfittato’ del clima internazionale per risolvere alcune spinose questioni interne: la Cina che ha accentuato la persecuzione dei gruppi separatisti in Tibet, Mongolia interna e Xinjiang e la Russia che ha ottenuto un lasciapassare per intensificare la campagna militare e repressiva in Cecenia. Il pretesto della sicurezza internazionale ha fornito la più efficace delle coperture ai paesi che si sono raccolti intorno all’alleanza globale contro il terrorismo guidata dagli Usa e ha prodotto nell’opinione pubblica appariscenti fenomeni di ‘indignazione a singhiozzo’: il mondo intero si è scandalizzato per l’imposizione del burqa, cui sono state costrette per lunghi anni le donne afgane (in verità, non solo durante il regime dei talebani, e su questo quanti rapporti di Amnesty International sono passati inosservati!), eppure nessuno solleva il problema dei diritti delle donne in un paese come l’Arabia Saudita o a rischio di lapidazione in diversi altri paesi; l’Iraq di Saddam Hussein è indicato oggi come il più sanguinario dei regimi, tanto che è in corso un intenso dibattito per valutare l’opportunità di un’operazione militare, ma gli abusi e la pressoché completa assenza di libertà e diritti politici in paesi alleati (e mercati) come la Cina non sembrano oggetto di preoccupazioni così diffuse. Il paradigma della sicurezza che prevale a livello internazionale non solleva dubbi solo dal punto di vista morale e giuridico, ma anche da quello della sua concreta efficacia. Siamo davvero convinti che un mondo in cui a miliardi di persone sono negati i fondamentali diritti umani, primo tra tutti quello alla stessa sopravvivenza, possa essere reso più sicuro con leggi repressive, l’uso della tortura e l’imprigionamento di qualche migliaio di stranieri sospetti? L’anno iniziato l’11 settembre 2001 si è aperto con gli attacchi negli Stati Uniti e si è chiuso con il recente attentato in Afghanistan contro il presidente Karzai, l’alba e il tramonto di una giornata del mondo attraversata ogni ora da più violenza e più terrore: non basta questo a dimostrare che le misure repressive e liberticide adottate fino ad oggi dai governi non sono affatto servite a garantire maggiore sicurezza per tutti? Ciò di cui abbiamo davvero bisogno, soprattutto da un anno a questa parte, non è tanto una guerra contro il terrorismo ma una mobilitazione globale a favore dei diritti umani. L’11 settembre 2002 è una data simbolica che può aiutare a ricordarcelo.

aumenta la disoccupazione

Non si arresta il calo dell'occupazione nelle grandi imprese. A giugno 2002 gli occupati delle grandi aziende dell'industria sono diminuiti del 3,9% (-30.700 unita') rispetto a giugno 2001. Nei servizi la diminuzione e' stata di 3.300 posti di lavoro (-0,3%). Lo rileva l'Istat precisando che nel complesso i posti di lavoro persi sono 34.000 (fonte istat)

AGRIGENTO

Ancora uno sbarco di immigrati clandestini nell 'isola di Lampedusa. Stamane, scortati dalle motovedette della Guardia costiera, sono arrivati 32 nordafricani. I clandestini, tutti marocchini, erano stati avvistati in nottata dalla nave 'Chimera' della Marina militare che aveva dato l' allarme alla capitaneria di porto dell' isola delle Pelagie. Dopo essere stati visitati dai sanitari della locale guardia medica, gli immigrati sono stati rifocillati e poi trasferiti nel centro di accoglienza dell' isola.

Emergency: l'italia non metta l'elmetto L'associazione Emergency ha redatto un appello contro l'entrata in guerra del nostro paese, che è già stato sottoscritto da numerosissime persone. Ecco il testo: Fuori l'Italia dalla guerra Vogliamo un mondo basato sulla giustizia e sulla solidarietà. Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Chiediamo che l'Italia, di fronte alla minaccia di un attacco militare contro l'Iraq, non partecipi ad alcun atto di guerra, nel rispetto della Costituzione. Non vogliamo essere corresponsabili di nuovi lutti, né vogliamo alimentare la spirale del terrore. Basta guerre, basta morti, basta vittime.

Ore 13.00

Carcere

Prosegue la protesta dei circa 150 detenuti del carcere di Enna, che aderiscono alla manifestazione nazionale indetta dall'associazione romana "Papillon". Una lunga piattaforma di richieste quali provvedimenti di amnistia ed indulto migliori condizioni di vita all'interno degli istituti di pena, l'attuazione del nuovo regolamento carcerario, uguali possibilita' per tutti i detenuti di ottenere benefici e permessi. I detenuti di Enna che da lunedi' 9 settembre battono sulle sbarre delle celle con oggetti metallici dal primo del mattino fino alle ore 23, avrebbero deciso di continuare a manifestare fino al 16 settembre. Sembra che la decisione di sospendere la battitura durante la notte sia stata presa per non disturbare il sonno dei figlioletti delle detenute che vivono all'interno del carcere con le madri.

UE vs USA

L'Unione europea pubblichera' venerdi' la lista dei prodotti americani che saranno colpiti con dazi per complessivi 4 miliardi di dollari se gli Usa non smantelleranno lo schema di agevolazioni fiscali 'Foreign Sales Corporation' (FSC), giudicato illegale dalla World Trade Organization (WTO). L'Ue, secondo la pronuncia dell'organizzazione di Ginevra, potra' imporre dazi fino al 100% nei confronti di prodotti statunitensi. La Commissione europea ha gia' messo a punto la lista, che colpisce un ampio ventaglio di settori (fra i quali l'agricolo, il tessile, l'elettronico, il metallifero) e che dopo la pubblicazione sara' sottoposto ai commenti dell' industria europea. Il commissario Ue al commercio, Pascal Lamy, ha indicato che l'Europa vorrebbe vedere abolito l'FSC - che per anni ha consentito consistenti risparmi fiscali alle multinazionali americane - entro le elezioni del Congresso Usa di novembre.

Campo Nomadi

E' in corso a Roma, nella zona di Ponte Milvio, un'operazione dei carabinieri contro l'immigrazione clandestina che ha per obiettivo un campo nomadi situato lungo le sponde del Tevere. I militari stanno effettuando operazioni di identificazione e sgombero di un cospicuo numero di clandestini, ancora in via di esatta quantificazione. Gli extracomunitari, dediti ad occasionali lavori di manovalanza nonche' a furti e scippi, avrebbero costituito una piccola comunita' composta da soggetti che spesso causano turbative dell'opinione pubblica con risse, aggressioni ed ubriachezze moleste.

gRor 17.00

DAL MONDO

PALESTINA

Il governo palestinese ha presentato oggi le proprie dimissioni, che il presidente dell’Anp Yasser Arafat ha accettato. La decisione, un po’ a sorpresa, è stata presa per sfuggire a un probabile voto di sfiducia da parte dei deputati del Consiglio legislativo palestinese (Clp), riuniti a Ramallah. In pratica, il leader palestinese ha voluto evitare una umiliazione politica, considerando che l’esecutivo era stato formato su sua iniziativa nel giugno scorso. Questa mattina, quando era apparso chiaro l’orientamento negativo dei deputati, Arafat aveva giocato la carta delle elezioni. Annunciandone lo svolgimento per il 20 gennaio prossimo, il leader palestinese contava di accreditare l’attuale compagine come governo di transizione, nel tentativo di sottrarla al voto di fiducia. L’espediente, tuttavia, non è servito allo scopo e a quel punto le dimissioni sono divenute l’unica strada praticabile. Nelle prossime due settimane Arafat dovrebbe ora presentare un nuovo gabinetto.

CHAPAS - MEXICO

Semplicemente “vergognosa”. Così l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) del ‘subcomandante’ Marcos ha bollato il verdetto della Corte Suprema di giustizia messicana (Scjn) con il quale il massimo tribunale del Paese ha respinto 322 ricorsi di incostituzionalità contro la discussa legge sui diritti e la cultura indigeni, approvata dal Congresso nell’aprile 2001 nonostante la ferma opposizione delle popolazioni autoctone e degli stessi zapatisti. In un comunicato, diffuso via internet, l’Ezln ha protestato contro quella che definisce una “decisione che mutila la bozza originaria” della ‘Ley Indigena’, formulata nel 1995 dalla Commissione per la concordia e la pacificazione (Cocopa), organo di mediazione per la pace in Chiapas. Gli zapatisti sono tornati quindi a ribadire che “i legislatori, il governo federale e la Corte Suprema hanno ignorato gli Accordi di San Andres”, siglati nel 1996 con l’esecutivo. “Hanno tradito il movimento indigeno nazionale – hanno aggiunto – e vanificato il nostro sforzo per trovare una via d’uscita pacifica e negoziata al conflitto”. Con la nota, la guerriglia ha di fatto rotto il silenzio che manteneva dall’ottobre 2001, quando Marcos pronunciò parole di condanna sul presunto omicidio dell’avvocatessa per i diritti umani Digna Ochoa y Placido. Va ricordato che proprio a seguito dell’approvazione della legge indigena, nel maggio dello scorso anno il leader dell’Ezln ha sospeso ogni contatto col governo del presidente Vicente Fox. Ezln e organizzazioni indigene contestano, in particolare, il fatto che la legge non riconosca gli indios come soggetti di diritto pubblico, né definisca chiaramente il concetto di autonomia delle popolazioni autoctone. Allo stesso tempo, gli indios esigono che nel testo venga riconosciuto loro il diritto allo sfruttamento delle risorse naturali esistenti nei propri territori. L’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) ha comunicato poco fa che il pronunciamento contro la cosiddetta ‘Ley Indigena’, estrapolato dal suo sito internet e circolato nuovamente on-line nelle ultime ore, risale a 18 mesi orsono. Nessun nuovo comunicato, quindi, è stato finora diffuso dal movimento che fa capo al ‘subcomandante’ Marcos in merito alla decisione con cui la Corte Suprema messicana ha respinto nei giorni scorsi 322 ricorsi di incostituzionalità contro la discussa legge sui diritti e la cultura indigeni, approvata dal Congresso nell’aprile 2001 nonostante la ferma opposizione delle popolazioni autoctone e degli stessi zapatisti. “L’ultima nota dell’Ezln sulla ‘legge indigena’ – si legge sulla pagina web – è datata 29 aprile 2001”. Il quotidiano locale ‘El Universal’ riporta comunque oggi che fonti del movimento avrebbero assicurato che presto i vertici zapatisti si pronunceranno sulla vicenda. Intanto, sempre ‘El Universal’ aggiunge che dopo la decisione del massimo tribunale del Paese gli zapatisti hanno aumentato i posti di blocco in Chiapas, in particolare sulle strade che collegano Ocosingo, Las Margaritas, Palenque e Chilón mentre a San Cristóbal de las Casas migliaia di studenti, indigeni e militanti sono scesi in piazza per protestare contro il verdetto della Corte. I dimostranti hanno colpito le porte e le finestre della sede del Centro di informazione e sicurezza nazionale (Cisen), scrivendo sulle pareti dell’edificio slogan come “Traditori” o “Fuori dal Chiapas”. La mobilitazione si è conclusa nella piazza centrale, di fronte alla Cattedrale, dove è stata data lettura di un testo in cui i manifestanti hanno ribadito la propria opposizione alla risoluzione della Corte Suprema, accusata di aver vanificato -la lotta dell’Ezln per superare l’emarginazione e l’ingiustizia storica che gli indigeni hanno patito per oltre 500 anni-. Nel documento, letto da Yolanda Castro del ‘Coordinamento della società civile in resistenza’, è stato infine rilevato che la decisione del tribunale chiude definitivamente le porte al dialogo necessario a raggiungere la pace in Chiapas.