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G.R. 13

IRAQ

Il leader sciita Moqtada Sadr, accolto da una folla inneggiante, si e' recato oggi nella moschea dell'Imam Ali a Najaf dopo che questa era stata colpita oggi da uno o piu' colpi di mortaio, per verificare i danni. Gli uomini di Sadr accusano gli statunitensi parlando di dieci persone che sono rimaste ferite. Testimoni confermano che una porta della moschea e' stata danneggiata ma parlano di soli tre feriti, nessuno dei quali sarebbe grave. Ahmad Shebani, rappresentante di Sadr nella moschea, ha affermato che a cadere sono stati cinque o sei missili. I militari americani non hanno rilasciato dichiarazioni a proposito. All'inizio del mese, la stessa moschea della citta' santa sciita era gia' stata danneggiata durante i combattimenti tra soldati Usa e uomini di Sadr, il quale e' asserragliato a Najaf e che gli americani dicono di voler prendere, vivo o morto. In quella occasione, soldati Usa e miliziani di Sadr si rimpallarono l'accusa di aver colpito il luogo sacro E sono almeno cinque i feriti a causa dell'esplosione di un'auto-bomba avvenuta in mattinata a Baghdad, all'esterno dell'hotel 'Karma', di proprieta' di stranieri e situato nei pressi dell'ambasciata d'Australia, che si trova proprio di fonte all'albergo, nel centrale quartiere di Jadriyah. Tutte le vittime sono iracheni, compreso un bambino di 11 o 12 anni che versa adesso in condizioni disperate. Lo ha riferito un portavoce militare americano, colonnello Mike Murray, il quale non ha escluso che possa essersi trattato di un attacco suicida. Secondo la polizia irachena, vero obiettivo dell'attacco dinamitado sarebbe comunque stata la rappresentanza diplomatica di Canberra, uno dei cui esponenti di rango piu' elevato sembra alloggi nell'albergo; a poca distanza sorge inoltre un posto di blocco eretto dai soldati australiani. Fonti della stessa legazione hanno comunque respinto l'ipotesi di essere stati presi specificamente di mira.

Un viaggiatore neozelandese che le autorita'davano per disperso in Iraq e'stato tenuto prigioniero senza poter comunicare con nessuno, per tre mesi di interrogatori. Lo rivela oggi il New Zealand Herald, ricordando che Andreas Schafer, di 26 anni, era scomparso in marzo, facendo scattare le ricerche ad alto livello delle autorita' neozelandesi presso quelle Usa, che hanno ripetutamente negato di avere alcuna informazione sulla persona. Il quotidiano riferisce di aver contattato Schafer in Giordania, da dove ha raccontato a mezzo email come la polizia irachena lo avesse fermato all'inizio di marzo a Diwaniya, a sud di Baghdad, e consegnato ai militari Usa. Sono stato detenuto per tre mesi e interrogato da militari americani in diverse occasioni, spiega il giovane. Ogni volta che mi interrogavano dicevano che era la prima volta che avevano saputo della mia cattura, e che le indagini dovevano cominciare dall'inizio. Il giornale aggiunge che Schafer e'stato rilasciato solo dopo lþintervento del console britannico. Il giovane, esperto di computer, aveva lavorato in Afghanistan per organizzazioni non governative e aveva deciso di trasferirsi via terra in Iraq allþinizio di questþanno, per continuare lo stesso lavoro.L'ambasciata Usa a Wellington, che nega ogni conoscenza di Schafer, non ha voluto commentare sulle notizie riportate dal quotidiano.La situazione del neozelandese ricorda quella già denunciata dai familiari di Berg, lo statunitense decapitato nelle scorse settimane, che avevano denunciato la sua detenzione illegale da parte degli Usa prima del suo rapimento

IRAN

L'associazione dei giornalisti iraniani ha espresso grave preoccupazione per le condizioni di salute di Ensafali Hedayat, un giornalista in carcere che sta facendo lo sciopero della fame dopo essere stato condannato a 18 mesi di reclusione. In un comunicato pubblicato oggi dal quotidiano Vaqaieh Ettefaqieh, l'associazione chiede all'apparato giudiziario di potere incontrare Hedayat in carcere per sincerarsi delle sue condizioni. Sono una dozzina i giornalisti in carcere in Iran, dove negli ultimi quattro anni la magistratura ha ordinato la chiusura di decine di quotidiani e riviste, quasi tutte pro-riformiste e pro-democratiche. Ensafali Hedayat, che ha 51 anni, e' stato riconosciuto colpevole di insulti contro i dirigenti del Paese e propaganda contro il sistema islamico. Il giornalista e' in carcere dal 16 gennaio, quando fu arrestato al ritorno dalla Germania, dove aveva preso parte a una conferenza dei Repubblicani iraniani, un gruppo dissidente. Preoccupazione e' stata espressa anche dall'organizzazione Reporters sans frontieres per le condizioni di Hedayat, oltre che per quelle di un anziano giornalista, Siamak Pourzand, di 75 anni, che sta scontando una pena a otto anni di reclusione per atti contro la sicurezza nazionale e contatti con esponenti monarchici e controrivoluzionari. Pourzand, che per mesi e' rimasto paralizzato a causa di problemi alla colonna vertebrale, e' ora in ospedale, dove e' stato sottoposto a un intervento chirurgico

NUOVA ZELANDA

E' ormai scontro aperto fra il governo laburista della Nuova Zelanda e la minoranza maori, che si oppone al piano di nazionalizzazione della linea costiera, che le tribu' indigene rivendicano come propria. La minaccia alla popolare premier Helen Clark (nei giorni scorsi in visita in Italia, Ndr) viene ora da un nuovo partito maori che sta subito raccogliendo forti consensi, mettendo a rischio la sua stessa riconferma, nelle elezioni del prossimo anno. Co-fondatrice del Maori Party þ la cui nascita e' stata celebrata domenica scorsa da 2.000 persone alla presenza di numerosi leader e capi clan di tutto il paese þ e' l'ex sottosegretario agli affari indigeni Tariana Turia, che il mese scorso si e' dimessa dal partito laburista in protesta contro il disegno di legge governativo di nazionalizzazione delle spiagge. La nascita del partito maori e' il risultato di un malcontento crescente, che all'inizio di maggio si era manifestato in una marcia di protesta attraverso il paese, che ha infine raggiunto il parlamento di Wellington, dove oltre 20 mila persone hanno rivendicato i diritti territoriali tradizionali dei maori. Oggetto del malcontento e' il piano governativo di dichiarare territorio demaniale le spiagge ed il fondo marino, una misura che secondo il governo e' necessaria per proteggere il pubblico accesso alle spiagge, pur assicurano ai maori l'uso tradizionale delle loro aree ancestrali lungo la costa. Per i maori invece sarebbe una violazione del trattato di Waitangi del 1840 tra la corona britannica e i capi tribu' indigeni, che accordo' alla corona sovranita' sulla Nuova Zelanda, ma garantisce ai maori l'uso delle loro terre tradizionali e delle relative risorse . I maori, poco piu' di un ottavo della popolazione di quattro milioni, sono il gruppo piu' svantaggiato in termini di reddito, salute, istruzione e alloggio, e soffrono di un tasso sproporzionatamente alto di disoccupazione

SUDAN

Il governo islamico di Khartoum e i ribelli secessionisti dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan hanno trovato un’intesa che apre la strada a un accordo finale per porre fine al più lungo conflitto in corso nel continente africano, iniziato nel 1983. Domani le due parti firmeranno una serie di protocolli. L’intesa non riguarda il conflitto in Darfur, nel Sudan occidentale, dove secondo le Nazioni Unite è in corso un’emergenza umanitaria gravissima provocata dagli scontri scoppiati oltre un anno fa tra gruppi armati locali ed esercito governativo, che sostiene le milizie paramilitari arabe ‘Janjaweed’, accusate di pulizia etnica contro la popolazione nera africana della regione. L’accordo raggiunto oggi in Kenya risolve la disputa su tre aree – Abyei, Blue Nile meridionale e Monti Nuba, geograficamente nel nord ma da sempre legate al Sud – e sulla suddivisione del potere nel periodo del dopoguerra. La firma di domani dovrebbe portare alla successiva definizione di un cessate-il-fuoco e all’accordo globale – ripetutamente rinviato - per chiudere definitivamente un conflitto che in 21 anni ha ucciso oltre due milioni di sudanesi, in gran parte civili morti per fame e malattie, e ha costretto milioni di persone a fuggire dal Sud Sudan.

INDONESIA

È di un morto e almeno 16 feriti, di cui due in cojndizioni gravi, il bilancio dell’esplosione di una bomba fatta deflagrare da sconosciuti nel mercato cristiano di Batumeja, nella capitale delle Molucche, Ambon, distante circa 2.400 chilometri a est di Giakarta. Lo riferiscono fonti internazionali, precisando che la vittima, gravemente ferita, si sarebbe spenta durante il trasporto in ospedale. Questo nuovo episodio di violenza va ad aggiungersi ai cinque cristiani feriti domenica scorsa dall’esplosione di due bombe, e agli attentati che il mese scorso hanno fatto registrare 38 morti. Secondo la polizia locale, scopo degli autori è creare tensione sociale così da favorire l’esplosione di un nuovo bagno di sangue, come quello che tra il 1999 e il 2002 ha provocato circa 5.000 morti in questa regione in seguito agli scontri tra i separatisti cristiani e i musulmani

Torture

Dopo Abu Ghraib, Guantanamo. Cinque sauditi detenuti nella base militare statunitense a Cuba hanno denunciato di aver subito torture. Lo ha sostenuto il loro avvocato, Kateb al-Shemmari, in alcune interviste telefoniche e via fax all'Associated Press. Le nuove rivelazioni seguono quelle di alcuni prigionieri britannici, in merito alle quali le autorità di Washington hanno sempre professato la loro innocenza. Il Comitato internazionale della Croce Rossa, l'unica struttura internazionale autorizzata a visitare i detenuti, ha annunciato che a fine mese ispezionerà la base e ascolterà le testimonianze dei detenuti. Il legale ha dichiarato che i cinque, rilasciati dalla struttura militare e rientrati in patria nel maggio 2003, "hanno confermato di aver patito torture e maltrattamenti quando furono reclusi per la prima volta in Afghanistan e in seguito durante gli interrogatori a Guantanamo". Al Shemmari ha affermato che il trattamento dei prigionieri è migliorato dopo la visita di una delegazione saudita. Secondo il legale, che non ha rivelato le identità degli autori della denuncia, lo scandalo di Abu Ghraib potrebbe aumentare le pressioni sull'amministrazione Usa per migliorare le condizioni e "trovare una soluzione legale per il destino dei detenuti di Guantanamo". Secondo le stime ufficiali delle autorità di Riyadh, dei circa 600 detenuti a Guantanamo 124 sono di nazionalità saudita.

Condono

Via libera definitivo della Camera alla conversione in legge del decreto che proroga di 4 mesi, dal 31 marzo al 31 luglio, i termini del condono edilizio. Il provvedimento è stato approvato con i voti della Cdl. Tutto il centrosinistra ha votato contro.Ha votato contro tutto il centrosinistra. Il decreto proroga di 4 mesi, dal 31 marzo al 31 luglio 2004, il termine per la presentazione delle domande di regolarizzazione degli abusi edilizi e per il pagamento della prima rata. Il provvedimento proroga anche i termini per il pagamento della seconda e della terza rata che slittano rispettivamente di 3 e 2 mesi. Per la seconda rata dal 30 giugno al 30 settembre. Per la terza rata dal 30 settembre al 30 novembre. Il termine del 31 luglio si applica anche alle domande per l'acquisto dell'area del demanio su cui e' stata fatta una costruzione abusiva. Contro l'ipotesi di proroga del condopno si erano preonunciate a suo tempo le associazioni ambientaliste, che denunciano la sostanziale autorizzazione allo scempiopaesaggistico voluta dal governo.

G.R. 9.30

IRAQ

Almeno nove iracheni sono morti e altri 19 sono rimasti feriti negli scontri a Najaf e Kufa tra l'esercito al Mahdi del leader sciita Muqtada al Sadr e le truppe americane. Secondo quanto riferiscono fonti ospedaliere, le vittime sarebbero perlopiù civili. A Najaf questa mattina sono state udite esplosioni e colpi d'arma da fuoco attorno a Piazza Rivoluzione del 1920 e al cimitero, già teatro nelle scorse settimane di violenti combattimenti. Secondo quanto riferito da un funzionario dell'ospedale generale Hakim, Seyed Kifah Shemal, sette persone sono morte e altre cinque sono rimaste ferite. A Kufa si sarebbe combattutto nella notte. Un infermiera dell'ospedale Forat al-Awsat, Riyadh Kadhem, ha riferito che due persone sono morte mentre altre 14 persone sono rimaste ferite. Non ci sono notizie di vittime tra le truppe americane

Un'esplosione ha distrutto questa mattina una macchina davanti ad un hotel nel centro di Baghdad. Secondo le prime notizie ci sarebbero vittime. La polizia ha già riferito di un bambino rimasto ferito. Le sirene stanno ancora suonando, mentre alcune ambulanze hanno raggiunto la zona della deflagrazione per i primi soccorsi. L'esplosione è avvenuta a circa 50 metri dall'hotel al Garmah, dove solitamente alloggiano giornalisti stranieri e ispettori delle Nazioni Unite per le armi di distruzione di massa irachene. Secondo quanto riferito dal quotidiano Le Monde nella sua edizione on line, nell'hotel risiede anche il rappresentante diplomatico dell'Australia. Altre macchine sono state danneggiate nell'esplosione nel distretto di Jadiriyah. Un portavoce della coalizione ha comunque riferito di non avere ancora informazioni sull'accaduto.Il vero obbiettivo dell'attenatato, dice il comando militare americano, era l'ambasciata australiana. Nell'attentato sono rimasti feriti cinque iracheni

Situazione di nuovo tesissima a Najaf, ove in mattinata si sono trasferiti i combattimenti tra truppe statunitensi e miliziani fedeli al giovane predicatore radicale sccita Moqtada al-Sadr, che erano divampati durante la notte nella vicina Kufa, a una decina di chilometri. Un colpo di mortaio si e' abbattuto al suolo a pochi metri soltanto dal mausoleo dell'Imam Ali, cugino e genero di Maometto nonche' considerato dagli adepti del culto sciita primo e legittimo successore del Profeta. si tratta del sito forse piu' sacro della citta' santa, e si trova per di piu' in pieno centro: non a caso risulta che l'esplosione del proietto abbia provocato il ferimento di almeno quattro persone. Lo hanno riferito fonti giornalistiche presenti sul posto, secondo cui forti esplosioni si sono udite provenire da circa un chilometro di distanza rispetto al mausoleo medesimo, mentre dall'intera zona si levavano alte verso il cielo colonne di denso fumo nero.

E' al minimo storico la pubblica approvazione della politica irachena del presidente Usa George W. Bush. Lo rivela l'ultimo sondaggio di Washington Post-ABC News dal quale emerge che solo il 40% degli americani vede con favore la gestione del dossier iracheno del capo della Casa Bianca, la percentuale più bassa da quando, il 20 marzo del 2003, aprì le ostilità contro l'Iraq. Secondo il Wp, questa ulteriore flessione è dovuta alla gestione della questione dello scandalo legato agli abusi dei prigionieri iracheni. Bush ad ogni modo perde punti su tutti i fronti. Sempre secondo il rilevamento, solo il 47% degli intervistati promuove l'operato generale del presidente a fronte di un 50% che lo boccia. Sulla scottante questione della permanenza delle truppe Usa in Iraq anche dopo il 30 giugno, il 58% degli americani sostiene di essere favorevole (-8 punti) contro il 40% che è per il ritiro dei soldati (+7 punti).

A poche settimane dall'insediamento del nuovo governo transitorio iracheno, gli Stati Uniti sembrano aver abbandonato l'ipotesi di disarmare e disperdere le decine di migliaia di miliziani privati presenti in Iraq, arruolati su base etnica e religiosa. Il peggioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese - riferisce oggi il New York Times - sembrerebbe aver indotto i funzionari americani a cercare di collaborare con le milizie presenti a Fallujah, a Baghdad e in altre zone del Paese, ad eccezione delle città sante sciite di Najaf e Karbala, dove i soldati Usa continuano a combattere con i miliziani del leader Muqtada al Sadr. Un alto funzionario della coalizione ha riferito che sono in corso negoziati per arrivare a un accordo con le principali brigate di miliziani presenti nel Paese. Un'intesa che prevede il loro scioglimento e arruolamento nelle forze di sicurezza del Paese. Il funzionario ha poi precisato che gli Stati Uniti si sono detti fiduciosi di poter annunciare già questa settimana l'accordo. Ma non è chiaro se, a così poche settimane dalla transizione politica in programma a fine giugno, gli americani abbiano ancora il potere di disperdere le milizie

REPUBBLICA DOMINICANA

Hanno già causato oltre 40 morti le insolite quanto intense piogge che da due settimane si abbattono sulla Repubblica Dominicana: lo ha riferito il Centro operazioni di emergenza (Coe), avvertendo che la situazione, già gravissima, rischia di peggiorare. Le vittime sono state segnalate principalmente a Jimaní, centro alla frontiera con Haiti, 280 chilometri da Santo Domingo, dove lo straripamento di un fiume ha inondato case e campi coltivati. A San Francisco de Macoris due uomini sono stati trascinati via dalla furia delle acque e un pescatore è annegato a causa di una mareggiata sulla costa caraibica. Il bilancio fornito dal Coe parla di almeno 450 abitazioni distrutte e 14 villaggi rimasti isolati. Fonti locali contattate dalla MISNA spiegano che le massicce precipitazioni di questi giorni sono piuttosto insolite: nella Repubblica Dominicana, infatti, la stagione secca va da fine dicembre a fine marzo, quella ciclonica da giugno a novembre, mentre il resto dell'anno sono previsti brevi acquazzoni, anche tre o quattro al giorno, alternati dal sereno con il sole a picco

COLOMBIA

Undici contadini sono stati uccisi in Colombia da paramilitari di estrema destra dopo che uomini mascherati li avevano prelevati dalle loro case e detto che avevano collaborato con la guerriglia marxista. Lo ha reso noto l'esercito. Il massacro, in un villaggio vicino a Tame, nella provincia di Arauca, vicino al confine con il Venezuela, è avvenuto tra mercoledì e giovedì scorso. I paramilitari sono giunti nel villaggio assieme a uomini mascherati, che hanno segnalato le vittime designate.

LAVORO

Giustizia, oggi toghe in sciopero contro riforma L’associazione Nazionale Magistrati, che rappresenta il 90 per cento delle novemila toghe italiane, è ottimista: lo sciopero indetto per oggi contro la riforma dell’ordinamento giudiziario avrà sicuramente un'adesione superiore a quella di due anni fa quando incrociò le braccia oltre l’85 per cento dei magistrati.Le ragioni alla base dello sciopero possono essere riassunte nel fatto che il nuovo ordinamento non assicura un miglior funzionamento della giustizia e mette a rischio l'indipendenza dei magistrati; inoltre l'unico obiettivo della riforma sarebbe quello di rendere giudici e pubblici ministeri "più controllabili".Condividono le ragioni dello sciopero i consiglieri togati del Consiglio Superiore della Magistratura.