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ESTERI

PALESTINA: ISRAELE PREPARA LA REPRESSIONE PER LA PROCLAMAZIONE DELLO STATO PALESTINESE (NenaNews)

Ad una settimana dalla domanda di adesione della Palestina all’Onu, dopo il discorso di ieri di Abu Mazen che ha annunciato che si presenterà al Consiglio di Sicurezza, le autorità israeliane testano le contromisure punitive. Oggi per ore chiusi ai palestinesi due tra i più importanti posti di blocco in Cisgiordania. Centinaia di automobili hanno oggi atteso per ore di attraversare il checkpoint di Qalandiya, tra Ramallah e Gerusalemme, e il “container” checkpoint che divide Betlemme da Gerusalemme. Due blocchi, a Sud e al centro, la cui chiusura spezza ulteriormente la continuità del territorio palestinese e intensifica restrizioni al movimento dei residenti della Cisgiordania. A Qalandiya, l’esercito israeliano ha utilizzato blocchi di cemento per impedire il passaggio del traffico. Insomma, prove generali in vista del 23 settembre, che seguono ad altre misure prese dalle autorità israeliane e volte a soffocare sul nascere eventuali manifestazioni e marce palestinesi dopo il discorso che il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, terrà di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nelle scorse settimane, l’esercito è stato impegnato nell’addestramento dei coloni, dotati di gas lacrimogeni e bombe sonore per disperdere gruppi di palestinesi che temono possano avvicinarsi agli insediamenti in Cisgiordania. Inoltre, fonti militari hanno annunciato che le colonie saranno circondate e protette dai militari. La radio pubblica israeliana ha inoltre riportato la notizia che tre battaglioni di riservisti (circa 1500 soldati) sono stati mobilitati e messi in allerta, pronti ad intervenire nel caso di necessità. Eppure da parte palestinese sembra che la situazione sia calma, tra l’attesa e la disillusione. I palestinesi non sembrano affatto convinti che una simile iniziativa possa concretamente portare a qualche cambiamento sul terreno. Il presidente Abu Mazen chiederà l’adesione completa dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite, per mettere fine ad un’ingiustizia storica attraverso l’ottenimento di libertà e indipendenza, come ogni altro popolo sulla terra. Uno Stato palestinese entro i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Se all’Assemblea i voti positivi dovrebbero superare i 2/3 richiesti dall’ordinamento interno (e quindi portare all’adesione della Palestina come Stato non membro, osservatore permanente), al Consiglio difficilmente la richiesta potrebbe passare: il veto degli Stati Uniti è dato per certo.

SABRA E SHATILA, 29 ANNI DAL MASSACRO

Il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila, a Beirut anche quest’anno per commemorare il 16 settembre il massacro e chiedere giustizia, era presente a con una delegazione come sempre numerosa ed eterogenea, specchio di un ampio panorama del mondo della solidarietà verso la causa palestinese. Rappresentanti di tante associazioni locali provenienti da Firenze, Napoli, Modena, Reggio Calabria, Pisa, Torino, Roma si mescolano con attivisti senza «casa», fotografi e giornalisti. Per i palestinesi del Libano la presenza internazionale è una vera e propria boccata di ossigeno, che arriva in un momento particolarmente difficile. Anche se in ritardo rispetto Cisgiordania e Gaza la frattura Fatah-Hamas fa sentire pesantemente anche qui i suoi effetti. Soprattutto con veti incrociati e timori di prevaricazione che rischiano di bloccare sul nascere qualsiasi iniziativa. Ai figli del popolo di Palestina sono ancora precluse tantissime professioni lavorative. Una situazione storica, che sommata alle difficoltà ad accedere alla sanità e all’istruzione, e al divieto di proprietà, fa dei profughi palestinesi in Libano gli ultimi fra gli ultimi. In questa situazione non può sorprendere la diffidenza che riceve la proposta in discussione in questi giorni alle Nazioni Unite sul riconoscimento dello stato palestinese. Non c’è ostilità, ma timori che come con gli accordi di Oslo questa iniziativa possa mettere ancora più all’angolo la questione del diritto al ritorno e del futuro per i milioni di profughi palestinesi. Ancora una volta la storia fa capolino sul presente libanese e si intreccia con la stagione dell’Olp a

LIBIA: RINVIATA LA FORMAZIONE DEL GOVERNO TRANSITORIO

È stata rinviata ‘sine die’ la formazione di un governo transitorio dopo che i nuovi dirigenti della Libia non sono pervenuti a raggiungere un accordo sulla formazione dell’esecutivo. Ieri gli esponenti del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) si erano riuniti a Bengasi per scegliere un governo in grado di guidare il paese sino ad alezioni. I combattenti del Cnt sostengono di controllare il 90% del territorio libico, ma da giorni si confrontano a una forte resistenza da parte degli uomini rimasti fedeli al regime del colonnello Muammar Gheddafi nei pressi di Sirte e di Bani Walid, a est dalla capitale Tripoli. Le forze del Cnt hanno ammesso di aver subito perdite, con almeno cinque morti e 14 feriti nella sola giornata di ieri. Sarebbero diverse decine i ribelli uccisi negli ultimi giorni al fronte. La Nato, in appoggio ai combatteti del Cnt, ha bombardato 11 siti sabato nella regione di Sirte e 11 nell’oasi di Jofra, circa 300 chilometri a sud da Misurata. Moussa Ibrahim, portavoce di Gheddafi, ha dal canto suo sostenuto che i militari del regime hanno catturato un gruppo di 17 “mercenari”. “Si tratta di esperti tecnici, tra cui alcuni ufficiali. La maggior parte sono francesi, due britannici, uno asiatico e uno del Qatar”.

PAKISTAN: DRAMMATICA SITUAZIONE DOPO LE ALLUVIONI

Un appello internazionale per aiutare il governo del Pakistan ad affrontare le conseguenze di devastanti alluvioni nel sud del paese è stato fatto oggi dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha). L’obiettivo è quello di contribuire a fornire acqua potabile, servizi sanitari, generi di prima necessità, ripari d’emergenza a circa cinque milioni e mezzo di persone. Secondo stime correnti, le regioni più colpite sono Sindh e Baluchistan, che già lo scorso anno avevano subito estesi allagamenti in circostanze analoghe. Una nota dell’Onu riferisce che 824.000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e che il 72% dei raccolti nelle regioni colpite è stato distrutto. “I prossimi giorni saranno fondamentali… un anno dopo aver sperimentato le alluvioni più devastanti della sua recente storia, il popolo del Pakistan è nuovamente bisognoso di aiuto” ha detto Valerie Amos, vice-segretario generale dell’Onu.

Stati Uniti: fissata la data di esecuzione di Troy Davis

Il 6 settembre, un giudice della Georgia ha firmato l'ordine di esecuzione per Troy Davis, che autorizza lo stato a eseguire la condanna nella settimana tra il 21 e il 28 settembre. Il Dipartimento delle prigioni della Georgia ha fissato la data dell'esecuzione il 21 settembre. Troy Davis è stato condannato a morte nel 1991 per l'omicidio del poliziotto Mark Allen MacPhail a Savannah, Georgia, nel 1989. Nessuna prova fisica collega direttamente Davis all'omicidio e l'arma del delitto non è mai stata trovata. Il caso Davis si basa soprattutto sulle testimonianze oculari. Dall'inizio del processo, tuttavia, sette dei nove testimoni chiave hanno ritrattato o cambiato la loro testimonianza, dichiarando di aver originariamente accusato Davis su pressione della polizia. Il 28 marzo la Corte suprema degli Stati Uniti si è rifiutata di accogliere la richiesta del caso Davis, dando così la possibilità allo stato della Georgia di fissare la data della sua esecuzione. Dal 2007, tre stati degli Stati Uniti hanno abolito la pena di morte. Al momento della firma delle proposte legislative per l'abolizione della pena capitale, i tre governatori hanno sottolineato, tra le motivazione della scelta di rinunciare alla pena di morte, il rischio di commettere un errore irrevocabile. Da quando Troy Davis è nel braccio della morte, più di 90 detenuti sono stati rilasciati perché innocenti. In ognuno dei primi processi relativi a questi casi, gli imputati erano stati giudicati colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio.

ITALIA

NO TAV: FIACCOLATA PER LA LIBERAZIONE DELLE DUE COMPAGNE ARRESTATE (audio: ROR)

Dopo il presidio di lunedì a Torino diventato poi corteo che ha percorso il centro cittadino , anche la Val di Susa vuole scendere in piazza per chiedere l’immediata liberazione di Nina e Marianna. Con il comunicato delle donne No Tav del movimento riunitesi nel Coordinamento dei Comitati martedì scorso, ecco un’altra iniziativa per stringerci attorno a loro e per testimoniare come la Val di Susa non si lascia intimidire e, addirittura, rilancia. Domani il tribunale delle libertà deciderà se scarcerarle oppure no, noi le vogliamo libere…subito! Lunedì 19 settembre tutti in strada per una fiaccolata che partirà alle 20,30 dalla stazione di Chiomonte.

LAMPEDUSA: tenuti in vergognose condizioni i i minori migranti non accompagnati (Peace Rep.)

La tragedia dei migranti, in Italia, sembra non avere mai fine. Come se si volesse superare, ogni volta, il limite di una decenza che è prima etica che giuridica. Dopo i lager, dopo i respingimenti, ecco i minori trattati come criminali, puniti per il solo fatto di essere migranti. Una categoria che, almeno per un po' di anni, si è caratterizzata per una certa attenzione da parte di istituzioni e associazioni. La dott.ssa Giuseppina Cassarà, specialista in Medicina Interna delle Migrazioni, Medicina tropicale e Salute internazionale, ha lavorato come medico volontario a Lampedusa, dal 22 al 28 agosto scorsi. Ha reso pubblico un report angosciante, che rende pubblica una situazione vergognosa per un Paese civile. La base è una struttura orrenda e fatiscente, arroventata dal sole. Un problema per la profilassi di alcune malattie e la segnalazione di casi particolari è che i trasferimenti dei migranti vengono decisi senza alcuna comunicazione agli operatori sanitari di ong o altre istituzioni. Diventa quindi impossibile tracciare i minori nei loro percorsi dopo Lampedusa, anche perchè le identificazioni non sono ne complete né certe. Negli alloggi, ha potuto verificare una condizione igienico sanitaria devastante. La carenza dell'acqua corrente è solo uno dei problemi. Nella zona migliore - quella dove sono alloggiate le ragazze, al piano inferiore - i materassi erano degli strati di gommapiuma sporca, logora, buttati per terra senza spazio per camminare tra un materasso e l'altro. Senza lenzuola, tranne qualcuna lercia di carta, senza copri materasso. C'è un altro problema: si tratta di ragazzine tra i tredici e i diciassette anni, costrette a vivere in luoghi inadeguati in condizioni di promiscuità continua con i ragazzi che sono al piano di sopra. Ha chiesto se venissero forniti profilattici, al fine di salvaguardare la salute dei ragazzi soprattutto alla luce di numerose storie di abusi sessuali di cui sono vittime i migranti sub sahariani durante il lungo viaggio per arrivare il Libia. Lei è stato risposto che non si potevano fornire preservativi, perché sarebbe sembrato un modo di incentivare l'attività sessuale, assolutamente proibita nonostante l'evidente condizione di promiscuità. Anche se non si capisce come. Inoltre, non si fornisce alcuna informazioni legale e in più gli altri operatori non hanno la minima alfabetizzazione all' approccio trans-culturale.


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gror110919 (last edited 2011-09-19 18:39:56 by anonymous)