Elezioni in Iraq

Toni trionfalistici accompagnono la fine delle elezioni irachene, volute fortemente dall'amministrazione Usa. Decise nella legge di tranzisione provvisoria (Tal) e avallate dalla risoluzione 1546 del consiglio di sicurezza dell'Onu, si sono alla fine svolte domanica 30 gennaio. Pochi i votanti, molto meno di quelli trionfalemnte dichiarati dalla Commissione elettorale indipendente. Si parla di otto milioni di votanti in un paese che conta 26 milioni di abitanti, di cui 15 milioni in diirtto di voto. Ammette Farid Ayal, portavoce della commissione, che si tratta solo di stime fatte a vista giudicando l'affluenza alle urne in alcuni settori di baghad. Troppo poco quindi per parlare di numeri, e difficilemnte si potrà conoscere la verità. Pochissimi gli osservatori internazionali, poichè l'Onu ha lasciato sul campo solo 19 osservatori iracheni, e pochissimi anche i giornalisti cha a causa delle misure di sicurezza hanno potuto visitiare solo alcuni seggi, e solo a Baghdad. Se cmq appare scontata l'alta partecipazione nelle zone curde, poco si sa delle zone sunnite, in alcune delle quali non solo i seggi non hanno aperto, ma non sono arrivati neanche i materiali elettorali. I dati sullo scrutinio non si avranno prima di dieci giorni, ma già vengono contestati sia dai partecipanti sia dagli esclusi dal voto. Se i media dei paesi partecipanti alla coalizioni già cantano vittoria, in latri paesi viene meso in evidenza il limite di elezioni fatte sotto occupazioni, e decise dagli stessi occupanti: toni critici in Russia e in Cina, ma soprattutto nei paesi arabi confinanti. Come ha sintetizzato il premio nobel per la pace Esquivel: «La democrazia non è mettere una scheda dentro un'urna. E soprattutto non è democratico che un invasore imponga le elezione».