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Solo chi vive o ha vissuto dentro un campo profughi può comprendere quanto difficoltosa possa essere la vita di un rifugiato. Come donna palestinese sotto occupazione, nata e cresciuta dentro un campo profughi, non mi sovviene facile parlare della vita, della mia esistenza di donna in un paese occupato da più di cinquant’anni. Da quando sono nata non ho visto nient’altro che il mio campo, esso rappresenta la mia città, il mio villaggio, il cortile ed il mio ospedale.
Questo luogo invaso di cemento è tutta la mia vita, tutto mi è stato negato eccetto il campo. In passato trovavo insopportabile essere un abitante del campo: le persone guardano i rifugiati con occhi diversi e riescono a vederci solo come esseri maleducati, senza istruzione e poveri.
Il campo è uno spazio molto affollato, le abitazioni sono separate da strade strettissime e se il tuo vicino urla contro sua moglie, o i bambini, puoi udirlo chiaramente e aprendo la porta, o una finestra, puoi spiare la vita che scorre dentro le altre case.
Essendo il mio campo il più piccolo dei tre di Betlemme, non è stato fornito di scuole o cliniche ospedaliere, obbligando i suoi abitanti ad usufruire dei servizi offerti negli altri due campi.
Tutto questo esiste ancora oggi ma in passato la vita era ancora più dura, per esempio durante l’estate non c’era l’acqua.
Adesso, forse puoi immaginare quanto sia difficile la vita di un rifugiato.
Il mio campo profughi si trova a nord di Betlemme, vicino alla tomba di Rachele, divenuta da tempo postazione militare israeliana e fonte di grossi problemi per gli abitanti del campo.
Ho un fratello ed un cugino che studiano all’università di Gerusalemme, in Abu Dis, un quartiere vicino alla città vecchia, isolato dal muro dell’Apartheid. Per raggiungere i luoghi di studio devono attraversare un check point che il più delle volte trovano chiuso senza una precisa ragione. Così, sono obbligati a trascorrere anche più di tre ore sotto il sole, in attesa che i soldati riaprano il passaggio, decisione che dipende esclusivamente dall’umore del momento. Per non affrontare queste pressioni ho deciso di frequentare l’università di Betlemme evitando l’attraversamento quotidiano del check point.
Non pensiamo mai a cosa faremo la settimana prossima, il nostro unico pensiero è cosa potrà accederci il minuto successivo.
Durante la prima Intifada le donne del campo erano al pari degli uomini. Erano parte attive nella resistenza: i sodati israeliani le arrestavano e le trasportavano alle postazioni militari, erano donne coraggiose. Mia madre mi ha raccontato molte storie di lei e delle altre donne del campo, durante la prima resistenza. Una volta, rientrando dal lavoro un soldato la fermò con l’intenzione di arrestarla e lei riuscì a scappare.
Ricordo di me e delle mie amiche, al ritorno da scuola, mentre tentavamo di nasconderci dai soldati che sparavano gas lacrimogeni e vidi alcune donne aiutare i ragazzi a nascondersi ed altre lanciare pietre. Eravamo un’unica, grande famiglia e chiunque avesse un problema trovava facilmente aiuto. C’era lavoro e i soldati israeliani erano meno duri: ogni mese ammazzavano un solo palestinese!
Durante questa seconda Intifada (Al-Aqsa Intifada) tutto è cambiato, in ogni istante potrebbe accadere qualcosa di veramente terribile. Non possiamo vivere senza ascoltare le notizie alla televisione almeno ogni dieci minuti, non possiamo vivere senza versare lacrime.
Nel nostro campo il 70% della popolazione è senza lavoro, molti dei nostri giovani sono rinchiusi nelle carceri israeliane, molti degli abitanti sono feriti e/o invalidi. Molti ragazzi lasciano la scuola per cercare un lavoro, altri siedono sulla strada aspettando due spiccioli dalla famiglia, altri approdano all’università per svagare la mente.
Alcune famiglie impediscono alle figlie di frequentare la scuola superiore o l’università e non è raro trovare ragazze sedicenni già sposate.
Tuttavia non possiamo dimenticare che il campo ha partecipato attivatamene alla prima resistenza e continua a sfidare e a resistere sotto l’occupazione.
La resistenza contro la forza occupante è un diritto dei palestinesi e se guardiamo la storia della Palestina troviamo che i profughi hanno perso le loro terre, la libertà e la possibilità di avere una vita dignitosa e per queste ragioni continuano ancora ad oggi a combattere l’occupazione.
Nel campo puoi vedere molte persone che parlano del diritto al ritorno o della situazione nella quale versa la Palestina. La Palestina intera significa molto per noi: nella nostra cultura la terra è l’elemento più importante per la nostra vita. Noi rivogliamo tutta la Palestina (‘48 e ‘67) e con essa Gerusalemme. In quanto rifugiata ho diritto a ritornare al villaggio dal quale i soldati israeliani obbligarono la mia famiglia a partire, disperdendola nel mondo. Ho due zii che non ho mai visto e che conosco solo per telefono. Io chiedo di poter tornare al mio villaggio. Non posso accontentarmi di ricevere solo una parte di tutta la Palestina storica. Questa terra è per i palestinesi e non per gli israeliani che, arrivando da ogni parte del mondo, sono convinti di possedere il diritto a vivere su questa regione, considerandola come la loro nazione!
Continuo a sperare e a chiedere giustizia e a lottare per una giusta pace.
E’ possibile che il mondo sia convinto che i palestinesi odino la vita in sè?
Eppure ne avrebbero tutte le ragioni: l’occupazione israeliana, nessuna giustizia, punizioni e torture nella città e nei campi, coprifuoco per giorni e notti, demolizione di case, padri e fratelli rinchiusi nelle carceri israeliane, divieto di visitare parenti che abitano in altre città, è questa vita?
Udire gli spari per dieci ore consecutive e la mattina tornare alla vita normale: scuola, lavoro, università. Obbligati ad ascoltare il fragore dei bombardamenti e a respirare l’odore di morte. Quelle sono state le sensazioni che ci hanno accompagnato per più di sei mesi, quando i carri armati, i blindati ed i bulldozer, assediarono la città.
Quando si ritirarono cominciò una nuova vita ma la sensazione che tutto potesse ricominciare non ci ha più abbandonato.
Addormentarci senza il rumore dell’occupazione è il nostro sogno.
Io prego per una giusta pace, è importante per la nostra gente e per i nostri bambini, soffocati dall’occupazione.
Ho un sogno: vedere i bambini palestinesi vivere una vita normale, senza paura, senza depressioni e stanchezze. Vorrei vederci riconosciuto il diritto alla vita, allo studio, al divertimento ed infine sentirmi al sicuro.
Ho qualcosa da dire al popolo europeo: non guardare solo ad un lato della questione palestinese, prova a conoscerci meglio ed aiutaci a cambiare questa dura realtà.



Solo chi vive o ha vissuto dentro un campo profughi può comprendere quanto difficoltosa possa essere la vita di un rifugiato. Come donna palestinese sotto occupazione, nata e cresciuta dentro un campo profughi, non mi sovviene facile parlare della vita, della mia esistenza di donna in un paese occupato da più di cinquant’anni. Da quando sono nata non ho visto nient’altro che il mio campo, esso rappresenta la mia città, il mio villaggio, il cortile ed il mio ospedale. Questo luogo invaso di cemento è tutta la mia vita, tutto mi è stato negato eccetto il campo. In passato trovavo insopportabile essere un abitante del campo: le persone guardano i rifugiati con occhi diversi e riescono a vederci solo come esseri maleducati, senza istruzione e poveri. Il campo è uno spazio molto affollato, le abitazioni sono separate da strade strettissime e se il tuo vicino urla contro sua moglie, o i bambini, puoi udirlo chiaramente e aprendo la porta, o una finestra, puoi spiare la vita che scorre dentro le altre case. Essendo il mio campo il più piccolo dei tre di Betlemme, non è stato fornito di scuole o cliniche ospedaliere, obbligando i suoi abitanti ad usufruire dei servizi offerti negli altri due campi. Tutto questo esiste ancora oggi ma in passato la vita era ancora più dura, per esempio durante l’estate non c’era l’acqua. Adesso, forse puoi immaginare quanto sia difficile la vita di un rifugiato. Il mio campo profughi si trova a nord di Betlemme, vicino alla tomba di Rachele, divenuta da tempo postazione militare israeliana e fonte di grossi problemi per gli abitanti del campo. Ho un fratello ed un cugino che studiano all’università di Gerusalemme, in Abu Dis, un quartiere vicino alla città vecchia, isolato dal muro dell’Apartheid. Per raggiungere i luoghi di studio devono attraversare un check point che il più delle volte trovano chiuso senza una precisa ragione. Così, sono obbligati a trascorrere anche più di tre ore sotto il sole, in attesa che i soldati riaprano il passaggio, decisione che dipende esclusivamente dall’umore del momento. Per non affrontare queste pressioni ho deciso di frequentare l’università di Betlemme evitando l’attraversamento quotidiano del check point. Non pensiamo mai a cosa faremo la settimana prossima, il nostro unico pensiero è cosa potrà accederci il minuto successivo. Durante la prima Intifada le donne del campo erano al pari degli uomini. Erano parte attive nella resistenza: i sodati israeliani le arrestavano e le trasportavano alle postazioni militari, erano donne coraggiose. Mia madre mi ha raccontato molte storie di lei e delle altre donne del campo, durante la prima resistenza. Una volta, rientrando dal lavoro un soldato la fermò con l’intenzione di arrestarla e lei riuscì a scappare. Ricordo di me e delle mie amiche, al ritorno da scuola, mentre tentavamo di nasconderci dai soldati che sparavano gas lacrimogeni e vidi alcune donne aiutare i ragazzi a nascondersi ed altre lanciare pietre. Eravamo un’unica, grande famiglia e chiunque avesse un problema trovava facilmente aiuto. C’era lavoro e i soldati israeliani erano meno duri: ogni mese ammazzavano un solo palestinese! Durante questa seconda Intifada (Al-Aqsa Intifada) tutto è cambiato, in ogni istante potrebbe accadere qualcosa di veramente terribile. Non possiamo vivere senza ascoltare le notizie alla televisione almeno ogni dieci minuti, non possiamo vivere senza versare lacrime. Nel nostro campo il 70% della popolazione è senza lavoro, molti dei nostri giovani sono rinchiusi nelle carceri israeliane, molti degli abitanti sono feriti e/o invalidi. Molti ragazzi lasciano la scuola per cercare un lavoro, altri siedono sulla strada aspettando due spiccioli dalla famiglia, altri approdano all’università per svagare la mente. Alcune famiglie impediscono alle figlie di frequentare la scuola superiore o l’università e non è raro trovare ragazze sedicenni già sposate. Tuttavia non possiamo dimenticare che il campo ha partecipato attivatamene alla prima resistenza e continua a sfidare e a resistere sotto l’occupazione. La resistenza contro la forza occupante è un diritto dei palestinesi e se guardiamo la storia della Palestina troviamo che i profughi hanno perso le loro terre, la libertà e la possibilità di avere una vita dignitosa e per queste ragioni continuano ancora ad oggi a combattere l’occupazione. Nel campo puoi vedere molte persone che parlano del diritto al ritorno o della situazione nella quale versa la Palestina. La Palestina intera significa molto per noi: nella nostra cultura la terra è l’elemento più importante per la nostra vita. Noi rivogliamo tutta la Palestina (‘48 e ‘67) e con essa Gerusalemme. In quanto rifugiata ho diritto a ritornare al villaggio dal quale i soldati israeliani obbligarono la mia famiglia a partire, disperdendola nel mondo. Ho due zii che non ho mai visto e che conosco solo per telefono. Io chiedo di poter tornare al mio villaggio. Non posso accontentarmi di ricevere solo una parte di tutta la Palestina storica. Questa terra è per i palestinesi e non per gli israeliani che, arrivando da ogni parte del mondo, sono convinti di possedere il diritto a vivere su questa regione, considerandola come la loro nazione! Continuo a sperare e a chiedere giustizia e a lottare per una giusta pace. E’ possibile che il mondo sia convinto che i palestinesi odino la vita in sè? Eppure ne avrebbero tutte le ragioni: l’occupazione israeliana, nessuna giustizia, punizioni e torture nella città e nei campi, coprifuoco per giorni e notti, demolizione di case, padri e fratelli rinchiusi nelle carceri israeliane, divieto di visitare parenti che abitano in altre città, è questa vita? Udire gli spari per dieci ore consecutive e la mattina tornare alla vita normale: scuola, lavoro, università. Obbligati ad ascoltare il fragore dei bombardamenti e a respirare l’odore di morte. Quelle sono state le sensazioni che ci hanno accompagnato per più di sei mesi, quando i carri armati, i blindati ed i bulldozer, assediarono la città. Quando si ritirarono cominciò una nuova vita ma la sensazione che tutto potesse ricominciare non ci ha più abbandonato. Addormentarci senza il rumore dell’occupazione è il nostro sogno. Io prego per una giusta pace, è importante per la nostra gente e per i nostri bambini, soffocati dall’occupazione. Ho un sogno: vedere i bambini palestinesi vivere una vita normale, senza paura, senza depressioni e stanchezze. Vorrei vederci riconosciuto il diritto alla vita, allo studio, al divertimento ed infine sentirmi al sicuro. Ho qualcosa da dire al popolo europeo: non guardare solo ad un lato della questione palestinese, prova a conoscerci meglio ed aiutaci a cambiare questa dura realtà.

Cara Manar, scriverti per me è importantissimo. È un esilio che cerco ogni giorno. Mi serve per uscire dalla banalità della mia Italia. Penso spesso alla Palestina. Io ricordo quando tornavamo a casa prima del tramonto del sole, è pericoloso in Palestina muoversi con l’oscurità. In Italia noi giovani vivamo molto anche di notte. Ma non riusciamo ad apprezzare questa libertà. Sarebbe una preziosa libertà, ma non la capiamo. Noi in Italia ebdiamo tutto banale. Ho scelto di stare in zone di guerra. In quelle zone di guerra inventate dal mio occidente e dalla mia Italia. Per questo motivo sarei felice di imparare l’arabo. Qui in occidente si ha paura di tutto il mondo islamico. Io ho paura di questo. Io ho paura del mio occidente. Io rispondo alla tua lettera. Conosco la storia di Mohannad e del viaggio in Italia. L’ho saputa da Roberta. Io e Roberta siamo stati molto tristi per questa storia. Io e Roberta ne abbiamo parlato molto. Io penso che tu hai davanti a te due rivoluzioni; due liberazioni da portare a termire. La prima è quella da Israele e dall’occupazione sionista che vuole la tua intelligenza ferma in un campo per profughi. La seconda è dagli aspetti brutti della cultura araba che vuole la tua intelligenza con meno possibilità rispetto qella di un uomo. Non crede che rispetto le donne la cultura italiana sia molto migliore. Io penso che questo è un difficile argomento. Ma penso che è importante affrontare questo argomento. Io penso che io e te non avremo molte possibilità di comunicare, ma credo che mantenere la speranza possa essere una piccola parte di quella seconda rivoluzione che ci aspetta. Se Mohannad non ti ha portato in Italia quando ha avuto la possibilità. Tu sai che hai sempre una casa in Italia, e anche un po’ di amici. Io sono convinto che prima o poi ci sarà la possibilità. Ti ho visto per cinque minuti. È un tempo piccolo. E non ho parlato con te in quei cinque minuti. Ma è sufficiente per averti conosciuto. Per avere provato affetto verso la tua intelligenza. Io sono sicuro che ci vedremo. Questo o il prossimo anno. Io voglio lavorare anche sulla Palestina. E tu sei tra le persone care che ho in Palestina.

Qui in italia continuo la università. Io devo cambiare casa. Napoli è una bella città, un poco araba. I bambini che vivono nelle strade di Napoli sono molto simili ai bambini palestinesi.

Io lavoro in questo periodo per un giornale di sinistra. Scrivo articoli circa la cultura. Scrivo articoli anche sulla cultura palestinese. Questa settimana ho scritto una piccola cosa su Jean Khalil Chamoun e Mai Masri. Due registi libanesi che hanno fatto un film sulle donne palestinesi. Ho pensato anche a te mentre scrivevo… poi te lo spedisco.

Tu sei importante

A presto

IN THE SHADOWS OF THE CITY (Taïf al madina)

January 12 (Saturday) 8:30 pm

Directed by Jean Khalil Chamoun France/Lebanon 2000, 35mm, color, 100 min. With Majdi Machmouchi, Ammar Chalak, Christine Choueiri Arabic with English subtitles

To escape the civil war between Christians and Muslims, a family moves from the countryside to Beirut--only to be caught in an equally dangerous situation. The film revisits the decade and a half of civil war in Lebanon that ended in 1990 through the eyes of Rami, following the boy from age twelve to adulthood as his family struggles with unemployment, death, and the disappearance of loved ones. Documentary filmmaker Jean Khalil Chamoun, in his first fiction film, combines archival footage and a verite style to create a harrowing overview of the senseless conflict that left his country in physical and moral tatters. Yet even as he funnels this history through his young protagonist, he invests the shadows of the past with “noble dreams and precious memories.”

In the Shadows of the City’ gennemspiller borgerkrigen i Libanon fra de første israelske missiler blev afsendt mod mål i den sydlige del af landet i 1975 til krigen sluttede i 1990. Uden at tage parti, eller for den sag skyld at identificere konfliktens parter som henholdsvis kristne og muslimer, tegner Jean Khalil Chamoun et såre realistisk billede at livet i en krigszone. Rent tematisk ligger filmen tæt på Ziad Doueiris ‘West Beyrouth’ (vist på NatFilm ‘99), men Chamoun er mindre nostalgisk i sit snit og mere konfronterende i sin stil. Instruktøren, der selv har arbejdet som krigskorrespondent, indrammer sin historie i nyhedsklip, som leverer den historiske og politiske baggrund for historien om den tolvårige Rami, der flytter til Beirut med sin familie. Her får han job som en slags stik-i-rend dreng på en livlig café, ejet af en enke med smag for livets goder. Og her møder hans flere af de figurer, der kommer til at tegne Chamouns karakterdrevne historie - og Ramis eget voksenliv. Den voksne Rami får arbejde som ambulancefører i den ruinhob, der er tilbage af barndommens Beirut. Da han og faderen kidnappes af nogle soldater, slipper han på mirakuløs vis fri, hvorefter han langt om længe tager parti i konflikten og slutter sig til byguerillaen. Udover at tegne et bevægende, tredimensionelt portræt af en mand, der gennemlever krigen uden at miste sin integritet, skal ‘In the Shadows of the City’ også anbefales for sine fint afrundede og sammensatte kvindeportrætter.

He mixed archived images and fiction. Chamoun paints the portrait of Lebanon that the generations knew as a country in war. The city spectrum isn't a film about the war, but it's a succession of charismatic portraits of men , women, and children in a country in the war. Rami, a twelve years old child, is obliged to leave his village in southern Lebanon under the Israeli army's bombs, and seek shelter in Beirut with his family. His father’s unemployment obliged him to leave school and work in a café. The civil war flared. The assassination of his friend the musician shocks him deeply. Yasmine, his friend, leaves the region. Twelve years later Rami and his father are kidnapped on the front line that divides the city. He escaped and joined the militia where he met Siham, a woman determined to find her husband...

More than 350,000 Palestinian refugees live in Lebanon, 15,000 of them in the refugee camp of Shatila in Beirut. Through the eyes of two children who live in this camp, Issa and Farah, this documentary explores the determination to keep family and dreams thriving in a landscape that has been sculpted by war, poverty, grief and displacement.

Issa, a little boy who lives with his grandfather, sustained severe injuries when he was hit by a speeding car and has trouble learning in school. Farah lives with her parents and two sisters. The children?s memories and history are shaped by the violence that surrounds them. Both have lost family in the massacres and attacks that followed the 1948 Diaspora and the 1982 invasion of Lebanon by Israel. An aunt was decapitated, an uncle shot ? every family and friend they know has lost someone to the violence.

The filmmaker gives Issa and Farah a small video camera to film their lives and learn how they see their own world. Both children start asking their elders how they felt about leaving Palestine. When queried about what he wants to tell the new generation of Palestinians, an old man asks that Palestine must never be forgotten. ?Promise me that,? he tells the children.

The poverty of Shatila offers little escape. Farah?s mother says that when her children tell her their dreams she feels ?awkward and afraid to shock them with the truth,? and wonders about the kind of future that lies ahead. Yet both children inspire viewers with their ability to keep their hearts and minds open. Farah tells a nursery class, ?Imagining is the main thing, even if you only draw a bird.? And Issa has a wonderful dream where he is a prince.

While the focus is on the lives of children, this documentary is not suitable for younger children. It is appropriate for mature young adults, and university and community audiences interested in learning about the Israeli-Palestinian conflict, life in the refugee camps, and the lasting effects of war.

Hello alissandro I am fine , busy with the school , I am finishing the subjectes with my students , and preparing for the final examination , and I am looking and waiting the summer holiday , because I am tired from teaching , any way it is really nice to hear form you , and to know that you are starting to study arabic , it is really wonderful, I hope you will be good in arabic , I also know arabic is not easy but if you like the language you can learn fast , and roby tolled me that you are taking lissones it seemes nice so good luck , and also with your examinations. And to study two months in Damascus , it is good but it is hard if you want to comeback to palestine , so I don’t know what you should do , so I hope you will not have proplemes with this , and for your visiting in November , you are wellcoming any time , maybe we can have a chance to talk more, but I think it will be hard , because of our habites and tradition , ok you asked once about if the girl can travel , or if I can visit italy , well ali you sow mhannad my brother and I am sure you liked his mind and the way of thinking , and as you know he is pflp , but believe me he cant live away from the habites and tradition , even I don’t blame him , but I will tell you something, when mohannad had the chance to go to italy he was very happy and we where talking a lot a bout this with my uncle , and mohannad had the chance to take a girl with him from the camp , and this trip has lotes of both girles and boyes they go from my university so my uncle toled him you can take manar with you , specially my father will not say no because I will be with my brother and you could know what happened ? mohanad sayed no , he cant take me with him , and he talk with a girl from the camp to go with him, I remember this day I was very sad from him , ( he can go with girls ) you know why ? because he is ( MAN ) sorry for all what I say, it is a lot but I really feel sad a bout this ?? Thanks again for youre letter , and good luck with every thing you do in youre life Best wishes from me……

  • Manar

hi alessandro, i talked to amira and lucas about the film and none of us have seen it. we're trying to collect documentaries in the office so it would be really wonderful if you could make us a copy. do you have the pengon address? how is work on your documentary going? you must have a lot of footage to go through. not much good news here. the army continues to come to dheisheh almost nightly and have regularly arrested people. it was passover and easter last week so jerusalem was crazy with tourists here for holy days. many american jews walking around waving israeli flags. lots of press came to dheisheh in the past few days to see the refugees reaction to bush. they put ziad on bbc news. alright, i should go back to my piles. (i got through all the ones that were out when you were here but now am working on amira's office) take care and thank you.

josie and i haven't forgotten about the contact for the Canadian Film Festival. It's just been a little crazy lately because i had a big proposal due last week for Ibdaa. I will be back in Ibdaa on friday the 23rd and will hopefully be able to send you the information then.

U.S.A.

governo americano

presidente GeorgewBush

the Cabinet uyybzcfzesxbole Secretary of Agriculture Ann Veneman

Secretary of Commerce Don Evans

Secretary of Defense DonaldRumsfeld

Secretary of Education Rod Paige

Secretary of Energy Spencer Abraham

Secretary of Health & Human Services Tommy Thompson

Secretary of Homeland Security TomRidge

Secretary of State ColinPowell

Secretary of Transportation Norman Mineta

Secretary of Treasury John Snow

Secretary of Veterans Affairs Anthony Principi

Secretary of Housing & Urban Development Mel Martinez

Secretary of Interior GaleNorton

Attorney General John Ashcroft

Secretary of Labor Elaine Chao

consiglieri del presidente

Consigliere Di Sicurezza Nazionale CondoleezzaRice

ISRAELE

governo israeliano

ArielSharon - Prime Minister

(inoltre tiene le comunicazioni, l'alloggiamento e la costruzione, gli affari labor e sociali e le cartelle religiose di affari)

  • YosefLapid - Ministro della Giustizia, and Deputy Prime Minister

    EhudOlmert - Ministro dell'industria e del commercio, and Deputy Prime Minister

    SilvanShalom -Ministro degli affari esteri, and Deputy Prime Minister

    BenyaminElon - Ministro del turismo

    TzachiHanegbi - Ministro della pubblica sicurezza

    YisraelKatz - Ministro dell'agricoltura e dello sviluppo rurale

    AvigdorLieberman - Ministro dei trasporti

    LimorLivnat - Ministro della educazione, cultura e sport

    TzipiLivni - Ministero per l'assorbimento degli immigrati

    ShaulMofaz - Ministro delle difesa

    YehuditNaot - Ministro dell'ambiente

    DanNaveh - Ministro della salute

    BenjaminNetanyahu - Ministro della finanza

    JosephParitzky - Ministro delle infrastrutture nazionali Avraham Poraz - Ministro dell'interno Eliezer Sandberg - Ministero delle scienze e tecconologie Gideon Ezra - Minister without Portfolio Uzi Landau - Minister without Portfolio Natan Sharansky - Minister without Portfolio

Meir Sheetrit - Minister without Portfolio

mace (last edited 2008-06-26 09:53:48 by anonymous)