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Esistono poi altri approcci al problema della continuità del reddito, innanzitutto il così detto reddito minimo garantito (Rmg) sul quale è recentemente intervenuto l’economista {X} Tito Boeri X-( : l’Rmg è concepito come uno strumento di lotta contro la povertà che raggiunga i poveri senza lavoro. Boeri scrive sulla voce.info che: «Il Rmg dovrebbe essere progettato in modo tale da incoraggiare il lavoro part-time e il lavoro occasionale, le principali fonti di impiego per una quota consistente di potenziali beneficiari. Per questo motivo, il Rmg dovrebbe contemplare una generosa franchigia sui guadagni, di importo fisso, e una ritenuta piuttosto bassa, dell’ordine del 60 per cento. Si dovrebbero, inoltre, prevedere misure di "reintegrazione" e di "attivazione" (aiuti nella ricerca di un impiego e sanzioni, in termini di riduzione del sussidio, a chi non collabora), con una chiara differenziazione fra tre gruppi di beneficiari: i giovani, i disoccupati di lungo periodo e i genitori single. Questi ultimi, quando con figli sotto i 6 anni, dovrebbero essere esentati dal requisito di lavoro.» Rispetto al reddito di base regionale (Rbr) proposto da Andrea Fumagalli le differenze non sono poche: l’Rbr aspira ad essere un reddito di cittadinanza, cioè una proposta di intervento economico generalizzato ed egualitario, che concorre a definire, al pari della cittadinanza giuridica, la piena cittadinanza economica e sociale.

L’obiezione principale che sollevano i promotori del Rmg è che un reddito di cittadinanza costerebbe troppo. Un altro approccio al problema è rappresentato dal così detto salario sociale. Il 1° febbraio 2000 su iniziativa dei deputati di Rifondazione Comunista fu presentata una proposta di legge (n.6722) alla Camera, intitolata Istituzione della retribuzione sociale. Si trattava di un nuovo istituto per sostenere il reddito dei disoccupati di lunga durata e di coloro che sono in cerca della prima occupazione da oltre un anno; la retribuzione sociale, «si compone di un reddito erogato direttamente dallo Stato ai singoli soggetti che rientrano nelle condizioni previste dalla proposta di legge, pari ad un milione di lire al mese per dodici mensilità nell'anno esenti dalle tasse, e di un pacchetto di servizi gratuiti offerti agli stessi soggetti dagli enti locali nell'ambito delle loro competenze». Anche qui si pone una grossa differenza con il concetto di reddito di cittadinanza, il quale non ha nulla a che vedere con il salario e con le caratteristiche del processo di accumulazione (da cui il salario dipende). L’analisi della crisi del paradigma fordista conduce a sostenere l’invalidità del nesso “lavoro =>reddito => cittadinanza: mentre in uno schema in cui il lavoro è lo strumento principe dell’inclusione sociale, le politiche di sostegno al reddito sono destinate ai cosiddetti “inabili al lavoro” (pensioni di invalidità, pensioni di vecchiaia etc…) e ai “poveri abili” condizionatamente alla loro disponibilità di usufruire di percorsi di inserimento lavorativo, riqualificazione professionale o altro, in un quadro, come quello odierno, in cui la disoccupazione è solo una delle cause che precludono l’accesso ad effettivi diritti di cittadinanza, lo schema dell’assistenza e dell’accompagnamento al lavoro salta. Da un punto di vista più politico, il tema del reddito è un punto di convergenza per soggetti tra loro differenti: nelle Marche (dove sto partecipando alla stesura di una bozza di legge regionale di iniziativa popolare) oltre ai partiti della sinistra radicale, la stesura della bozza di legge sta coinvolgendo tanto i centri sociali quanto altre esperienze più vicine al volontariato. E’ vero che tutte queste realtà danno un diverso significato al diritto al reddito; esse si sono però incontrate sul termine reddito sociale, come pure nell’idea di un processo a due stadi: il contesto istituzionale di una regione non può mettere a disposizione risorse sufficienti per un provvedimento di politica economica universale e incondizionato; questo può essere un’aspirazione legittima che abbisogna però di un contesto nazionale, e addirittura europeo. D’altra parte il senso vero ed ultimo di una proposta di legge regionale sul reddito sociale sta proprio nella mobilitazione. Quando si fa un ragionamento sulla sostenibilità finanziaria del provvedimento ci si accorge dei grossi limiti che il contesto regionale impon

articolo_di_Stefano_Lucarelli (last edited 2008-06-26 09:52:27 by anonymous)