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STRAGE DI KANDAHAR, COMMISSIONE SMENTISCE VERSIONE AMERICANA
Un’inchiesta condotta da una missione parlamentare afghana è arrivata alla conclusione che il massacro di civili avvenuto domenica in due villaggi della provincia meridionale di Kandahar è stata opera di almeno 15-20 militari statunitensi e non di uno solo come asserito dalle autorità di Washington. Lo riferisce l’agenzia di stampa ‘Pajhwok’ secondo cui i componenti della missione hanno trascorso due giorni raccogliendo prove, sentendo testimoni e feriti, parlando con i capi tribali.
In dichiarazioni rilasciate a ‘Pajhwok’ il parlamentare Hamizai Lali ha detto che l’attacco è durato un’ora e ha coinvolto due gruppi di militari statunitensi. Il deputato ha auspicato che i responsabili siano giudicati in Afghanistan.
Se non è certo quali effetti potrà avere l’esito di questa missione, è opinione comune di molti osservatori che per gli Stati Uniti la situazione in Afghanistan si sta facendo ancora più pesante. Prima il rogo di copie del Corano nella base militare di Bagram poi la strage di civili hanno ulteriormente alimentato un latente sentimento anti-americano tanto da convincere lo stesso presidente Hamid Karzai a chiedere ieri il ritiro delle truppe straniere dai villaggi e dalle campagne così da accelerarne il definitivo rientro in patria comunque previsto entro il 2014.
A pesare sono dieci anni di guerra che non hanno portato stabilità e sicurezza. Ieri, secondo notizie riferite da fonti di stampa internazionale, 13 civili – nove minori e quattro donne – sono stati uccisi nella provincia meridionale di Oruzgan e la polizia ha attribuito le uccisioni ai talebani. Oggi un elicottero della Nato si è schiantato contro un’abitazione alla periferia di Kabul: fonti di stampa turca riferiscono di 10 morti tra cui cinque soldati di Ankara.
I problemi per gli Stati Uniti sono infine arrivati anche sul piano diplomatico. Le discussioni intavolate in Qatar da gennaio con i talebani sembrano arrivati a un binario morto. I rappresentanti del movimento che si oppone alla presenza statunitense hanno sospeso i colloqui accusando Washington di voler guadagnare tempo senza affrontare i temi fondamentali. Il portavoce dalla Casa Bianca ha risposto ribadendo l’impegno a proseguire le trattative. Intanto, il militare presunto responsabile della strage di Kandahar sarebbe stato trasferito in Kuwait.
LADRI DI TERRE E DI ACQUA: A MARSIGLIA I CONTADINI DEL MALI DENUNCIANO
“Oggi i governi stanno svendendo i loro paesi. Stanno denigrando i contadini dicendo che l’agricoltura familiare non è più la soluzione, che bisogna andare verso gli investitori. Ma gli investitori prendono la terra dei contadini, non terra qualsiasi, ma terra ricca di acqua: parlare di accaparramento di terre significa parlare di accaparramento di acqua”: quella di Chantal Jacovetti, esponente della Via campesina in Mali, è una delle numerose denunce portate al Forum alternativo mondiale dell’acqua (Fame) in corso al Dock des Suds a Marsiglia. La città francese affacciata sul Mediterraneo, sede del Consiglio mondiale dell’acqua, è considerata dagli organizzatori del Fame “l’impero delle multinazionali dell’acqua” .
La denuncia della Jacovetti, un’agricoltrice francese trasferita da anni a Bamako, dove lavora nel Coordinamento nazionale delle organizzazioni contadine (Cnop), non è arrivata sul tavolo del Forum mondiale dell’acqua (Fma) ufficiale, al quale partecipano numerosi delegati del Mali, guidati dal ministro dell’Agricoltura, Aghatam Ag Alhassane.
“Le terre con più acqua – dice la Jacovetti – appartengono allo Stato del Mali in base a un retaggio coloniale francese. Lo Stato non ha mai fatto nulla su quelle aree, preferendo affidarsi a investitori stranieri e svendendole in cambio di altri vantaggi. I predatori delle risorse non sono soltanto i grandi gruppi privati, ma anche i governi stessi. Sono quindi anche i dirigenti, intesi come individui, appartenenti a un’elite, a trarre profitto dei contratti passati con le aziende, che spesso e volentieri versano tangenti per raggiungere l’obiettivo. Il meccanismo perverso è che le multinazionali non sono tanto interessate alle terre aride dove è difficile produrre – e dove bisognerebbe investire – ma preferiscono terreni già preparati dai contadini, con le forze di polizia”.
Insieme al capo del villaggio di Sanamadougou, il Cnop ha avviato un’azione legale per denunciare espropriazioni forzate, con la complicità delle forze di polizia, nonché distruzioni di campi, pressioni e arresti. “A nome di vari villaggi – dice la Jacovetti – abbiamo fatto ricorso davanti al tribunale di Markala e, anche se sappiamo che la procedura sarà lunghissima, siamo pronti ad andare fino in fondo”. Due giorni fa, aggiunge l’agricoltrice, centinaia di persone hanno manifestato a Bamako per rivendicare la restituzione delle terre ai cittadini. Per ribadire, come tutti i protagonisti del Fame, che l’acqua deve essere fonte di vita, non di profitto.
ITALIA
Morte di Giuseppe Uva, le perizie che riaprono il caso
Ancora ombre sul caso di Giuseppe Uva, l’operaio morto nel 2008 a 43 anni dopo essere ‘sparito’ per tre ore all’interno della caserma dei carabinieri di Varese. Era la notte tra il 14 e il giugno del 2008, quando Uva, insieme con un suo amico, Alberto Biggiogero, veniva fermato dai carabinieri. I due avevano bevuto e avevano messo delle transenne in mezzo alla strada, una bravata, poco più. I carabineri li portano in caserma e li mettono in due stanze diverse. Biggiogero sente le grida del suo amico e chiama il 118 per chiedere aiuto. Poi saranno gli stessi carabinieri a chiamare il prontosoccorso per richiedere un Tso nei confronti di Uva. L’uomo sarebbe morto in ospedale. “Era pieno di lividi – sostiene una sorella di Giuseppe -. Aveva bruciature di sigaretta dietro il collo e i testicoli tumefatt. Mi hanno spiegato che Pino ha dato in escandescenze, che è andato a sbattere contro i muri, ma quelle ferite non si spiegano così”.
Lunedì andrà in scena l’interrogatorio in aula dei tre periti che hanno scritto la perizia sul corpo riesumato dell’uomo.Nell’analisi, chiesta dal giudice Orazio Muscato, si afferma che Uva non è morto per le dosi di sedative che gli erano state somministrate in ospedale. Così, Carlo Fraticelli, medico nel 2008 in servizio all’ospedale di Varese, potrebbe andare incontro ad un’assoluzione, dopo essere stato accusato di aver ucciso Giuseppe Uva con la somministrazione di un ansiolitico la mattina del 14 giugno 2008. Nella perizia si legge che la morte dell’uomo sarebbe arrivata per “stress emotivo” dovuto all’alcool insieme alle “misure di contenzione fisica” e alle “lesioni traumatiche auto ed eteroprodotte “. Su ciò che ha causato l’infarto, invece, “non è possibile fare ulteriori osservazioni” a causa della “assoluta mancanza di documentazione inerente il periodo tra il fermo delle 3 e la relazione medica che prescrive il Tso”. Tra le altre cose, i periti hanno trovato “escoriazioni prodotte dall’urto contro un corpo contundente, espressione di una forza di lieve entità, con l’eccezione dei tessuti molli pericranici, ove l’intensità appare fotograficamente di maggiore rilevanza”.Sul fronte delle reazioni, l’avvocato della famiglia Uva, Fabio Anselmo ha osservato come la perizia sia “un macigno sul pm che dopo oltre tre anni non ha aperto un fascicolo su quanto successo in caserma”.
Insomma, la perizia redatta da Angelo Demori, Santo Davide Ferrara e Gaetano Thiene, da un lato afferma che la morte per pestaggio è da escludere, mentre dall’altro non esclude un qualche “errore di gestione” del caso da parte delle forze dell’ordine. Giuseppe Uva, in sostanza, sarebbe morto a causa di una tempesta emotiva causata da diversi fattori: l’alcol che aveva ingerito in grande quantità, ma anche la contenzione e le lesioni. Il caso è apertissimo e la verità su quanto accaduto in quei tragici giorni del giugno 2008 sembra ancora lontanissima.
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