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Indonesia

Il tribunale indonesiano di Denpasar ha condannato a morte Ali Ghufron, alias Mukhlas, terzo imputato per l'attacco di Bali a ricevere la pena capitale. La sentenza sara' eseguita con un plotone d'esecuzione. Ghufron, 43 anni, e' stato riconosciuto colpevole di aver organizzato, coordinato e finanziato il duplice attacco dello scorso 12 ottobre a Bali in cui morirono 2002 persone. L'imputato ha preannunciato il ricorso in appello. Durante il processo ha dichiarato di essere solo un pesce piccolo del terrorismo, paragonato a pesci grossi come il presidente americano George Bush, il premier britannico Tony Blair e quello israeliano Ariel Sharon. Secondo l'accusa, Ghufron e' il capo delle operazioni della Jemaah Islamyiah, un'organizzazione legata alla rete di al Qaeda, che vuole costituire uno stato pan islamico nel Sud Est asiatico In aula ha espresso rincrescimento per la morte d'indonesiani nell'attentato di Bali, ma non per gli stranieri. In precedenza, la stessa corte di Denpasar ha condannato a morte per l'attentato di Bali suo fratello minore Amrozi, 41 anni, e Imam Samudra, 33 anni. Un terzo fratello, Ali Imron, e' stato condannato all'ergastolo. Amrozi e' stato il primo indonesiano condannato alla pena capitale in base alle nuove leggi anti terrorismo, inasprite in seguito all'attentato di Bali.

Irak Il valore degli appalti della Halliburton per la ricostruzione delle infrastrutture petrolifere irachene è aumentato a 1,4 miliardi di dollari da 1,25 miliardi di due settimane fa. Lo ha riferito l'amministrazione Usa. Il Genio militare Usa ha spiegato che questo aumento dei costi è reso necessario dai danni dovuti ai saccheggi. Il capo della Halliburton era Dick Cheney, prima di diventare vicepresidente degli Stati Uniti. Per questo motivo, l'opposizione dei democratici sta spesso accusando l'amministrazione Bush di favorire l'azienda

Iraq Gli Stati Uniti stanno facendo circolare al Palazzo di Vetro la loro nuova proposta di risoluzione che attribuisce un ruolo più forte all'Onu, ma non stabilisce alcuna scadenza per un passaggio di autorità La nuova bozza americana di risoluzione dell'Onu chiede un rafforzamento del ruolo dell'organizzazione internazionale nella ricostruzione del Paese e un passaggio progressivo del controllo dell'Iraq agli iracheni, pur non stabilendo date precise. Il nuovo progetto di risoluzione sottolinea che l'occupazione da parte delle forze guidate dagli americani è "temporanea" e che "il giorno in cui gli iracheni si governeranno deve arrivare rapidamente". Gli Stati Uniti non hanno perso tempo dopo aver avuto ieri la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell'Onu, organizzando una riunione per distribuire il nuovo progetto di risoluzione agli altri quattro Paesi che hanno il diritto di veto (Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna). Un nuovo incontro è previsto per oggi al fine di trasmettere il progetto di risoluzione ai dieci membri non permanenti del Consiglio di sicurezza. Gli Stati uniti stanno cercando in tutti i modi di ottenere un voto favorevole prima del 23 ottobre, data di apertura della conferenza dei donatori, l'organismo che dovrà stabilire qunati soldi investire nella ricostruzione in irak. Gli stati uniti hanno chiesto 87 milioni di dollari in totale, ma non otterranno nulla se non soddisferanno le condizioni poste dagli altri paesi, come per esempio una data certa per la fine dell'occupazione americana.

Palestina L'osservatore palestinese all'Onu, Nasser al-Kidwa, ha chiesto al Consiglio di sicurezza di bloccare la costruzione del muro di sicurezza ("muro di conquista" lo ha chiamato al-Kidwa) che Israele sta mettendo in atto in Cisgiordania. In una lettera all'ambasciatore americano John Negroponte, presidente di turno del Consiglio di sicurezza, l'osservatore palestinese ha chiesto al Consiglio di sicurezza di "prendere immediatamente le necessarie misure.. per affrontare questo grave problema e bloccare queste azioni illegali della potenza occupante". Nasser al-Kidwa ha chiesto di trasmettere la lettera agli altri 14 membri del Consiglio di sicurezza, ma non ha chiesto una riunione dello stesso consiglio

Agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, sarebbero stati arrestati in un paese arabo, dove tentavano di uccidere degli esponenti di Hamas. Lo ha affermato con un comunicato ad Associated Press lo stesso gruppo radicale palestinese. Il governo israeliano, attraverso il portavoce Daniel Seaman, ha smentito di avere alcuna informazione in merito. Secondo l'esponente di Hamas Mohamed Nazzal, gli agenti del Mossad erano "di nazionalità araba e straniera".

Un gruppo di 36 noti scrittori israeliani si e' pubblicamente schierato a fianco dei 27 piloti che hanno dichiarato di non voler piu' compiere raid contro aree abitate dai civili nei Territori. Secondo il gruppo, di cui fanno parte David Grossman, Sami Michael e Batya Gur, il governo e i vertici militari dovrebbero ascoltare i piloti e negoziare con i palestinesi la fine dell'occupazione

Messico Trentacinque anni fa, più di 360 tiratori scelti hanno sparato, su ordine del governo, contro i manifestanti, contrariamente a quanto era stato affermato finora, provocando un massacro che rimane impresso nella memoria dei messicani. A rivelarlo è un documento segreto del governo che l'Associated Press ha potuto procurarsi. I responsabili governativi dell'epoca avevano affermato che dissidenti armati avevano provocato lo scontro mortale sparando sui poliziotti il 2 ottobre 1968, dieci giorni prima dell'inizio dei giochi olimpici del Messico. La sparatoria era avvenuta nel corso di una manifestazione contro la mancanza di democrazia nel Paese. Il numero dei morti è stato stimato da 38 a diverse centinaia. Mentre i messicani organizzano oggi la marcia annuale per ricordare il massacro, prove sempre più importanti sembrano mostrare che, come dicevano gli studenti allora, il governo aveva ordinato il massacro.

La Corte suprema messicana ha ordinato al ministero della giustizia di indagare sulle responsabilità del governo dell'epoca nel massacro, ma l'inchiesta condotta da un procuratore speciale non è andata lontano, perche' i responsabili di allora non hanno voluto testimoniare. Tuttavia, sono stati scovati documenti inediti che contengono nomi di poliziotti e un numero di tiratori e ciò potrebbe dare nuova vita all'inchiesta. Negli archivi governativi recentemente resi pubblici, i ricercatori affermano che ci sono prove che alti responsabili, tra i quali il segretario di Stato al ministero dell'interno dell'epoca, Luis Echeverria, ne sapevano molto più di quel che hanno voluto dire. Echeverria è poi diventato presidente del Messico nel 1970. Alcuni tiratori scelti, spontandosi di finestra in finestra al di sopra della piazza avrebbero fatto fuoco da un appartamento della cognata di Echeverria, secondo i documenti ottenuti dall'Associated Press. Echeverria ha smentito nel passato qualsiasi implicazione diretta nel massacro, ma ha rifiutato, come i suoi assistenti, di rispondere alle domande dell'Ap.

Venezuela

Il Consiglio Nazionale Elettorale ha convalidato la richiesta di referendum anti-Chavez presentata dall'opposizione e altre 46 richieste avanzate sia da rappresentanti del governo che dall'opposizione. Le autorita' elettorali hanno concesso 5 giorni di tempo ai richiedenti per presentare la lista dei luoghi dove intendono raccogliere le firme necessarie per indire i referendum. L'opposizione intende chiedere la revoca del mandato del presidente Hugo Chavez (servono le firme del 20% dell'elettorato, cioe' almeno 2,4 milioni di persone), il partito di Chavez, il Movimento V Repubblica, chiede invece referendum revocatori dei mandati di 38 deputati, 7 governatori e del sindaco di Caracas, Alfredo Pena, tutti esponenti dell'opposizione. Non e' ancora chiaro se, una volta compiuti tutti gli adempimenti e autenticate le firme, i referendum si svolgeranno tutti in un'unica data oppure in date diverse in base all'ordine in cui sono state presentate le richieste

Argentina Evelyn Vázquez Ferrá, una ragazza figlia di desaparecidos, ha avuto ieri ragione dalla Corte Suprema argentina, che ha riconosciuto il diritto della giovane a non sottoporsi a un prelievo del sangue per appurare, attraverso l’esame del Dna, l’identità dei suoi genitori biologici. La sentenza della Corte è destinata a creare polemiche, alla stessa stregua della decisione di Evelyn, 26 anni, laureanda in ingegneria, che non ha voluto sottoporsi all’esame del Dna per salvare il suo padre adottivo da una probabile condanna per il rapimento di un neonato durante il passato regime militare (1976-1983). Soprattutto le organizzazioni impegnate nella rivendicazione dei diritti dei figli dei desaparecidos hanno attaccato la decisione della giovane, affermando che la sentenza rischia di vanificare un duro lavoro lungo anni. La vicenda di Evelyn comincia circa tre anni fa quando la presunta nonna, Inocencia Pegoraro, disse di aver riconosciuto nella giovane sua nipote. Secondo la donna, la ragazza sarebbe figlia di Rubén Bauer e di Susana Pegoraro, entrambi scomparsi nel 1977 dopo essere stati portati nella famigerata Scuola di meccanica della Marina (Esma), a Buenos Aires, uno dei principali centri di detenzione degli oppositori politici durante gli anni della dittatura argentina. Susana, figlia di Inocencia, sarebbe la madre biologica di Evelyn. Dopo aver ricevuto la confessione del padre adottivo, l’ex sottufficiale della marina Policarpo Vázquez, che ha ammesso di aver avuto la neonata Evelyn da un altro militare e di averla registrata insieme alla moglie come loro figlia, il tribunale che sta seguendo il caso aveva ordinato alla ragazza di sottoporsi all’esame del Dna. Evelyn aveva allora deciso di ricorrere alla Corte Suprema, che ieri le ha dato ragione. Secondo sette degli otto giudici dell’alto tribunale, la legge protegge “il diniego della persona maggiore di età che rifiuti che il suo corpo o parti di esso vengano utilizzati per estrarre elementi di prova che rendano possibile la condanna di coloro che la legge le autorizza a proteggere”. In questo caso, Evelyn ha rifiutato di prestarsi all’esame del Dna per proteggere il suo padre adottivo. “Sono contenta perché ho avuto quello che volevo” ha commentato la giovane venendo a conoscenza della sentenza. Tuttavia, ha aggiunto, “non smetto di precipitare, in questa nuova fase della mia vita”. “È probabile che faccia per conto mio l’analisi del Dna e che, una volta avuto il risultato, sorga in me il desiderio di entrare in contatto con i miei parenti biologici. Se fino a questo momento non ho avvertito questa esigenza è perché ho passato momenti difficili. Mio padre è stato in carcere per due anni e mezzo. Volevano togliermi i documenti. Volevano togliermi il sangue con la forza. È stato molto duro. Non sono una cattiva persona, ma non posso provare affetto per gente che non conosco” ha concluso la giovane, ammettendo di “comprendere la lotta” della presunta nonna ma ricordando che ha “già un papà, una sorella, zii, cugini. Ho la mia famiglia da tutta la vita. Capisco che possa essere dolorosa, ma quel posto è già occupato”. Fino ad oggi le Nonne di Piazza di Maggio hanno identificato 75 figli di desaparecidos, sebbene ritengano che almeno altri 400 bambini rapiti alle vittime della dittatura debbano recuperare la loro vera identità.

Africa

Aiuti, investimenti ma soprattutto un "commercio internazionale più equo": è questa la formula per il continente africano emersa in conclusione dei tre giorni di consultazioni nella terza Conferenza internazionale di Tokyo sullo sviluppo dell’Africa (Ticad III). Al meeting hanno partecipato i delegati di 89 Paesi, di cui 49 africani, e di una cinquantina di organizzazioni africane e internazionali. Tra gli ospiti anche 23 tra capi di Stato e di governo africani, inclusi il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, quello del Sudafrica Thabo Mbeki e il senegalese Abdoulaye Wade, considerati i maggiori sostenitori del piano New Partnership for Africa's Development (Nepad), che ha lo scopo di rafforzare l’alleanza tra Stati africani per rilanciare l’economia del continente. "Esortiamo la comunità internazionale – si legge nella dichiarazione finale del Ticad – a fornire un’assistenza sostanziale per aiutare l’Africa a sfruttare le sue risorse e ad appoggiare gli sforzi dei Paesi africani per ottenere il posto che spetta loro nel mercato globale". L’ineguale accesso al commercio internazionale e i sostanziosi aiuti all’agricoltura nazionale da parte dei Paesi industrializzati sono stati i temi maggiormente dibattuti durante la conferenza. "Se vogliamo lo sviluppo in Africa, se vogliamo che i nostri contadini producano, è della massima urgenza rimuovere tutte le barriere al commercio (dei prodotti africani)" ha detto il presidente del Mozambico Joaquim Chissano parlando in veste di presidente di turno dell’Unione Africana (Ua). Sottolineando l’opportunità rappresentata dal Nepad, Chissano ha anche sollecitato la creazione di meccanismi di raccordo tra questo ‘patto per lo sviluppo’ e l’Ua. La conferenza, nata dieci anni fa con l’obiettivo di sensibilizzare il mondo sui problemi dell’Africa ma anche per promuovere la cooperazione allo sviluppo giapponese, è stata anche l’occasione per il premier nipponico Junichiro Koizumi di annunciare la cancellazione di tre miliardi di dollari di debito ai Paesi africani tra quelli altamente indebitati (Heavely indebted poor countries - Hipc) e lo stanziamento di 1 miliardo di dollari in programmi di aiuto nei prossimi cinque anni. Dalla prima conferenza Ticad i finanziamenti allo sviluppo del Giappone verso l’Africa ammontano a 12 miliardi di dollari, cifra che fa del Paese asiatico la principale nazione ‘donor’ per il continente africano. Le decisioni di Tokyo sono state accolte come "filantropia-senza-lacci", sottolineando che il Giappone "aiuta senza dare ordini" a differenza di altre potenze occidentali. Osservatori politici più smaliziati interpretano l’impegno crescente di Tokyo verso i Paesi africani come una strategia per accrescere il numero dei suoi alleati all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con il progetto di ottenere un seggio permanente, non potendo giocare la carta dell’influenza sul piano militare avendo rinunciato alla propria forza offensiva dopo la seconda guerra mondiale. Il prossimo appuntamento per i dirigenti africani è il 10 febbraio a Parigi, per una riunione allargata del Nepad, a cui parteciperanno anche l’Unione Africana, i Paesi del ‘G8’, l’Unione Europea, Paesi scandinavi, le Nazioni Unite e la Banca Mondiale.