Di fronte alla vittoria di Hamas, Ehud Olmert ha dimostrato di saper tenere saldo il timone del governo israeliano ed ha aiutato il suo partito Kadima, avvantaggiato anche dagli errori strategici di Netanyahu, a mantenersi in netto vantaggio nei sondaggi in vista delle elezioni del 28 marzo.

Marco Pinfari

Equilibri.net (14 febbraio 2006)

A più di un mese dall’ictus cerebrale che lo ha ridotto in fin di vita e ha bruscamente posto fine alla sua carriera politica, sabato 11 febbraio Ariel Sharon è stato sottoposto ad un ulteriore intervento chirurgico per arrestare un’emorragia intestinale che rischiava di aggravare ulteriormente il già gravissimo quadro clinico del premier israeliano. L’intervento presso l’ospedale Hadassah è riuscito e Sharon non è più in pericolo di vita immediato. Tuttavia, con il passare delle settimane, le possibilità di un suo risveglio sono sempre più scarse, e praticamente nulle le speranze che riacquisti almeno parte delle capacità intellettive.

L’aggravamento delle condizioni del premier ha attratto l’attenzione dei media israeliani ed internazionali dopo settimane di pressoché assoluto silenzio. Il silenzio sullo stato di salute di Sharon è stato ripetutamente chiesto della famiglia dell’ex generale, ed il suo rigoroso rispetto è stato facilitato dalla presenza di numerosi sviluppi internazionali che gettano la propria ombra sul futuro dello stato ebraico: in particolare, la vittoria elettorale di Hamas il 25 gennaio e la determinazione con cui l’Iran di Ahmadinejad prosegue nell’acquisizione di tecnologie nucleari a fronte dell’esplicita condanna dell’AIEA. Questi eventi, insieme alle diatribe sulla prosecuzione della costruzione del muro difensivo in Cisgiordania, hanno permesso ad Israele di focalizzare la propria attenzione sull’operato del primo ministro ad interim Ehud Olmert, candidato premier per il neoformato Kadima. Un operato, quello di Olmert, che ha attratto vasti consensi e che pone le basi per una significativa vittoria elettorale del partito fondato da Ariel Sharon. Olmert, Hamas ed il dualismo governativo dell’ANP

Il 31 gennaio la presentazione della lista elettorale di Kadima ha stabilito definitivamente i ruoli all’interno del partito. Olmert è stato posto al vertice della lista, seguito da Shimon Peres e da Tzipi Tivni. Quest’ultima, quarantott’anni, attualmente alle guida del ministero degli affari esteri in attesa delle imminenti elezioni, godeva di un rapporto di particolare stima e fiducia con Ariel Sharon ed è indubbiamente una delle personalità più rilevanti della nuova generazione di politici israeliani che sta lentamente emergendo. I quotidiani israeliani hanno riferito la volontà di Olmert di includere Sharon nella lista; un’ipotesi dall’alto significato simbolico, che non ha ricevuto attuazione per l’evidente incapacità del leader di firmare l’atto di candidatura, ma che testimonia la centralità del programma politico ed ideologico dell’ex generale in Kadima.

Nonostante si premuri di precisare regolarmente il suo debito personale e politico nei confronti di Sharon, Ehud Olmert ha dato prova, nelle ultime settimane, di una notevole capacità di leadership e di una indiscutibile intelligenza politica. La vittoria di Hamas nelle elezioni per l’assemblea politica palestinese ha testimoniato come il cammino verso una collaborazione sempre più stretta con l’ANP sia irto di ostacoli. Il susseguirsi di azioni criminali nella striscia di Gaza e la progressiva deriva islamista degli abitanti dei Territori ha evidenziato la possibilità che il ritiro unilaterale dai Territori possa non generare la sicurezza e la pace promessi da Sharon. In tale situazione, la strategia di Olmert è stata particolarmente attenta ed efficace. Pur esprimendo una seria preoccupazione per la preminenza di Hamas nell’assemblea legislativa, e nonostante la minaccia di non collaborare con un governo palestinese a guida islamista, Olmert ha riaffermato il legame di fiducia con Abu Mazen, sbloccando il trasferimento all’ANP di 54 milioni di dollari ricavati da tasse su palestinesi e da rendite doganali, fondamentali per garantire la sopravvivenza della sua enorme amministrazione pubblica. Pochi giorni più tardi, il 7 febbraio, Olmert ha compiuto un sopralluogo nelle aree della Cisgiordania in cui è ancora in costruzione la “security fence”, sottolineando l’impegno di Kadima di concluderne la costruzione «entro l’anno» e di includere nell’area ad ovest della barriera i nuclei più massicci di insediamenti, tra cui Gush Etzion e Ma’ale Adunim. La strategia del primo ministro ad interim è chiara. Kadima è fortemente impegnato a proseguire la strategia di Sharon di ritiro unilaterale dai Territori, e prende in seria considerazione l’ipotesi di un ritiro anche dalla Cisgiordania, quando la barriera sarà conclusa. Secondo le stime attuali, il ritiro dall’area racchiusa dalla barriera – che prevedrà anche un tratto ad est, nella valle del Giordano – implicherà il trasferimento di circa 120.000 coloni, la metà circa di quelli attualmente insediati al di là della “linea verde”. L’altra metà, che include i grandi gruppi di colonie demografiche quali Ariel, Gush Etzion e Ma’ale Adunim, si troverà di fatto annessa ad Israele. Un programma ambizioso, ma allo stesso tempo fortemente simpatetico con i desideri di vasti gruppi di coloni; un programma che non può incontrare l’approvazione dell’ANP, ma attorno al quale si coagula il consenso della maggioranza dell’elettorato israeliano.

In tale contesto, la vittoria di Hamas non ha stravolto la strategia di Kadima. La possibilità di una radicalizzazione della politica palestinese rafforza il sostegno interno per la costruzione della barriera. Soprattutto, la presenza di una struttura governativa duale al vertice dell’ANP costituisce un’àncora di salvezza per Israele e per la stessa politica estera palestinese. Nel 2003, la creazione della figura del primo ministro aiutò Arafat a mantenere i contatti con Israele ed i partner occidentali negli anni in cui egli era oggetto di un ostracismo diplomatico a causa del suo coinvolgimento nell’Intifada in corso. Oggi, la presenza di tale figura, nel fluido contesto costituzionale dell’ANP, rende possibile per Israele mantenere i contatti con la più alta carica dell’ANP pur in presenza di un progressivo allineamento dell’elettorato verso i programmi di Hamas. Olmert può, dunque, chiedere l’isolamento internazionale di Hamas – seguito con determinazione dagli Stati Uniti – pur senza chiudere i rapporti con Abu Mazen e la leadership palestinese, senza il cui sostegno amministrativo e militare non sarebbe possibile concludere alcun disimpegno unilaterale dai Territori. La debole strategia di Labor e Likud

Tuttavia, la strategia elettorale di Kadima trae giovamento dall’assenza di una reale, seria competizione programmatica sui grandi temi di politica estera del paese. Qualsiasi primo ministro israeliano, di fronte all’acutizzarsi della crisi internazionale attorno al programma nucleare iraniano, avrebbe affermato, alla pari di Olmert, la possibilità che l’Iran debba pagare un «prezzo molto alto» per la sua condotta. Mantenere una linea dura nei confronti del nucleare iraniano è una priorità per l’esecutivo di Israele, ma non può costituire una possibile linea di frattura nel dibattito politico. La vera partita elettorale in politica estera si gioca sui temi del ritiro da Gaza e dalla Cisgiordania e dei rapporti politici con i palestinesi: in tale contesto, Kadima gode di un vantaggio assoluto rispetto ai principali concorrenti.

La strategia di Amir Peretz, leader del Labor, è esplicitamente concentrata su tematiche economiche e sulla difesa dello stato sociale. I suoi attacchi ad Olmert mirano ad evidenziare l’adesione di Kadima alle politiche neoliberiste del Likud ed il rifiuto del primo ministro ad interim di considerare l’innalzamento dei salari minimi e delle pensioni d’anzianità. Le critiche di Peretz sono certamente fondate: il programma economico di Kadima è esplicitamente di ispirazione liberale. Tuttavia, il chiaro orientamento settoriale dell’agenda del Labor implica un’autoesclusione dalla lotta per la poltrona di primo ministro. Il sostegno che il Labor è in grado di ottenere attorno al suo programma difficilmente supererà il 20% dei consensi: un risultato che probabilmente porterà i laburisti all’interno della coalizione governativa, ma che non concederà loro alcuna possibilità di influenzare le grandi direttive politiche del paese.

Ancora più debole è la posizione di Netanyahu. L’agenda elettorale del Likud si fonda su due principali strategie: criticare l’operato di Olmert e del Kadima, e rievocare i successi dei tre anni di governo di Netayahu. Attaccare le politiche di Olmert da “destra” è tuttavia - specialmente per un partito che, a sua volta, ha l’ambizione di attrarre parte dell’elettorato moderato - particolarmente difficile. Olmert non ha ancora commesso errori macroscopici, e, quando le sue politiche hanno prestato il fianco alle accuse di collusione con il terrorismo palestinese – come nel caso del trasferimento di denaro all’ANP - Kadima ha avuto buon gioco a rievocare il fatto che, da ministro delle finanze del governo Sharon, Netanyahu ha per anni, in prima persona, approvato le stesse misure che ora, per ragioni elettorali, vengono da lui pubblicamente criticate. Né la rievocazione del periodo 1996-1999 può essere una strategia vincente per il Likud. In quegli anni il processo di Oslo intraprese un lento ed inesorabile declino. Da primo ministro, Netanyahu alternò ad altisonanti promesse di pace dure repressioni contro i palestinesi, allontanando definitivamente ogni possibilità di compromesso. Oggi i cittadini israeliani sembrano consapevoli che l’unica strada per garantire la propria sicurezza a breve termine è quella del disimpegno dai Territori accompagnato dalla costruzione della barriera, una strategia che contrasta fortemente con la diplomazia bilaterale di Oslo. Richiamare gli anni ’90 non è una scelta politica destinata a pagare: il contrasto tra il giovane Netanyahu vittorioso nel 1996, ritratto dai manifesti del Likud recentemente affissi nelle strade israeliane, ed il Netanyahu di oggi, vistosamente invecchiato, potrebbe simboleggiare non solo come il tempo di Oslo sia ormai passato, ma come la strategia del Likud di “spingere la barriera a est” sia ormai ai margini del discorso politico israeliano.

A sei settimane alle elezioni parlamentari, Israele sembra dunque avallare sempre più il progetto politico di Kadima. Gli ultimi sondaggi accreditano il partito fondato da Ariel Sharon di circa 40 seggi – un risultato che, se confermato il giorno del voto, porrebbe le basi per quattro anni di stabile governo per Olmert. La prospettiva di un esecutivo forte di una larga base parlamentare è ulteriormente confermata dai dati che accreditano il Labor di più di 20 seggi, ed il Likud di un risultato di poco inferiore alla soglia dei 20. Se gli elettori israeliani confermeranno questi orientamenti, la frammentazione politica alla Knesset sarebbe particolarmente bassa, in controtendenza rispetto alle elezioni degli anni ’90 ma in linea con quanto emerso nell’ultima tornata elettorale del 2003. Kadima ed il suo leader Olmert potrebbero quindi giovarsi di un forte e solido sostegno per proseguire nella loro linea di politica estera, sostenuti da un consenso di cui lo stesso Sharon non ha mai goduto. Questa potrebbe essere la conseguenza più significativa dell’uscita di scena dell’ex generale: la fine drammatica di un leader, come spesso avviene, si sta tramutando in una finestra di opportunità per attuare la sua vera – o supposta – eredità politica.