23 gennaio 06

COMUNICATO STAMPA DELLA REBOC – RETE BOICOTTAGGIO COCA-COLA

Lettera aperta della Reboc a Chiamparino e Pescante

ROMA, 20 GEN 06 – Sigg. Mario Pescante e Sergio Chiamparino,

il vostro definirci “quattro imbecilli” o “peggio che imbecilli” o “pericolosi più di Al Qaeda” pensiamo sia sufficiente a dare la misura del vostro livello di nervosismo e difficoltà e a chiarire chi sia in questa vicenda ad esercitare la violenza, a partire da quella verbale.

L’intento di questa lettera è quello di dare a voi la possibilità di acquisire una corretta informazione intorno ai fatti di cui parlate, in modo che la prossima volta possiate rilasciare alla stampa dichiarazioni maggiormente equilibrate e consone ai ruoli istituzionali che ricoprite.

Le ormai 35 iniziative di contestazioni della Coca-Cola che la fiaccola ha incontrato nel suo percorso sono parte della campagna internazionale di boicottaggio della Coca-Cola, azienda che voi avete scelto come sponsor delle Olimpiadi invernali, pur conoscendo le gravi accuse che in tutto il mondo gli vengono mosse.

Era l’estate del 2004 quando per la prima volta la REBOC formulò al Comitato Olimpico Internazionale la richiesta di escludere la Coca-Cola dagli sponsor olimpici, in quanto colpevole di:

- comportamento antisindacale in Colombia, con una causa pendente presso il Tribunale di Miami e 179 gravi violazioni dei diritti umani registrate da una Commissione di inchiesta indipendente che ha visitato la Colombia all’inizio del 2004, confermando le accuse del sindacato colombiano SINALTRAINAL che denuncia i rapporti tra manager aziendali e paramilitari volti ad annientare il sindacato, con l’assassinio di 8 sindacalisti, rapine, torture, minacce di morte, montature giudiziarie e sfollamenti forzati di decine di leader sindacali;

- aggravamento della crisi idrica nello stato indiano del Kerala, su cui si è già pronunciata la Corte Suprema Indiana e lo Stato del Kerala, che mantiene l’impianto Coca-Cola chiuso proprio per questo motivo;

- gravi discriminazioni razziali nei confronti degli afroamericani negli USA, per le quali Coca-Cola ha accettato il patteggiamento più oneroso della storia statunitense per cause di questo tipo, pari a 192,5 milioni di dollari.

Per tutta risposta la collaborazione tra Olimpiadi e Coca-Cola è stata prolungata fino al 2020, non tenendo minimamente in considerazione le nostre richieste.

A questo punto è stata lanciata la campagna contro ‘Coca-Cola sponsor della torcia olimpica e degli squadroni della morte colombiani’ che come avete potuto constatare sta avendo una diffusione tale da costringervi a prenderne atto nonostante una ampia censura mediatica e da costringere in alcuni casi Coca-Cola a ritirare le proprie insegne dalla carovana olimpica, dopo aver verificato che i 55 milioni di euro da lei spesi in questa campagna di marketing hanno dato un risultato opposto alle aspettative.

Questa campagna è iniziata a Roma, dove non era stato programmato nessun blocco della fiaccola, ma solo un presidio con striscioni e volantini in un’area visibile dal percorso, che però la Questura non ha voluto autorizzare e poi si è affrettata a sgomberare.

Quando Chiamparino dice ‘se uno vuole alzare un cartello con su scritto “abbasso la Coca Cola” lo faccia’, probabilmente non sa che questo abbiamo richiesto e questo ci è stato impedito, in un modo evidentemente antidemocratico che non possiamo accettare e che non abbiamo accettato.

Pur avendo dovuto modificare le modalità di intervento, le 35 iniziative finora realizzate in tutta Italia sono state assolutamente pacifiche e nonviolente, con volantinaggi, striscioni di protesta, teatro di strada, slogan, in alcuni casi blocchi sul percorso che sono stati sgomberati dopo alcuni minuti dalla Polizia senza alcun incidente né opposizione violenta, provocando ritardi sulla tabella di marcia.

In nessun caso sono stati provocati danni a cose o persone, che non fossero le nostre cose o le nostre persone.

Sono state infatti le forze dell’ordine ad abusare del loro potere in diversi casi, a partire dal divieto di qualsiasi tipo di manifestazione a Roma e dalle cariche con cui i presidi sono stati sgomberati, fino ai fatti di Pisa, dove un ragazzo ha ricevuto un calcio nel bassoventre da un poliziotto ed ha dovuto ricorrere alle cure del Pronto Soccorso.

Abusi e violenze che il vostro appello all’intervento contribuirà probabilmente ad aumentare nei prossimi giorni, e di questo sarete considerati responsabili.

Non siamo stati noi ad associare la Coca-Cola alla fiaccola olimpica, anzi, vi abbiamo chiesto ripetutamente di non farlo.

Non siamo noi a danneggiare l’immagine nazionale, ma chi confonde questa con l’immagine di una multinazionale che viola i diritti umani.

Non siamo noi pericolosi, ma chi, come la Coca-Cola, è disposta ad assassinare, assetare, discriminare pur di aumentare i propri profitti.

Non siamo stati noi a trasformare un simbolo come la fiaccola olimpica in uno strumento di marketing della Coca-Cola, come è apparso evidente a chi ha potuto assistere in questi giorni al passaggio della fiaccola, con pullmann e stand Coca-Cola al seguito che distribuiscono lattine gratis, gadget e bandierine, con 1.900 tedofori selezionati da Coca-Cola con programmi di marketing rivolti ai consumatori.

Quelli che definite incautamente quattro imbecilli sono migliaia di persone e organizzazioni in tutto il mondo che si battono perché le imprese rispettino i diritti umani, i diritti sindacali e l’ambiente.

In Italia sono attivamente impegnate nella campagna più di 19.000 persone, oltre a sindacati, partiti politici, enti locali, associazioni.

In Germania, tra gli altri, aderisce alla campagna VERDI, il maggior sindacato a livello mondiale, con 3 milioni di iscritti.

In Inghilterra, tra gli altri, aderisce UNISON, il maggior sindacato inglese con 1,3 milioni di iscritti.

Tra gli USA, la Gran Bretagna e il Canada aderiscono 23 università, tra cui quella di New York, che è la maggiore università privata statunitense, e quella del Michigan, che conta 50.000 studenti.

Sulla vicenda della Coca-Cola in Colombia sono state presentate interrogazioni nei parlamenti di mezzo mondo, compresi quello europeo e quello italiano.

Nel mese di Marzo si recherà in Colombia una Commissione interistituzionale italiana per verificare le denunce del sindacato colombiano.

La campagna che coinvolge il percorso della fiaccola olimpica proseguirà, in questa come nelle prossime Olimpiadi, finché Coca-Cola non verrà esclusa dagli sponsor olimpici.

Vi rinnoviamo pertanto questa richiesta. Con l’esclusione della Coca-Cola potrete unirvi alla pressione che la società civile in tutto il mondo sta facendo su questa azienda, perché conceda una ‘tregua olimpica’ ai sindacalisti colombiani e rispetti maggiormente i diritti.

La campagna di boicottaggio della Coca-Cola continuerà finché la multinazionale di Atlanta non risponderà positivamente alle richieste di verità, giustizia e riparazione integrale dei danni nei confronti delle famiglie delle vittime colombiane.

Speriamo ardentemente che questo accada al più presto, per il bene dei lavoratori colombiani, per la tutela della libertà sindacale e della vita, valori per noi molto più importanti di una fiaccola olimpica ridotta ad intermezzo pubblicitario.

Con rispetto.

REBOC - RETE BOICOTTAGGIO COCA-COLA ++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

07-01-2006 El "dato" encerrado en la Coca-Cola

Gregorio J. Pérez Almeida Rebelión Evo Morales ha dicho muchas cosas que queríamos escuchar hace más de quinientos años por la boca de un presidente boliviano. Ha dicho también cosas que se escucharon con sordina por siglos en América Latina y ha dicho cosas que revelan, por fin y ante el mundo, una de las causas de la obstinada presencia yanki en territorio andino y especialmente boliviano: el control de la Coca a través de su empresa Coca Cola.

Con su parsimonia ancestral, Evo reclamó ante la prensa internacional el trato especial que le dan los gobiernos andinos a la comercialización de la hoja de coca que "compra" la Coca-Cola Internacional, empresa emblemática no sólo del Imperialismo yanki, sino de algo más profundo y eficaz en la dominación cultural que ejerce sobre gran parte del mundo: el "modo de vida estadounidense"(¿Verdad que no hay mejor combinación que una hamburguesa o un "hot dog" con todo y una Coca Cola bien fría?) Dijo Evo que el comercio de dicha hoja está ilegalizado entre los países andinos pero no para la empresa gringa, es decir que entre los ciudadanos y las empresas andinas no se puede comercializar libremente la hoja de coca, pero la Coca Cola sí puede comprar la cantidad que quiera en cualquier país andino que la produzca.

Más allá del dato frío y de la conclusión inmediata que se deriva de su primer análisis, podemos adelantar algunas otras hipótesis que nos llevan a dibujar otro esquema en la comprensión de la drogadicción y el narcotráfico internacional. Con tan sólo introducir en el esquema vigente el dato que estaba oculto y que nos reveló Evo Morales se abren nuevas interrogantes, surgen nuevas sospechas y cobran mayor relevancia algunos hechos pasados por "debajo de la mesa" de los especialistas internacionales en narcotráfico.

Primer interrogante: ¿En verdad se utiliza hoja de coca en la fabricación de la Coca Cola? Esta no es una pregunta retórica o desinformada sino que constituye un punto de inflexión obligatoria en el estudio del caso, porque en el año 2002 la misma empresa negó el uso de la hoja de coca en la fabricación del producto, tal como comprobamos al leer el artículo de Luís A. Gómez publicado en www.Rebelión.org, el 27 de noviembre de ese año. En el leemos:

"Hace unos días, el Viceministro de Defensa Social de Bolivia, Ernesto Justiniano, informó que su oficina había autorizado la exportación de 350 mil libras (aproximadamente 150 toneladas) de hoja de coca a Estados Unidos "para la fabricación de la gaseosa Coca-Cola"[.] El hecho fue negado por una vocera de la empresa estadounidense, consultada por el diario mexicano El Universal el martes pasado: Karyn Dest, vocera de Coca Cola, dijo vía telefónica desde Atlanta que la empresa no utiliza cocaína y que nunca ha sido parte de los ingredientes de la bebida" (Esta respuesta fue repetida en diciembre de 2002 por la representante de la trasnacional en México, Adriana Valladares).

Sorprendente esta respuesta que acaba con un mito moderno: la Coca Cola no contiene coca y mucho menos cocaína, pero. ¿Quién habló de "cocaína" en la Coca Cola? Nadie. Era una creencia, un mito ¿o un gancho publicitario? Pero de lo que sí se habló fue de las hojas de coca que compra por montones la trasnacional y la vocera lo evadió ¿o fue un Lapsus linguae? Buena vocera. ¿Interesante verdad? Pero más interesante se hace el asunto cuando seguimos leyendo en el artículo de Gómez y encontramos que:

"También se ha hecho público que el trabajo de Albo Export, una empresa propiedad del boliviano Fernando Alborta, ha exportado coca desde Perú y Bolivia los últimos años, y que entre 1997 y 1999 envió a Estados Unidos un equivalente a 340 toneladas de hoja. Estas operaciones de compra y procesamiento son severamente vigiladas, en Bolivia por la Dirección General de Control y Fiscalización de la Hoja de Coca (Digeco) y en Estados Unidos, claro que sí, por la DEA, que incluso provee los almacenes con sofisticados sistemas de alarma y los cofres especiales para guardar en New Yersey el curioso tesoro natural."

Pero esto no es todo en las contradicciones entre los expendedores "naturales" y sus "mejores clientes", porque en el año 2004, el zar antidrogas de Perú, Nils Ericsson, en un escrito publicado el 26 de enero, afirmó que: "La Coca Cola, la mundialmente conocida fábrica de bebidas gaseosas, compra al Perú 115 toneladas de hoja de coca al año y a Bolivia 105 toneladas con las cuales produce, sin alcaloides, 500 millones de botellas de gaseosas al día" (Luís Gómez, The Narco Bulletin, 28 de enero de 2005, en www.narconews.com), lo que hace pensar al articulista Gómez que la presión por erradicar la coca en Perú (y completamos nosotros: en todos los países andinos productores) es una estrategia para asegurar a Coca Cola el monopolio de la hoja de coca, no sólo con la intención de controlar ese mercado sino también para monopolizar el mercado de refrescos que utilizan hoja de coca ¿sin alcaloides? cuya fabricación está floreciente en Perú bajo las marcas Vortex Coca Energy y K-Drink.

Luego de leer todos los argumentos que rodean nuestra primera interrogante, una posible respuesta es la siguiente: Si la Coca Cola Internacional es la primera empresa multinacional (monopólica) en la comercialización de la hoja de coca, materia prima esencial de la Cocaína, para lo que se ha valido de su estatus legal privilegiado en los países andinos, y sus voceros se niegan a reconocer la utilización de hoja de coca en la fabricación de la bebida, entonces esta empresa debe ser el primer sospechoso en la investigación de las redes mundiales del narcotráfico porque ¿Qué hacen con todas esas toneladas de hojas de coca que compran anualmente?

Más allá o más acá de las preguntas y respuestas, que pueden multiplicarse por cien, vayamos por un instante a la realidad inmediata: tomemos en nuestra mano una botella de Coca Cola de 600 ml hecha en Venezuela y leamos lo que está escrito en la etiqueta luego de la identificación de la empresa productora:

"INGREDIENTES: AGUA CARBONATADA, AZÚCAR, CARAMELO, ÁCIDO FOSFÓRICO, EXTRACTOS VEGETALES Y CAFEÍNA"

¿Encuentra usted, amigo lector, alguna información que nos advierta la utilización de algún derivado de la hoja de coca? Cuando mucho nos pueden querer convencer con la enigmática expresión "EXTRACTOS VEGETALES", pero ¿de cuáles vegetales se trata y qué se les "extrae" a esos vegetales?, porque si se trata de la hoja de coca que contiene varios alcaloides, ¿cuáles desechan y cuáles dejan en la gaseosa? Y si la empresa reconociera que utiliza la hoja de coca y dice que elimina todos los alcaloides ¿qué sustancia queda? La verdad es que en vista de la contradicción evidente entre la acción de la empresa que compra toneladas de hoja de coca en Bolivia, en Colombia y Perú y el empeño de sus voceros en negar la utilización de hoja de coca en la fabricación de la bebida, lo menos que podemos hacer es demandarla por oferta engañosa. ¿Será posible que los ciudadanos de los países andinos donde se vende la Coca Cola, introduzcan una demanda (los especialistas dirían en cuál organismo y a qué nivel) por la vía de los intereses difusos? Fracasada o exitosa sería esta una experiencia extraordinaria de pedagogía política y de integración popular.

Otras interrogantes han estado en nuestra mente desde hace muchos años como misterios que nadie se ha atrevido a desentrañar porque están "protegidos" por normas internacionales de industria y comercio, pero hoy, gracias a los "cocaleros" andinos como Evo Morales y a investigadores como Luís Gómez, ya sabemos que la gaseosa más vendida en el mundo contiene en su fórmula algún derivado de la hoja de coca y si la empresa no lo reconoce entonces debe explicarle al mundo qué hace con tanta hoja de coca en sus depósitos de Atlanta. Algunas de esas otras interrogantes son:

¿Qué derivado, o derivados, de la hoja de coca es el que utilizan para elaborar la base de la Coca Cola y qué relación tiene (n) con la Cocaína?

¿Ese derivado genera adicción en los consumidores o crea en ellos las condiciones fisiológicas para propiciar algún tipo de adicción? Y si la hoja de coca diluida en la Coca Cola no genera adicción, entonces ¿por qué tanta alharaca (léase represión, persecución y muerte) con su cultivo, procesamiento y comercialización en los países andinos?


Ecuador - 2006-01-19 11:18:00 Indigeni insorgono contro il governo

La 'Confederazione delle nazionalità indigene dell'Ecuador' (Conaie) ha chiamato ieri la popolazione ecuadoriana a una sollevazione popolare contro il governo,

presieduto dal capo dello Stato ad interim Alfredo Palacio. Motivo della rivolta è l'insistenza con cui l'esecutivo sta cercando di concludere il 'Trattato di Libero

Commercio' (Tlc) con gli Usa. Il movimento indigeno ha diffuso un documento in cui si legge che "la Conaie fa un appello alla cittadinanza ecuadoriana e al popolo in

generale per sconfiggere il Tlc, affinché possiamo essere tutti chiamati a una consultazione popolare che decida il futuro dell'accordo con gli Stati Uniti". La Conaie

chiede inoltre l'espulsione dall'Ecuador della compagnia petrolifera statunitense Occidental (Oxy), la nazionalizzazione dei giacimenti di greggio e il ritiro delle truppe Usa dalla base militare di Manta. Notizia diffusa dall'agenzia stampa missionaria Misna.


Brasile: imposta territoriale rurale, i latifondisti ringraziano il presidente Lula L¹ITR è stata uccisa e sepolta. Le finanze federali perderanno il controllo del catasto e della opportunità di collegarlo alle dichiarazioni dell¹imposta sui redditi. I latifondisti sono euforici già pagavano poco e ora basterà loro imbrogliare un po¹ l¹amico sindaco e pagheranno ancora meno. Joao Pedro Stedile (João Pedro Stedile é dirigente del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra) Fonte: MST 18 gennaio 2006

Il 30 novembre del 1964, il regime militare di allora promulgò, attraverso un decreto, la prima legge di riforma agraria del Brasile. La Legge 4.554 si chiamò Statuto della Terra. Molti analisti agrari dell¹epoca si stupirono per la sua promulgazione poichè, nella sua essenza, si trattava di una legge progressista. Di fatto, conteneva aspetti progressisti nella sua concezione perchè è stata il risultato della proposta di un gruppo di tecnici che la veniva preparando dal tempo del governo di João Goulart e si ispirava alle idee sostenute dalla Commissione economica per l¹America Latina (CEPAL): utilizzare un¹ampia distribuzione di terre come forma di distribuzione di reddito, stimolo al mercato interno e allo sviluppo rurale. Tra gli aspetti progressisti della legge, c¹era la creazione del meccanismo dell¹espropriazione da parte dello Stato. Metteva fine, quindi, al diritto assoluto della proprietà della terra, in vigore fino ad allora e stabiliva il pagamento della terra espropriata con titoli del tesoro nazionale, riscattabili in un periodo di venti anni. Con lo Statuto della Terra, il governo ha creato l¹Istituto Nazionale di Colonizzazione e Riforma Agraria (Incra), all¹epoca chiamato Istituto brasiliano di Riforma Agraria (Ibra). Ha istituito anche la possibilità di organizzare cooperative di produzione da parte dei beneficiari della riforma agraria. Ha stabilito il catasto di tutti gli immobili rurali del paese, che fino allora non esisteva e li ha classificati, per legge, in minifondi (immobili con area inferiore alle necessità dello sviluppo della famiglia contadina); imprese rurali (immobili con area sufficiente e condizioni di progresso economico); e latifondi (immobili improduttivi in relazione al loro potenziale e di dimensioni tali da essere di per se stesse nefaste per la società). Tra gli altri elementi progressisti, la legge ha stabilito per la prima volta la riscossione della Imposta Territoriale Rurale (ITR). E ancora stabiliva una imposta progressiva, di anno in anno, se il proprietario non aumentava la produzione. Le risorse dovevano essere raccolte dall¹Unione e essere subito indirizzate alle casse dell¹INCRA per aiutare a finanziare i costi della riforma agraria.

Una legge mai veramente varata Durante questi quaranta anni, diversi governi hanno tentato di rendere più ³agile² l¹imposta. Il governo Cardoso tentò di statalizzarla. L¹ex-ministro Raul Jungmann ha cambiato i criteri della ITR, annunciando che la nuova tassa sarebbe stata una vera rivoluzione agraria, in quanto strumento di correzione della concentrazione della proprietà agricola. Pura propaganda! In realtà, durante tutti questi anni, la ITR non è mai stata applicata in forma progressiva. Non c¹è stato mai neanche nessun meccanismo di punizione dei proprietari che non pagavano o facevano dichiarazioni false. Così si sono uniti due fattori, tutti i governi che sono passati per il Palazzo del Planalto, per mantenere le alleanze elettorali, non hanno mai voluto elevare l¹imposta e penalizzare i grandi proprietari. E il ministero competente in materia faceva finta di non vederci bene nel raccogliere questa tassa. (...) Tra gli ideatori dello Statuto della terra, c¹è uno dei maggiori specialisti della Riforma Agraria del paese, membro della Segreteria Agraria del Partito dei Lavoratori (PT) e fondatore dell¹Associazione Brasiliana della Riforma Agraria (ABRA), il vecchio José Gomes da Silva, morto nel 1996. Egli ha sempre sostenuto l¹uso rigoroso della ITR, come strumento che contribuirebbe a spingere ad un aumento della produttività, a penalizzare il cattivo uso della terra da parte dei grandi proprietari e che sarebbe una fonte importante di risorse per finanziare la riforma agraria. Egli ha sostenuto sempre, nel PT, nell¹Abra e in tutti i forum possibili, l¹idea di rendere più agile questa tassa. Ed è sempre insorto con forti argomenti, quando, in diverse occasioni, i governi federali hanno tentato di statalizzare o municipalizzare l¹ imposta. José Gomes sosteneva il contrario: era necessario mantenerla come imposta federale, poichè questo avrebbe permesso alle Finanze di coniugare le informazioni dei dichiaranti con la loro tassa sul reddito e con le altre tasse. E così i latifondisti non avrebbero potuto mentire o usare la proprietà della terra anche come forma per schivare l¹imposta sul reddito. José Gomes sosteneva anche che il governo federale doveva seguire la legge con rigore, espropriare i latifondi e pagare solo il valore dichiarato dallo stesso fazendeiro, al momento di pagare l¹ITR. Le Finanze federali aggiornano gli indici relativi agli ettari di terra per regione, ma è il proprietario che dice quanto vale ogni ettaro. Le idee di José Gomes sono cadute nel nulla e nessuno dei governi le ha utilizzate. Gomes è morto sognando che un giorno Lula arrivasse al potere e allora si sarebbe potuto applicare quello che aveva sempre sostenuto nei programmi del PT. Come risultato della politica portata avanti da tutti i governi, il governo attuale ha raccolto dalla ITR solo 280 milioni di reais, durante il 2004: Il che equivale alla tassa sulla Proprietà Territoriale Urbana (IPTU) di un solo quartiere della città di São Paulo. Secondo le attuali regole dell¹ITR le piccole proprietà sono esenti dal pagamento. Allora, se sommiamo gli immobili classificati come medie e grandi proprietà avremo circa 270.000 proprietari (342.000 immobili al di sopra dei 200 ettari, secondo l¹Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica). Queste medie e grandi proprietà controllano 298 milioni di ettari. Si stima quindi che l¹attuale ITR riscuota meno di un real per ettaro per anno. E ogni fazendeiro paga, in media, mille reais per anno, per proprietà, il che è una sciocchezza e non rappresenta nessuna forma di pressione, penalizzazione e molto meno un meccanismo fiscale correttivo della concentrazione della proprietà della terra.

A favore dei latifondisti La situazione è questa. Che ha fatto l¹attuale governo di fronte a questo quadro? Avrebbe potuto mantenere la legge e le idee di José Gomes da Silva: accrescere la ITR per ettaro; aumentarla progressivamente, di anno in anno; pagare gli espropri solo con il valore dichiarato dal latifondista; e destinare queste risorse alla riforma agraria (visto che negli ultimi anni era destinata alla cassa comune del Tesoro).

Il Governo Lula si è dimenticato dei consigli del vecchio Zé Gomes e ha fatto quello di cui nessun altro governo ha avuto il coraggio: ha municipalizzato la riscossione e il destino della ITR. E¹ stato mandato un Progetto di legge al Congresso, che è stato approvato definitivamente dal Senato e in forma quasi unanime (strano?) il 15 dicembre scorso. E l¹ultimo giorno del 2005, in modo che entrasse in vigore nell¹anno fiscale 2006, il presidente Lula ha promulgato la nuova legge della ITR, che smette di essere una tassa per la riforma agraria. Ora diviene una imposta che deve essere riscossa dai Comuni, che potranno usare il denaro a loro piacimento e come vorranno. L¹ITR è stata uccisa e sepolta. Le finanze federali perderanno il controllo del catasto e della opportunità di collegarlo alle dichiarazioni dell¹imposta sui redditi. I latifondisti sono euforici già pagavano poco e ora basterà loro imbrogliare un po¹ l¹amico sindaco e pagheranno ancora meno. L¹Incra perde le risorse che gli venivano negate, ma che per legge le sarebbero spettate e perde il potere di espropriare, basandosi sul valore dichiarato. Perde la riforma agraria. Ci manca il vecchio Zé Gomes che potrebbe spiegare meglio la gravità di questo cambiamento al suo amico Luiz Inácio Lula da Silva.

UNA TABELLA DIVULGATA DALL¹ INCRA RIVELA ALCUNE MANIPOLAZIONI STATISTICHE

1.In totale, sono state insediate in insediamenti frutto di espropriazioni nel 2005 solo 26.951 famiglie. A queste sono state sommate altre 31.373 famiglie insediate in progetti precedenti al 2005. E¹ possibile che queste siano state contate due volte, ossia questi stessi progetti erano già comparsi nel 2004. Ma la cosa più probabile è che si tratti solo della sostituzione di famiglie che avevano lasciato la terra in progetti antichi e nuove famiglie sono state collocate in questi insediamenti. E¹ positivo che le famiglie siano ricollocate in insediamenti antichi, ma questo non può essere calcolato come un insediamento nuovo. E¹ come una fabbrica che licenzia due persone e ne mette altre due al loro posto, come se considerasse questo la creazione di 2 nuovi posti dl lavoro.

2.Terre Pubbliche. Si può vedere anche che stati come il Para (13.726) il Maranhao (10.862) la Regione di Santarem (16.796) e Amazonas (4.884) e Maraba (3.716) hanno garantito l¹ ³insediamento² di altre 69.182 famiglie. Con questo il totale delle famiglie insediate è arrivato a 127.000, quando in realtà sono state solo 26.951 Si noti, che nella nuova sovrintendenza dell¹Incra di Santarem , creata quest¹anno, in appena un anno, sarebbero state insediate 18.000 famiglie. Certamente non ci sono più senza terra a Santarem, dopo la realizzazione di una simile prodezza.

3. Meta per stato: nonostante tutti questi imbrogli, anche così, guardando all¹ultima colonna, tra tutti gli stati solo Para, Minas Gerais, Maranhao, Acre, Amazonas, Paraiba, Amapa, Piaui, hanno realizzato la meta. Ossia solo 9 stati dei 27 del paese. Quindi come si può dire che la meta è stata raggiunta?

4. Cos¹è una famiglia insediata? Quando gli attuali dirigenti del Ministero dello Sviluppo Agrario stavano all¹opposizione, aiutavano i movimenti sociali con argomenti di questo tipo: si può considerare una famiglia insediata quando questa si trova sulla terra assegnata e come minimo dispone del credito per l¹abitazione, per costruire la sua casa, dispone di credito per la produzione, di infrastrutture minime: una strada, l¹acqua e la luce elettrica e rientra in un progetto di sviluppo agrario in via di realizzazione. Se confrontiamo le cosiddette 127.000 famiglie che si dice siano state insediate con il numero delle famiglie che hanno ricevuto credito per la casa, la produzione e le opere di insediamento, vediamo che il numero deve essere vicino a quello delle circa 29.000 famiglie che realmente sono state collocate in aree espropriate.

5. Espropri Tutti gli specialisti di riforma agraria all¹interno del governo e delle varie entità, tutti i movimenti sociali e la contag sempre hanno sostenuto che la vera realizzazione della riforma agraria, che significa in realtà democratizzazione della proprietà della terra, si misura attraverso le espropriazioni. Poichè sono queste che attaccano il latifondo, dividono la terra e generano democrazia. Quindi il raggiungimento delle mete della riforma agraria deve essere misurato guardando alle espropriazioni. Nel bilancio dell¹INCRA sono state insediate solo 29.000 famiglie in aree espropriate.

30 gennaio

29-01-2006 Presidente boliviano lanza nueva política sobre coca

Prensa Latina

 El presidente de Bolivia, Evo Morales, definió hoy una nueva política de defensa de la hoja de coca que, si bien propugna racionalizar su cultivo, se distancia del enfoque hostil de Estados Unidos en el tema.

El mandatario trazó las líneas de acción gubernamentales en una concentración de cultivadores de hoja de coca, quienes forman primera base social, en la localidad de Shinaota, en la región central cocalera del Chapare.

Morales anunció en la oportunidad que el Viceministerio de Defensa Social (lucha antidrogas) -al frente del cual nombró a Felipe Cáceres, su compañero de la dirigencia cocalera- será sustituido por el de Coca y Desarrollo Integral.

Exhortó a los cultivadores a ejercer un riguroso control social para que no se incrementen los plantíos de coca y se mantenga el convenio firmado con el gobierno de Carlos Mesa (2003-05), que virtualmente congela los cultivos en El Chapare.

El entendimiento, ratificado por Morales, establece que en esa zona se podrá cultivar hasta un "cato" (mil 600 metros cuadrados) de coca por campesino, hasta que un estudio internacional sobre la demanda de la hoja para consumo natural, legal, determine la extensión de plantaciones necesaria para atenderla.

"Queremos aportar en la lucha contra el narcotráfico, racionalizando la producción de hoja de coca", dijo el mandatario, a tiempo de pronunciarse por la lucha contra los narcotraficantes y no contra los campesinos, como ha sido hasta ahora.

Desahución rotundamente la meta de "coca cero", de inspiraciñon norteamericana y calificó de engaños los planes que pasados gobiernos neoliberales concertaron con Washington para erradicar la hoja mlenaria, los cuales fracasaron.

Sin mencionar a Estados Unidos, ratificó la meta de "cocaína cero", para la cual propuso al asumir funciones el pasado domingo un paco de lucha antidrogas con Washington, con respeto a la coca, a los campesinos y a la soberanía boliviana y sin que el tema sirva para la política de dominación del país del norte.

Morales dijo por otra parte que el nuevo viceministro Cáceres tiene la misión de iniciar una campaña internacional para despenalizar a la hoja de coca, para lo cual el gobierno adelantó conversaciones con organismos internacionales.

Precisó que el objetivo de la campaña es retirar la coca de la lista de plantas y sustancias prohibidas por las Naciones Unidas, para que pueda ser exportada con fines lícitos, lo cual, acotó, de ninguna manera significa autorizar el libre cultivo de la hoja.

Convocó a los alcaldes del Chapare a promover iniciativas para la industrialización lícita de la coca, para las cuales ofreció el apoyo del gobierno, y mencionó, sin detalles, la posibilidad de exportar la hoja a Argentina, donde su consumo natural es permitido.

El gobernante, quien emergió como dirigente social hace 15 años como en El Chapare, prometió diálogo y concertación, a tiempo de asegurar que bajo su administración no habrá muertos por acciones represivas.

Aludió así a decenas de cultivadores de coca muertos en la represión de protestas campesinas contra las operaciones de erradicación de sus cultivos de subsistencia, por las que ha presionado el gobierno norteamericano.

El embajador del régimen de Washington aquí, David Greenlee, planteó en días pasados tratar con el gobierno el reinicio de la erradicación de cocales y dijo que la política de su país en el tema no ha cambiado.

Durante su visita al Chapare, Morales fue objeto de honores militares de tropas antdrogas que, bajo influencia de Estados Unidos, lo persiguieron y reprimieron por muchos años.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Il Venezuela aiuterà la Bolivia per sconfiggere l'analfabetismo

Un accordo ratificato da Bolivia e Venezuela ha segnato il primo atto ufficiale della presidenza di Morales, insediatosi lo scorso 22 Gennaio a Palacio Quemado. Morales ha trovato in Chavez un appoggio principalmente di carattere politico, rinsaldato dall'omaggio reso da entrambi i presidenti a Simon Bolivar in occasione della cerimonia di sottoscrizione degli accordi di cooperazione. Effettivamente la storia di entrambi i presidenti non è poi così dissimile. Come Chavez, anche Morales ha dovuto più volte sopportare le accuse di essere un "terrorista e narcotrafficante", ma la campagna rivolta contro di loro dalle rispettive opposizioni - la cosiddetta "Coordenadora Democratica" in Venezuela e il partito dell'ex presidente Sanchez de Losada insieme ai separatisti di Santa Cruz - hanno paradossalmente costituito un motivo in più per la mobilitazione dei settori popolari che hanno contribuito in modo decisivo alle loro vittorie. In primo luogo Morales si è rivolto a Chavez chiedendo aiuto in merito all'analfabetismo che è ancora ben presente nel paese nella misura del 22%. La richiesta a Chavez è sembrata particolarmente appropriata poiché proprio il Venezuela pochi mesi fa aveva dichiarato di essere "territorio libero dall'analfabetismo". Chavez si è impegnato personalmente a consegnare cinquemila borse di studio alla Bolivia, ma i due presidenti hanno discusso anche di economia, in particolare dell'adesione di La Paz all'Alba (Alternativa Bolivariana para las Americás) in contrapposizione a quell'Alca a cui tutta l'America Latina si sta opponendo con decisione. Entrambi i presidenti hanno sottolineato la necessità di creare un nuovo modello economico alternativo al neoliberismo (incarnato negli ultimi anni in Bolivia da Sanchez de Losada, uno dei suoi principali alfieri), e Morales ha assicurato a Chavez il suo impegno sia per impedire la privatizzazione dell'acqua sia per garantire la nazionalizzazione degli idrocarburi come richiesto più volte soprattutto dai movimenti indigeni. Inoltre il Venezuela si occuperà di rifornire la Bolivia di duecentomila barili di diesel, accordo che darà inizio ad una cooperazione tra i due paesi sulle risorse energetiche. Gli accordi sanciti tra Chavez e Morales hanno sottoscritto anche il principio di autodeterminazione dei popoli e un proclama di rifiuto di eventuali aggressioni esterne. Pur non essendo esplicitamente nominati, è chiaro che tale proclama è da intendersi nei confronti degli Stati Uniti, ai quali Morales ha proposto una vera alleanza per sconfiggere il narcotraffico, ma ha fatto capire che la lotta alla droga "non deve essere una scusa per sottomettere il nostro popolo", riferendosi indirettamente al piano "coca zero" messo in pratica da Washington e che ha provocato le sollevazioni dei cocaleros del Chapare boliviano. Altro fatto sorprendente dei primi giorni della presidenza Morales è stata la presenza alla sua cerimonia di insediamento a Palacio Quemado del presidente cileno Lagos (probabilmente uno dei suoi ultimi atti da presidente prima dell'avvento di Michelle Bachelet): si è trattato di un fatto storico poiché le relazioni tra Cile e Bolivia erano sospese dal 1978, quando La Paz aveva richiesto con forza uno sbocco al mare (nell'oceano Pacifico) dopo la sconfitta nella guerra del 1879. Al centro dei colloqui tra Bolivia e Venezuela sono state anche le tematiche relative alla salute e allo sviluppo sociale, soprattutto per la situazione critica in cui si trovano gli abitanti delle zone rurali del paese. Anche in questa circostanza Chavez ha offerto la volontà di cooperare con la Bolivia, memore probabilmente dei frutti dati dalla sua collaborazione con Cuba, sia nel campo dell'istruzione che in quello della salute tramite la cosiddetta operazione "barrio adentro". Sottolineando che i punti di accordo tra Bolivia e Venezuela segnano l'inizio di una nuova era nelle relazioni tra i due paesi, Morales ha concluso il suo colloquio con Chavez impegnandosi per i diritti dei popoli indigeni.


13 FEBBRAIO

Macarena, tratto da indymedia Colombia.

La Macarena

por Alfredo Molano Bravo

Feb. 11, 2006

alfrelano@yahoo.es

Hace unos veinticinco años, día más día menos, los colonos de La Macarena marcharon a San José del Guaviare para pedir una solución efectiva y permanente de sus problemas: titulación, crédito, vías, salud, mercados. El gobierno respondió alegando que mientras ocuparan predios en el parque, no habría ayuda alguna. Hubo lesionados en la protesta, y varios asesinatos después. Ninguna solución. Un año más tarde, el reclamo se repitió y los campesinos se tomaron el pueblo de La Macarena.

Tampocohubo arreglo. Dos o tres años después, otra marcha. Los colonos querían llegar a Villavo y fueron detenidos a bala en Iracá, cerca de San Martín. Lograron esta vez la sustracción de un pedazo de la reserva y de la creación del Área de Manejo Especial. No sirvió para nada. Los terratenientes los siguieron empujando hacia adentro del parque. El gobierno declaró que detrás de todo estaba la guerrilla, y se atrincheró en el argumento. “Consecuencialmente”, como dijo el general Bedoya, el gobierno se tomó por agua, tierra y aire la región. Plinio Apuleyo aplaudía desde un rincón. La Fuerza Pública hizo lo que la Constitución le autorizaba: entró con bombo y platillos. A los dos años, hizo lo contrario: salió. La estrategia militar ha primado siempre sobre la social. Conclusión, los cultivos de coca no han cedido ni un centímetro.

Ahora el gobierno de Uribe, después del feroz ataque de la guerrilla a un destacamento del Ejército en Vistahermosa, ha vuelto a insistir en la fórmula militar, con el nombre Operación Colombia Verde. Ha suspendido, por el momento, la fumigación de cultivos de coca en el parque de La Macarena —y en todos los parques nacionales—. En época electoral tiene un costo muy grande envenenar estas “zonas intangibles”. Pero de otro lado, los operativos militares no se pueden detener. El Alto Comisionado para la Acción Social, un gamonal de Filadelfia, Caldas, encontró una solución salomónica: erradicar a mano. Se volvieron a sacar bombo y platillos y El Mismísimo en persona arrancó de raíz ante las cámaras cuarenta matas de droga, como él las llama.

El Gobierno llevó 930 jornaleros de otras regiones a seguir el ejemplo y comenzó el más grande operativo de utilización de la erradicación manual, hecha por civiles, en apoyo de una operación militar. ¿No es esta mixtura cívico-militar una fórmula novedosa de la consabida “carne de cañón” o una nueva modalidad de escudos humanos? Los observadores internacionales encargados de vigilar el cumplimiento del Protocolo II, complementario de los Acuerdos de Ginebra, deben estar tomando atenta nota del caso. Sin tanto refinamiento, los campesinos contratados para el operativo han comenzado a oler el tocino "mangiato la foglia". Si no se puede oír radio ni fumar de noche, es porque están en medio del campo de batalla. En dos semanas la subversión ha atacado ocho veces a la Fuerza Pública, ha matado a siete policías y herido a otros tantos. Las cuadrillas de trabajadores se mueven con lentitud por miedo a las minas. Para rematar, el Gobierno, siempre faltón, no les paga a los contratados el jornal, hasta el punto de que dos terceras partes han desertado.

La erradicación manual, en una zona de guerra, ha fracasado. El Gobierno mantendrá il punto por dignidad, como dice, pero ya calienta motores para fumigar por aire. Que es también otro fracaso: la coca sigue cultivándose y el precio internacional de la cocaína no se afecta. Más aún, después de que pasan los aviones, los campesinos resiembran con una nueva variedad, la Boliviana, que es tres veces mas productiva que la Tingo María, que sustituyó a la Peruana, que a su vez sustituyó a la Caucana. Es la única sustitución efectiva que el Gobierno ha coronado

Desde hace 25 años, los colonos de La Macarena han propuesto una solución civil: la creación de una Reserva Campesina en la margen derecha del río Guayabero. Pero el generalato ha considerado que aceptar la demanda de una solución pacífica —que está además consagrada en la Ley 160 del 94 y ha sido apoyada, entre otros organismos, por el Banco Mundial— es cederle a la guerrilla. Y así arrancamos para otro cuarto de siglo.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

10-02-2006 “Tinku” estratégico para salvar la coca

Freddy Ontiveros Cabrera www.tinku.org

El Presidente de la República de Bolivia, Evo Morales. anunció su decisión de trabajar y luchar internacionalmente contra la penalización de la hoja de coca. Que nos impide utilizarla en distintos rubros como la medicinal que beneficiarían justamente a los países que están sufriendo los rigores del consumo masivo de drogas. Y de paso a nosotros, naturalmente.

Una de las tareas fundamentales para lograr esta finalidad es el desafío de establecer un COMPROMESSO estratégico entre los países productores y consumidores naturales y tradicionales de la hoja de coca.

Imponer un debate internacional sobre sus bondades y finalmente recurrir en forma agresiva, libre de presiones y chantajes extranjeros a través de la Cancillería, en consulta a la Organización de Naciones Unidas (ONU) para que se levante el fallo de 1947 contra la coca, y no figure más como sustancia psicotrópica en el listado de la Organización Mundial de la Salud (OMS),

Para ello es necesario utilizar los numerosos argumentos científicos en favor del levantamiento del fallo condenatorio contra la coca:

• Del Instituto Indigenista Interamericano, dependiente de la Organización de Estados Americanos (OEA) • Las tesis de los doctores peruanos Carlos Monge y Fernando Cabieses contra la proscripción de la coca. • Los argumentos esgrimidos por el prestigioso diario inglés "The Financial Times", donde se informa con lujo de detalles sobre las utilidades de la hoja de la coca, señalando que en las Cancillerías del Perú, Bolivia, Ecuador y Colombia existen sendos estudios acerca de las bondades terapéuticas de la hoja de la coca.

Si la estrategia está bien diseñada, las gestiones multilaterales llevadas adelante por las cuatro cancillerías pueden coronarse con el éxito, Y una vez que se logre sacar a la hoja de la coca de su injusta definición de “droga” en el listado sobre substancias peligrosas de la Organización Mundial de la Salud (OMS).

Entonces podríamos exportar sin restricciones médico-farmacológicas las hojas de coca y sus derivados. El mate de coca es un producto susceptible de ser exportado inmediatamente por parte de Bolivia, ya que existe experiencia nacional en su fabricación y capacidad industrial para hacerlo.

En el Chapare se cuenta con la industria de los mates que actualmente produce para el consumo interno. Pero desgraciadamente estas bolsitas de mate de coca, no pueden ser exportadas porque su materia básica (hoja de coca), es un producto considerado substancia peligrosa y su consumo tradicional como toxicomanía.

TRATAMIENTOS MÉDICOS CON COCA

En 1986, una revista médica norteamericana el “Journal American Medical Association (JAMA), (nro.1 de enero de 1986, Pág. 255, publicó una carta de cinco médicos norteamericanos de distintas universidades que sostienen haber usado exitosamente el mate de coca como un sustituto de la cocaína en drogadictos. Los médicos son Ronald Siegel, de la Universidad de los Angeles-California; Timothy Plowman profesor de Historia Natural de la Universidad de Chicago; Philip Rury, catedrático de la Universidad de Harvard; Reese Jones de la Universidad de San Francisco y Mahamoud Elboily de la Universidad de Mississipi.

Años más tarde, en el Perú el Dr. Teobaldo Llosa, médico psiquiatra, tomó esta idea y la experimentó con cocainómanos, tratándolos con cuatro a seis bolsitas de mate de coca al día. Este proceso, según el Dr. Llosa, se llama “cocalización” e informó de su efectividad y explicó que en realidad el tratamiento tiene un antecedente más antiguo, pues está basado en principios farmacológicos ya sugeridos por el prominente científico Sigmud Freud el siglo pasado.

En consecuencia, médicamente se puede demostrar que el mate de coca sirve para "descocainizar" a los adictos a la cocaína ", así como también a los que consumen heroína, alcohol, opio.

BUENOS NEGOCIOS

Si esto fuera así, veamos algunos datos que nos permiten demostrar la potencialidad de la coca como recurso natural en Bolivia:

• Cada drogadicto en los Estados Unidos podría ser sometido a este tratamiento con hoja de coca, mediante el consumo de cinco bolsitas filtrantes de mate de coca al día. El consumo de cinco bolsitas al día da un total de 1825 al año: es decir, 37 cajas de cincuenta bolsitas cada una. • Cada caja de mate de coca, podría exportarse desde Bolivia a razón de 3 dólares, lo que quiere decir que el costo para el gobierno de los Estados Unidos por comprar este producto sería de 1.095 dólares anuales por cada norteamericano adicto a la cocaína. • En los Estados Unidos existen 10.5 millones de adictos permanentes a la cocaína (datos del gobierno norteamericano): Bolivia podría exportar por un monto total de 1.149 millones de dólares al año. Es decir, más de la tercera parte de las actuales exportaciones bolivianas. 20 veces las exportaciones de café y casi 10 veces el monto de ayuda que recibimos de los Estados Unidos por el convenio anti drogas. • El volumen de exportación para el mercado norteamericano por este concepto sería de 19.163 toneladas métricas de hoja de coca, ya que cada drogadicto consumiría 1.825 bolsitas por año. • Como Bolivia sólo tiene capacidad para producir aproximadamente 60 millones de bolsitas al año, será necesario construir 319 plantas industriales parecidas a la "Empresa de Té Chimate" que está ubicada en el Chapare. • Proporcionaría ocupación para tres mil personas aproximadamente, solo en la producción de mate de coca. • Para producir esos volúmenes de hoja de coca necesitaríamos cultivar 17.246 hectáreas, ya que una hectárea sembrada de cocales genera en promedio 0.9 toneladas métricas de hoja de coca. Esta extensión es dos veces la tradicional superficie de cultivo de coca en los valles de Yungas. • Así fácilmente cada cocalero en el Chapare tendría derecho a cultivar coca en una superficie razonable, y nos evitaríamos el problema de "coca cero". • Como para cultivar una hectárea de hoja de coca, se necesita en promedio una persona al año. Esta actividad agrícola daría empleo a cerca de 13.000 personas. • Naturalmente esta proyección se multiplica si consideramos que drogadictos también existen en Europa.

COYUNTURA INTERNACIONAL EXTRAORDINARIA

Esta es solo una de las potencialidades de la hoja de coca, respetando su consumo tradicional y promoviendo su exportación. Con esta propuesta nos sumaríamos a la campaña contra las drogas en los Estados Unidos, ya que la coca usada como parte del tratamiento médico para adictos reduciría sustancialmente el consumo de cocaína.

Las cifras calculadas pueden incrementarse si adicionalmente consideramos que en los Estados Unidos hay dos millones de adictos a la Heroína, 20 millones de alcohólicos y un millón de opiómanos que podrían ser tratados con coca.

Nunca La coyuntura política internacional para iniciar esta campaña ha sido más favorable para nosotros que la actual. De hecho Perú, Bolivia, Colombia y Ecuador están obligados a iniciarla en términos de necesidad y urgencia regional. Adicionalmente la Argentina, Venezuela, Uruguay, Chile y Brasil pueden constituirse en aliados potenciales de la campaña por la despenalización de la hoja de coca.

Solo necesitamos una política de no sumisión ante los Estados Unidos y la posibilidad de organizar un “tinku” (encuentro, alianza) entre los países involucrados.

* El autor es abogado y ex dirigente de la Central Obrera Boliviana

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

05-02-2006 EEUU y Evo sellan acuerdo sobre la coca

Econoticiasbolivia.com

Superando el mayor obstáculo en su renovada relación bilateral, los gobiernos de Estados Unidos y de Bolivia prolongaron temporalmente el acuerdo que posibilita la producción limitada de coca en el Chapare y la erradicación de los cultivos que excedan las 3.200 hectáreas.

Esta política de consenso, vigente desde principios del 2004, se mantendrá en pie hasta que un estudio independiente determine la cantidad de coca que se puede producir en Bolivia con fines medicinales, industriales y de consumo natural.

Esta estrategia compartida de la lucha contra las drogas, que establece que habrá un decidido combate contra la cocaína y una tolerancia relativa para la coca, abre además un nuevo escenario para la relación entre los gobiernos de George Bush y de Evo Morales, fortalecida en las últimas horas con el reconocimiento y felicitación que hizo el primero hacia el segundo, llamándolo por teléfono desde Washington.

"Fue una felicitación protocolar", dijo en La Paz el vocero de Morales, Alex Contreras, al comentar a los periodistas sobre la llamada que hizo Bush este miércoles para desear éxitos a la nueva administración boliviana.

Un día antes, el martes, la administración norteamericana había enviada una señal inequívoca de su acercamiento con Morales. "La lucha para nosotros no es contra la coca, sino contra la cocaína", dijo el representante de la oficina antinarcóticos (NAS) de la Embajada de Estados Unidos, William Francisco III, al destacar los usos benéficos de la coca, algo impensable hasta hace un año cuando virtualmente identificaban la coca con la cocaína y a los campesinos cocaleros con los narcotraficantes.

"Sabemos que ustedes (los bolivianos) utilizan la coca desde la época milenaria por sus cualidades medicinales, nosotros sólo les ayudamos en la lucha contra el narcotráfico y a veces en los desastres (naturales)", explicó el diplomático durante la ceremonia de reconocimiento al nuevo viceministro de Defensa Social, el cocalero Felipe Cáceres, convertido en el nuevo "zar boliviano antidrogas".

En ese acto, Cáceres aseguró que el gobierno de Evo Morales había definido una política de droga y narcotráfico cero, la aplicación de la draconiana ley 1008 y la continuidad de la erradicación de los cultivos que excedan las 3.200 hectáreas. "No podemos prescindir de la ayuda internacional, tanto de Estados Unidos como de la Unión Europea, para que continúe la lucha contra el narcotráfico", dijo.

La nueva autoridad destacó que esta política antinarcóticos se podía aplicar sin violencia ni atropellos a los derechos humanos. "Quiero pedirles con mucho respeto que se terminó la hora de atropellar y ver a los productores cocaleros como simples narcotraficantes", les dijo Cáceres a los uniformados de la fuerza antidrogas, encargados de eliminar los cocales excedentarios.

El nombramiento del cocalero como encargado de dirigir la lucha antidrogas fue destacada por el diplomático estadounidense. "Pienso que Cáceres es una excelente elección. En todo caso, las relaciones serán mejores, tomando en cuenta que el general Luis Caballero (ex comandante de la FELCN) ahora es Subcomandante de la Policía. Se nota que están las mejores personas en estos puestos", dijo Francisco III. Según Cáceres, la nueva política de lucha contra el narcotráfico, enmarcada en el respeto de la Ley 1008 y de los derechos humanos de los cocaleros, contribuirá a pacificar el Chapare cochabambino y los Yungas de La Paz.

El representante de la NAS y el Viceministro de Defensa Social coincidieron en que prefieren esperar a que se concluya la investigación sobre la demanda legal de la coca para determinar, basado en un estudio de mercado, las políticas de erradicación de cultivos o la apertura de nuevos mercados legales.

Por instrucciones de Morales y de la Federación de Cocaleros, los campesinos del Chapare tienen el mandato de no exceder las 3.200 hectáreas de coca, de controlar que no haya cultivos ilegales y que se respete la siembra de un cato (1.600 metros cuadrados) por familia. Esto quiere decir que los efectivos militarizados de la Fuerza Especial de Lucha Contra el Narcotráfico (FELCN) tendrán que erradicar durante el 2006 alrededor de 5 mil hectáreas de coca en el Chapare.

Así, el comandante de la FELCN, coronel Miguel Vásquez, asumió el compromiso de respetar la ley y los derechos de los cocaleros, y de reforzar el control de ingreso de los precursores a las zonas productoras de coca.

Sin embargo, la continuidad de la erradicación de los cocales no dejaba de generar tensiones y conflictos. Este martes, los productores de coca de Yungas de Vandiola, en el Parque Nacional Carrasco del trópico de Cochabamba, habían cercado a los efectivos de la Fuerza de Tarea Conjunta (FTC) asentados en ese lugar y trataban de expulsarlos, en protesta por la erradicación de cocales.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++