Differences between revisions 164 and 254 (spanning 90 versions)
Revision 164 as of 2003-03-25 20:46:56
Size: 10946
Editor: anonymous
Comment:
Revision 254 as of 2005-04-13 18:06:37
Size: 13363
Editor: anonymous
Comment:
Deletions are marked like this. Additions are marked like this.
Line 1: Line 1:
== PRIMA EDIZIONE == Even before the UN Security Council chooses an international commission to investigate the murder of former Lebanese prime minister Rafiq Hariri, Syria’s best friends in the Lebanese security service are beginning to fall off their perches. Given the verdict of the UN’s original fact-finding mission into the killing - it accused Lebanese investigators of "gross negligence, possibly accompanied by criminal actions" - most Lebanese drew one conclusion: about time.
Line 3: Line 3:
'''DISASTRO UMANITARIO A BASSORA''' First came the chief judge in the official Lebanese murder enquiry, Michel Abu Arraj, who last week mysteriously announced that he was exhausted, adding that he felt it necessary to resign "because of the atmosphere of scepticism surrounding the investigation." Then came news that General Raymond Azar, the powerful head of Lebanese military intelligence, has decided to take a months "leave of absence" amid the political opposition’s continued demand for his resignation and that of five of his colleagues.
Line 5: Line 5:
2 milioni le persone senza acqua in tutto l'Iraq. "Bassora è sull'orlo di un disastro umanitario, in città manca l'acqua e l'elettricità da tre giorni".l'allarme sulle condizioni in cui versa la principale città del sud dell'Iraq è stato lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, che ha inoltre richiamato l'urgenza di far ripartire al più presto le operazioni del programma umanitario 'petrolio in cambio di cibo' da cui dipende il sostentamento del 60 per cento degli iracheni.
Alle richieste dell'ONU ha fatto eco il Comitato Internazionale della Croce Rossa che dal quartier generale di Ginevra ha definito la situazione nella città ''estremamente critica, soprattutto sul fronte dell'approvvigionamento idrico.
And now General Ali Haj, the head of the Lebanese Internal Security Forces, is expected to follow Azarõs example. Haj it was who ordered his men to move the bombed-out remains of Mr Hariri’s convoy from the scene of the crime just before midnight on February 14th, the day of the assassination. In the words of Peter FitzGerald, the deputy Irish Garda commissioner who headed the UN Mission, this decision prevented "any ballistic analysis, explosive analysis and evidence gathering at the scene." General Haj was once a member of Mr Hariri’s security detail - but was redeployed after the former prime minister concluded that he was passing information to the Syrian security authorities in Beirut.
Line 8: Line 7:
www.agenziaitalia.it Even President Lahoud, Syria’s most faithful friend in Lebanon, now supports - or says he supports - a full international investigation of the Hariri murder. Thus is the pendulum slowly swinging in the direction of the political opposition.
Line 10: Line 9:
Fonti non confermate riferiscono che il segretario generale dell'Onu Kofi Annan vorrebbe mandare d'urgenza i caschi blu in Iraq per affrontare la crisi umanitaria.Secondo le indiscrezioni Annan avrebbe comunicato questa decisione al segretario generale per la sicurezza Usa, Condoleeza Rice, mentre Bush ne parlerebbe domani nell'incontro con il premier britannico Tony Blair. Or so it seems.
Line 12: Line 11:
http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=34623 The resignation - for the second time in a month - of Prime Minister Omar Karami is a further sign of Lebanon’s political decay. Unable to find a single opponent of Syria prepared to serve in a coalition government, he refused to lead a cabinet of "one colour" and preferred to step down in ignominy. But without a prime minister, it is doubtful if national elections could be held in May - which would preserve the present Lebanese parliament which is loaded with Syrian supporters.
Line 14: Line 13:
''' i fronti '''

Intanto sul fronte secondo fonti dell'esercito statunitense almeno 500 iraqueni sono stati uccisi negli ultimi due giorni negli scontri nel sud dell'Iraq,una squadra di reporter che da NasirYa si è spostata verso nord ha riferito di aver visto almeno cento cadaveri sul ciglio della strada,impossibile distinguere se siano civili o militari.
Confermata anche da fonti iraqene dopo tre giorni di false dichiarazioni del Pentagono la notizia che le città nel sud dell'Iraq: Umm Qasar e Al Basrah sono controllate dall' esercito angloamericano.Il fronte centrale è fermo, i marines sono impantanati in una zona paludosa. cosi anche a Karba'la, dove una fortissima tempesta di sabbia ha bloccato la terza divisione di fanteria americana a 80 km da Bagdad.
Ancora un incidente provocato dal fuoco amico: alcuni F-16 americani hanno bombardato per errore una batteria di missili anti-missile Patriot, in Iraq.Lo hanno indicato fonti del Comando Centrale Usa in Kuwait citate dalla Ap, precisando che non ci sarebbero vittime.

http://www.misna.org/ita/default.htm www.un.org www.italy.indymedia.org

''' Sciiti gli Usa ci hanno ordinato di star fuori da guerra '''

Gli Stati Uniti evrebbero ordinato ai combattenti del più importante movimento sciita di opposizione a Saddam Hussein di restare fuori dalle operazioni di guerra in Iraq. Lo ha riferito oggi il leader dell'Assemblea suprema della Rivoluzione islamica in Iraq (Sairi), l'ayatollah Mohammead Baker Hakim, nel corso di una conferenza stampa.

www.agenziaitalia.it www.italy.indymedia.org



'''GRANDE MANIFESTAZIONE DI PROTESTA A DAMASCO'''

Continuano le proteste in tutto il medio oriente a Damasco centinaia di migliaia di persone si sono riversate oggi nelle strade ed in tutta la Siria per protestare contro la guerra in Iraq. I dimostranti hanno chiesto la fine dell'intervento armato condotto da Stati Uniti e Gran Bretagna, l'espulsione dei diplomatici dei due paesi e la chiusura delle ambasciate di Washington e Londra in Siria.Rabbia tra i manifestanti anche per l'attacco di un aereo britannico contro un pullman che riportava a casa un gruppo di lavoratori siriani,10 le persone uccise.


'''Italia'''

buone notizie dall'Italia dove i lavoratori del cantiere Orlando di Livorno, nonostante con le famiglie vivano da mesi le difficolta' economiche dell'azienda sulla propria pelle, si rifiutano di prestare la loro opera per effettuare riparazioni urgenti su una nave che trasporta mezzi militari amerikani.


'''OCCUPATA DAGLI STUDENTI L'AULA MAGNA ALL'UNIVERSITA' DI ROMA'''

 L'Aula Magna del rettorato dell'Universita' La Sapienza di Roma e' stata occupata dagli studenti per protesta contro la guerra in Iraq. L'occupazione e' avvenuta pochi minuti prima delle 14.00 dopo che il rettore Giuseppe D'Ascenzo ne aveva negato l'uso.

Due bandiere della pace sono state annodate alla ringhiera dell'ampia balconata del rettorato. Momenti di tensione tra studenti e una decina di agenti di polizia in borghese che volevano entrare nell'aula.

Erano due anni che l'Aula magna del rettorato della Sapienza non veniva occupata. In diverse facolta' dell'ateneo sono sospese le attivita' didattiche, mentre gli studenti chiedono che i fondi destinati dall'universita' per i festeggiamenti in occasione del VII centenario della Sapienza siano destinati alla ricostruzione dell'universita' di Baghdad.

== SECONDA EDIZIONE ==

'''ALL'ESAME DEL PARLAMENTO MODIFICA NORMATIVA COMMERCIO ARMI'''

E' alle battute finali in senato l'esame del disegno di legge n.1547, primo firmatario l'On Cesare Previti, senatore di Forza Italia nonché ex membro del Cda della Alenia, che almeno a parole dovrebbe ratificare l'Accordo-quadro per la ristrutturazione dell'industria europea della difesa firmato a Farnborough nel 2000.

'''La rete oscurata'''

Yellow times è stato chiuso ( e ha riaperto dopo un giorno) perché per primo ha pubblicato le foto delle vittime americane a Nasiriayah, che la Cnn non ha voluto mandare in onda con la scusa di applicare la Convenzione di Ginevra. Le foto erano visibili all'indirizzo http://www.yt.org/article.php?sid=1199
YellowTimes.org, un fonte americana di informazione indipendente, che fornisce punti di vista non convenzionali sugli eventi di attualità, è stata chiusa per un giorno ed ha potuto riaprire il sito solo dopo aver rimosso le foto pubblicate on line che riguardavano danni ai civili e prigionieri americani in Iraq.
Le motivazioni: contenuto grafico inappropriato. Yellow Times ha rivendicato il diritto a pubblicare i drammi della guerra, e l'orrore inflitto a entrambe le parti. E condannando la guerra, le violenze e gli orrori, ha sottolineato la necessità di condannare anche l'assenza di verità.

Per altre informazioni: http://www.YellowTimes.org


Anche Israele censura internet.Le autorità militari avvertono i siti di informazione che prima di pubblicare devono superare il vaglio delle commissioni di censura.

Israele teme che informazioni possano circolare al di fuori del proprio controllo le autorità hanno deciso di porre un freno censorio all'informazione
elettronica.
In una nota trasmessa ai news magazine Rotter (www.rotter.net) e Fresh (www.fresh.co.il), l'ufficio per la censura dell'esercito israeliano ha
indicato due comportamenti che questi e altri siti di informazione devono d'ora in poi tenere. Il primo è possibilmente di non pubblicare
informazioni che possano essere considerate sensibili. Il secondo è che,qualora si voglia pubblicare questo genere di informazione, sarà necessario
avere l'ok dalle autorità di controllo e censura di Gerusalemme o Tel Aviv.

Per "sensibili" si intendono cose come: aree precise dell'impatto di missili e bombe, tipologia dei missili utilizzati, operazioni dell'esercito
in qualsiasi area, dati sulla collaborazione con entità straniere, discussioni all'interno del Governo.





= APPUNTAMENTI DI DOMANI =

1. Assemblea contro la guerra a Palermo all'aula magna di ingegneria alle 10 di domani mattina L'obbiettivo dell'assemblea vorrebbe essere quello di (ri)lanciare delle iniziative concrete contro il conflitto L'idea dell'assemblea si inserisce nel quadro di una serie di iniziative organizzate dalla facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo atte a rendere manifesto e tangibile il dissenso della città nei confronti di questa guerra.
 

2.Iniziativa contro la guerra di Critical mass a livorno a partire dalle 5 di pomeriggio partendo da P.zza Cavour


3. Sit in delle Donne in nero a Roma a Largo di Torre Argentina alle 6.00 DEDICATO a Leyla Zana una donna curda detenuta nelle carceri turche, condannata a 15 anni di prigione con l'accusa di separatismo per aver pronunciato giuramento alla costituzione turca in lingua curda, dopo la sua elezione in rappresentanza della minoranza curda.

4.ora in silenzio per la pace Promossa nel settembre del 2001 dalla "retecontrog8 per la globalizzazione dei diritti", dalle ore 18.00 alle ore 19.00 in tutti i tutti i mercoledì a piazza de ferrari, scalini palazzo ducale a Genova


5.Manifestazione a Camaiore contro la guerra a partire dalle 9 di sera in piazza san bernardino da Siena e sarà una fiaccolata.





Milano: domani, ore 17 alla Statale assemblea cittadina contro la guerra sia che il Rettore metta a disposizione l'Aula Magna, sia che rifiuti, domani alle 17 si svolgerà in Statale un'assemblea cittadina contro la guerra.
Hizballah is still refusing to move from its position of support for Syria, which means that tens of thousands of Shia Muslims remain outside the Lebanese opposition. And the three night-time bombs which have exploded in commercial districts of east Beirut are surely not the only ones that have been prepared for the coming weeks. By targeting the eastern, largely Christian suburbs of the city - where opposition to Syria is strongest - there appears to be a plan to provoke the Maronite community against Lebanese Muslims. So far, it has proved fruitless. But if that is the case, so the Lebanese argue, surely the agents provocateurs will next time use car bombs in crowded streets. Mercifully the Sunni Muslims, Druze and Christians had created their anti-Syrian alliance before Hariri’s murder; had they tried to do so in its aftermath, they may well have failed.
Line 106: Line 21:
U.S.A.
Line 108: Line 22:
governo americano http://www.sisde.it/sito%5CRivista19.nsf/servnavig/5
Line 110: Line 24:
presidente GeorgewBush definizione hezbollah
Line 112: Line 26:
the Cabinet uyybzcfzesxbole Secretary of Agriculture Ann Veneman
Line 114: Line 27:
Secretary of Commerce Don Evans
Line 116: Line 28:
Secretary of Defense DonaldRumsfeld È l’11 Giugno 2002 quando, ad ovest di Jenin, viene posata la prima pietra del muro dell’Apartheid. Un progetto di lunga data, teorizzato anni prima dal laburista israeliano Ehud Barak, prende forma proprio qui a Jenin, una delle zone di lotta palestinese più in fermento. Un muro che forse, in un primo momento, poteva essere visto solo come uno strumento di divisione e non di annessione. «Il muro all’origine, è stato proposto dalla sinistra israeliana, dai settori più moderati - racconta padre David Jaeger, esperto di questioni mediorientali - L’idea rispondeva alle esigenze di sicurezza in Israele per fermare gli attentatori e nello stesso tempo il muro doveva demarcare la frontiera tra Israele e Palestina e passare lungo la cosiddetta Linea Verde. L’idea laburista incorporava il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente e portava con sé il ritiro dalla maggioranza dei territori occupati».
Line 118: Line 30:
Secretary of Education Rod Paige Ma nel 2002 le cose sono diverse, Ariel Sharon guida lo Stato d’Israele e anche i timidi progetti laburisti vengono travolti. «Il piano - spiega il ministro della Sicurezza interna Uzi Landau - non si propone di tagliare in due Gerusalemme, ma solo di impedire l’ingresso di terroristi palestinesi provenienti da Betlemme e da Ramallah. L’indivisibilità di Gerusalemme e la sovranità di Israele sull’intera città, capitale eterna del popolo ebraico, è fuori discussione». E pure i permessi di passaggio del muro sono chiari nella mente dei suoi ideatori. Ne saranno istituiti tre tipi. Uno, detto «intelligente», permetterà il libero passaggio degli israeliani ma non dei palestinesi, un altro permetterà il veloce ingresso delle truppe dello Stato ebraico, un terzo sarà utilizzato dagli agricoltori israeliani.
Line 120: Line 32:
Secretary of Energy Spencer Abraham Una struttura difensiva, secondo gli israeliani, non un confine geo-politico. Quindi, nessun pregiudizio a possibili negoziati. Ma, commenta il ministro dell’Informazione dell’Anp, Yasser Abed Rabbo, «l’obiettivo degli israeliani è di frantumare i Territori, trasformando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in altrettante enclaves circondate da “zone cuscinetto” e intensificare la colonizzazione». E i palestinesi non sono gli unici ad opporsi al Muro. Per differenti ragioni, anche i coloni israeliani non sono d’accorso con Sharon. «Quel Muro intende indicare il confine politico di Israele e quello dello Stato palestinese. Uno Stato del terrore che non dovrà mai nascere perchè rappresenterebbe una minaccia mortale per Israele». A parlare a nome degli oltre 220mila coloni che risiedono negli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è Benny Lieberman, presidente del Consiglio degli insediamenti di Giu dea e Samaria. Originariamente, secondo la prima mappa del Muro, presentata nel settembre del 2002, la barriera sarebbe dovuta essere lunga in tutto meno di 200 chilometri, ma le proteste dei coloni hanno convinto Sharon a estenderla, per includere in Israele anche gli insediamenti. Nel marzo del 2003, una nuova variazione del percorso include i villaggi di Ariel e Immanuel e prevede l'attraversamento della valle del Giordano.
Line 122: Line 34:
Secretary of Health & Human Services Tommy Thompson In un anno, gli israeliani completano la "prima fase" del muro, 145 km che attraversano i distretti nord della West bank, Jenin, Tulkarem e Qalqilya. Una barriera che rinchiude in terra israeliana 210mila palestinesi, un muro che mangia 120 ettari di terra che ora sono definiti "zona di sicurezza". La confisca della terra, la distruzione di edifici e le limitazioni agli spostamenti si stima provocheranno la perdita di circa 6500 posti di lavoro. Secondo ordinanze militari israeliane, tutte le terre ad ovest della "prima fase" sono da considerarsi "zone cuscinetto". Di fatto si tratta di una vera e propria annessione di territorio.
Line 124: Line 36:
Secretary of Homeland Security TomRidge Un esproprio che provoca perplessità anche negli Stati Uniti, i miglior alleati del governo Sharon. Ma il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom tranquillizza gli umori, spiegando che con gli Usa è successo un «malinteso che deriva da un’insufficiente conoscenza dei particolari del progetto». Il timore di rottura del feeling americano, nasce da un incontro a fine luglio 2003 tra Abu Mazen, numero due dell’Olp e il presidente Bush. In questa occasione, il presidente americano aveva affermato che la costruzione della «recinzione» costituiva un «problema». Ma, alla fine Ariel e George W. «si sono trovati d’accordo su quasi tutto, e su quel poco su cui erano in contrasto hanno convenuto di non convenire». Potere della diplomazia. La costruzione del Muro va avanti e, assicura Sharon, «ogni sforzo sarà fatto per ridurre al minimo le difficoltà che creerà alla popolazione palestinese». Non si sa quale sia la nozione di “minimo” nella testa del premier israeliano.
Line 126: Line 38:
Secretary of State ColinPowell Risale al 21 ottobre 2003 la prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a Israele di "fermare e smantellare il muro dell'apartheid". L’Onu dichiara testualmente che «quella barriera di sicurezza è contraria alle leggi internazionali» e che Israele deve «porre un termine alla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, e rimuovere quella parte della barriera già edificata». Il parere dell’Assemblea- 144 i voti a favore (tra cui quelli dell'Unione Europea), 4 i contrari (Usa, Israele, Micronesia, Isole Marshall), 12 le astensioni – non è giuridicamente vincolante, ma ha una valenza simbolica di grande portata. Ma nemmeno così, nessuno dei bulldozer che devastano i villaggi palestinesi ha smesso di lavorare.
Line 128: Line 40:
Secretary of Transportation Norman Mineta L’Assemblea dell’Onu chiede anche che la Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja, apra un fascicolo riguardo al «Muro della discordia». Ma le autorità internazionali paiono non preoccupare assolutamente Sharon. Nel febbraio 2004, Israele fa sapere che «non si farà processare dal Tribunale dell’Aja». Non parteciperà alle udienza convocata per il 23 febbraio, non riconoscerà la competenza del foro internazionale a pronunciarsi sulla legalità della barriera perchè si tratta «di una questione che investe il diritto fondamentale all’autodifesa di Israele». Ma nonostante tanta ostentata indifferenza, Sharon teme il responso dei giudici internazionali, e dà avvio a una forte attività diplomatica. E le sue parole convincono Usa, Russia e Unione Europea. I tre giganti, pur criticando il tracciato della barriera, si dichiarano contrari a un intervento della Corte dell’Aja nella vicenda, perchè non esiste una «via giudiziaria» alla pace. Così come, aggiungiamo, non dovrebbe esistere una «via militare» alla pace. Ma forse, la quiete è l’ultima delle cose che interessano ad Ariel Sharon. I suoi convincenti discorsi, insomma, fanno sì che solo 13 Stati, per lo più musulmani, intervengano all’udienza dell’Aja, accanto all’Anp, alla Lega Araba e all’Organizzazione della Conferenza islamica.
Line 130: Line 42:
Secretary of Treasury John Snow E mentre all’Aja si lavora per trovare soluzioni, in Cisgiordania il cemento continua a mangiarsi case e terreni. Il 23 febbraio 2004, le ruspe dell’esercito israeliano iniziano a spianare un’area vicino a Beit Surik, nella Cisgiordania nord-occidentale, da dove partirà il nuovo troncone del «muro», lungo circa 96 chilometri. Per chi non l’avesse capito, «nessuna Corte al mondo potrà mai mettere in discussione il nostro diritto di difesa, del quale la barriera è parte fondamentale», ribadisce Dore Gold, consigliere diplomatico del premier israeliano.
Line 132: Line 44:
Secretary of Veterans Affairs Anthony Principi La sentenza della Corte, seppur non vincolante, è perentoria: quel Muro crea danni «ai diritti dei palestinesi e le violazioni derivanti dal suo percorso non possono essere giustificate da alcuna esigenza militare o da richieste relative alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico» d’Israele. Perché il Muro «costituisce una violazione da parte di Israele di diversi obblighi relativi alla legge umanitaria internazionale ed agli strumenti dei diritti umani».
Line 134: Line 46:
Secretary of Housing & Urban Development Mel Martinez Israele cerca conforto tra gli amici e chiede agli Usa di esercitare il diritto di veto per bloccare in Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione Onu sul muro. I palestinesi esultano per la vittoria politica. «Nessuno può imporci questo muro dell'apartheid, il suo smantellamento è ineluttabile: il muro di Berlino è crollato, e il muro di Sharon lo seguirà», queste furono le parole di Yasser Arafat.
Line 136: Line 48:
Secretary of Interior GaleNorton Nel luglio 2004, è un altro tribunale a bocciare il Muro. Questa volta, però, è la Corte Suprema israeliana. E Sharon è costretto a fermare i bulldozer. Peccato, solo per trenta chilometri, giusto quelli che i giudici hanno ritenuto inopportuni. Uno spostamento di 30 km di «muro» a nord di Gerusalemme, una bocciatura certamente parziale ma significativa: "Il percorso del muro – nel villaggio di Beit Surik (ndr) - danneggia gravemente gli abitanti e viola i loro diritti, sanciti dalla normativa internazionale. Lo Stato dovrà trovare una soluzione alternativa che dia meno garanzie di sicurezza ma pesi di meno sulla popolazione locale". Considerazioni che potrebbero calzare a pennello anche ai restanti 700 km di muro.
Line 138: Line 50:
Attorney General John Ashcroft

Secretary of Labor Elaine Chao

consiglieri del presidente

Consigliere Di Sicurezza Nazionale CondoleezzaRice

ISRAELE

governo israeliano

ArielSharon - Prime Minister

(inoltre tiene le comunicazioni, l'alloggiamento e la costruzione, gli affari labor e sociali e le cartelle religiose di affari)

      YosefLapid - Ministro della Giustizia, and Deputy Prime Minister

      EhudOlmert - Ministro dell'industria e del commercio, and Deputy Prime Minister

      SilvanShalom -Ministro degli affari esteri, and Deputy Prime Minister

      BenyaminElon - Ministro del turismo

      TzachiHanegbi - Ministro della pubblica sicurezza

      YisraelKatz - Ministro dell'agricoltura e dello sviluppo rurale

      AvigdorLieberman - Ministro dei trasporti

      LimorLivnat - Ministro della educazione, cultura e sport

      TzipiLivni - Ministero per l'assorbimento degli immigrati

      ShaulMofaz - Ministro delle difesa

      YehuditNaot - Ministro dell'ambiente

      DanNaveh - Ministro della salute

      BenjaminNetanyahu - Ministro della finanza

      JosephParitzky - Ministro delle infrastrutture nazionali

      Avraham Poraz - Ministro dell'interno

      Eliezer Sandberg - Ministero delle scienze e tecconologie

      Gideon Ezra - Minister without Portfolio

      Uzi Landau - Minister without Portfolio

      Natan Sharansky - Minister without Portfolio

Meir Sheetrit - Minister without Portfolio
Il 20 luglio 2004, una nuova risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (150 voti favorevoli, 6 contrari - tra cui Usa e Israele -, 10 astenuti) chiede ai paesi Onu di "non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme". Per Israele è un voto «vergognoso». Per la direzione palestinese è «la decisione più importante per la nostra causa dal 1947». Ma nemmeno questo parere è vincolante, e non c’è da sperare che le orecchie di Sharon vogliano ascoltarlo. Anche se stavolta, nemmeno l’Unione Europea lo ha appoggiato. «Siamo delusi - dice Sharon - per il sostegno massiccio di tutti i Paesi dell’Ue, che non ha tenuto in alcun conto del terrorismo di cui Israele è vittima».

Even before the UN Security Council chooses an international commission to investigate the murder of former Lebanese prime minister Rafiq Hariri, Syria’s best friends in the Lebanese security service are beginning to fall off their perches. Given the verdict of the UN’s original fact-finding mission into the killing - it accused Lebanese investigators of "gross negligence, possibly accompanied by criminal actions" - most Lebanese drew one conclusion: about time.

First came the chief judge in the official Lebanese murder enquiry, Michel Abu Arraj, who last week mysteriously announced that he was exhausted, adding that he felt it necessary to resign "because of the atmosphere of scepticism surrounding the investigation." Then came news that General Raymond Azar, the powerful head of Lebanese military intelligence, has decided to take a months "leave of absence" amid the political opposition’s continued demand for his resignation and that of five of his colleagues.

And now General Ali Haj, the head of the Lebanese Internal Security Forces, is expected to follow Azarõs example. Haj it was who ordered his men to move the bombed-out remains of Mr Hariri’s convoy from the scene of the crime just before midnight on February 14th, the day of the assassination. In the words of Peter FitzGerald, the deputy Irish Garda commissioner who headed the UN Mission, this decision prevented "any ballistic analysis, explosive analysis and evidence gathering at the scene." General Haj was once a member of Mr Hariri’s security detail - but was redeployed after the former prime minister concluded that he was passing information to the Syrian security authorities in Beirut.

Even President Lahoud, Syria’s most faithful friend in Lebanon, now supports - or says he supports - a full international investigation of the Hariri murder. Thus is the pendulum slowly swinging in the direction of the political opposition.

Or so it seems.

The resignation - for the second time in a month - of Prime Minister Omar Karami is a further sign of Lebanon’s political decay. Unable to find a single opponent of Syria prepared to serve in a coalition government, he refused to lead a cabinet of "one colour" and preferred to step down in ignominy. But without a prime minister, it is doubtful if national elections could be held in May - which would preserve the present Lebanese parliament which is loaded with Syrian supporters.

Hizballah is still refusing to move from its position of support for Syria, which means that tens of thousands of Shia Muslims remain outside the Lebanese opposition. And the three night-time bombs which have exploded in commercial districts of east Beirut are surely not the only ones that have been prepared for the coming weeks. By targeting the eastern, largely Christian suburbs of the city - where opposition to Syria is strongest - there appears to be a plan to provoke the Maronite community against Lebanese Muslims. So far, it has proved fruitless. But if that is the case, so the Lebanese argue, surely the agents provocateurs will next time use car bombs in crowded streets. Mercifully the Sunni Muslims, Druze and Christians had created their anti-Syrian alliance before Hariri’s murder; had they tried to do so in its aftermath, they may well have failed.

http://www.sisde.it/sito%5CRivista19.nsf/servnavig/5

definizione hezbollah

È l’11 Giugno 2002 quando, ad ovest di Jenin, viene posata la prima pietra del muro dell’Apartheid. Un progetto di lunga data, teorizzato anni prima dal laburista israeliano Ehud Barak, prende forma proprio qui a Jenin, una delle zone di lotta palestinese più in fermento. Un muro che forse, in un primo momento, poteva essere visto solo come uno strumento di divisione e non di annessione. «Il muro all’origine, è stato proposto dalla sinistra israeliana, dai settori più moderati - racconta padre David Jaeger, esperto di questioni mediorientali - L’idea rispondeva alle esigenze di sicurezza in Israele per fermare gli attentatori e nello stesso tempo il muro doveva demarcare la frontiera tra Israele e Palestina e passare lungo la cosiddetta Linea Verde. L’idea laburista incorporava il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente e portava con sé il ritiro dalla maggioranza dei territori occupati».

Ma nel 2002 le cose sono diverse, Ariel Sharon guida lo Stato d’Israele e anche i timidi progetti laburisti vengono travolti. «Il piano - spiega il ministro della Sicurezza interna Uzi Landau - non si propone di tagliare in due Gerusalemme, ma solo di impedire l’ingresso di terroristi palestinesi provenienti da Betlemme e da Ramallah. L’indivisibilità di Gerusalemme e la sovranità di Israele sull’intera città, capitale eterna del popolo ebraico, è fuori discussione». E pure i permessi di passaggio del muro sono chiari nella mente dei suoi ideatori. Ne saranno istituiti tre tipi. Uno, detto «intelligente», permetterà il libero passaggio degli israeliani ma non dei palestinesi, un altro permetterà il veloce ingresso delle truppe dello Stato ebraico, un terzo sarà utilizzato dagli agricoltori israeliani.

Una struttura difensiva, secondo gli israeliani, non un confine geo-politico. Quindi, nessun pregiudizio a possibili negoziati. Ma, commenta il ministro dell’Informazione dell’Anp, Yasser Abed Rabbo, «l’obiettivo degli israeliani è di frantumare i Territori, trasformando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in altrettante enclaves circondate da “zone cuscinetto” e intensificare la colonizzazione». E i palestinesi non sono gli unici ad opporsi al Muro. Per differenti ragioni, anche i coloni israeliani non sono d’accorso con Sharon. «Quel Muro intende indicare il confine politico di Israele e quello dello Stato palestinese. Uno Stato del terrore che non dovrà mai nascere perchè rappresenterebbe una minaccia mortale per Israele». A parlare a nome degli oltre 220mila coloni che risiedono negli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è Benny Lieberman, presidente del Consiglio degli insediamenti di Giu dea e Samaria. Originariamente, secondo la prima mappa del Muro, presentata nel settembre del 2002, la barriera sarebbe dovuta essere lunga in tutto meno di 200 chilometri, ma le proteste dei coloni hanno convinto Sharon a estenderla, per includere in Israele anche gli insediamenti. Nel marzo del 2003, una nuova variazione del percorso include i villaggi di Ariel e Immanuel e prevede l'attraversamento della valle del Giordano.

In un anno, gli israeliani completano la "prima fase" del muro, 145 km che attraversano i distretti nord della West bank, Jenin, Tulkarem e Qalqilya. Una barriera che rinchiude in terra israeliana 210mila palestinesi, un muro che mangia 120 ettari di terra che ora sono definiti "zona di sicurezza". La confisca della terra, la distruzione di edifici e le limitazioni agli spostamenti si stima provocheranno la perdita di circa 6500 posti di lavoro. Secondo ordinanze militari israeliane, tutte le terre ad ovest della "prima fase" sono da considerarsi "zone cuscinetto". Di fatto si tratta di una vera e propria annessione di territorio.

Un esproprio che provoca perplessità anche negli Stati Uniti, i miglior alleati del governo Sharon. Ma il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom tranquillizza gli umori, spiegando che con gli Usa è successo un «malinteso che deriva da un’insufficiente conoscenza dei particolari del progetto». Il timore di rottura del feeling americano, nasce da un incontro a fine luglio 2003 tra Abu Mazen, numero due dell’Olp e il presidente Bush. In questa occasione, il presidente americano aveva affermato che la costruzione della «recinzione» costituiva un «problema». Ma, alla fine Ariel e George W. «si sono trovati d’accordo su quasi tutto, e su quel poco su cui erano in contrasto hanno convenuto di non convenire». Potere della diplomazia. La costruzione del Muro va avanti e, assicura Sharon, «ogni sforzo sarà fatto per ridurre al minimo le difficoltà che creerà alla popolazione palestinese». Non si sa quale sia la nozione di “minimo” nella testa del premier israeliano.

Risale al 21 ottobre 2003 la prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a Israele di "fermare e smantellare il muro dell'apartheid". L’Onu dichiara testualmente che «quella barriera di sicurezza è contraria alle leggi internazionali» e che Israele deve «porre un termine alla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, e rimuovere quella parte della barriera già edificata». Il parere dell’Assemblea- 144 i voti a favore (tra cui quelli dell'Unione Europea), 4 i contrari (Usa, Israele, Micronesia, Isole Marshall), 12 le astensioni – non è giuridicamente vincolante, ma ha una valenza simbolica di grande portata. Ma nemmeno così, nessuno dei bulldozer che devastano i villaggi palestinesi ha smesso di lavorare.

L’Assemblea dell’Onu chiede anche che la Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja, apra un fascicolo riguardo al «Muro della discordia». Ma le autorità internazionali paiono non preoccupare assolutamente Sharon. Nel febbraio 2004, Israele fa sapere che «non si farà processare dal Tribunale dell’Aja». Non parteciperà alle udienza convocata per il 23 febbraio, non riconoscerà la competenza del foro internazionale a pronunciarsi sulla legalità della barriera perchè si tratta «di una questione che investe il diritto fondamentale all’autodifesa di Israele». Ma nonostante tanta ostentata indifferenza, Sharon teme il responso dei giudici internazionali, e dà avvio a una forte attività diplomatica. E le sue parole convincono Usa, Russia e Unione Europea. I tre giganti, pur criticando il tracciato della barriera, si dichiarano contrari a un intervento della Corte dell’Aja nella vicenda, perchè non esiste una «via giudiziaria» alla pace. Così come, aggiungiamo, non dovrebbe esistere una «via militare» alla pace. Ma forse, la quiete è l’ultima delle cose che interessano ad Ariel Sharon. I suoi convincenti discorsi, insomma, fanno sì che solo 13 Stati, per lo più musulmani, intervengano all’udienza dell’Aja, accanto all’Anp, alla Lega Araba e all’Organizzazione della Conferenza islamica.

E mentre all’Aja si lavora per trovare soluzioni, in Cisgiordania il cemento continua a mangiarsi case e terreni. Il 23 febbraio 2004, le ruspe dell’esercito israeliano iniziano a spianare un’area vicino a Beit Surik, nella Cisgiordania nord-occidentale, da dove partirà il nuovo troncone del «muro», lungo circa 96 chilometri. Per chi non l’avesse capito, «nessuna Corte al mondo potrà mai mettere in discussione il nostro diritto di difesa, del quale la barriera è parte fondamentale», ribadisce Dore Gold, consigliere diplomatico del premier israeliano.

La sentenza della Corte, seppur non vincolante, è perentoria: quel Muro crea danni «ai diritti dei palestinesi e le violazioni derivanti dal suo percorso non possono essere giustificate da alcuna esigenza militare o da richieste relative alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico» d’Israele. Perché il Muro «costituisce una violazione da parte di Israele di diversi obblighi relativi alla legge umanitaria internazionale ed agli strumenti dei diritti umani».

Israele cerca conforto tra gli amici e chiede agli Usa di esercitare il diritto di veto per bloccare in Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione Onu sul muro. I palestinesi esultano per la vittoria politica. «Nessuno può imporci questo muro dell'apartheid, il suo smantellamento è ineluttabile: il muro di Berlino è crollato, e il muro di Sharon lo seguirà», queste furono le parole di Yasser Arafat.

Nel luglio 2004, è un altro tribunale a bocciare il Muro. Questa volta, però, è la Corte Suprema israeliana. E Sharon è costretto a fermare i bulldozer. Peccato, solo per trenta chilometri, giusto quelli che i giudici hanno ritenuto inopportuni. Uno spostamento di 30 km di «muro» a nord di Gerusalemme, una bocciatura certamente parziale ma significativa: "Il percorso del muro – nel villaggio di Beit Surik (ndr) - danneggia gravemente gli abitanti e viola i loro diritti, sanciti dalla normativa internazionale. Lo Stato dovrà trovare una soluzione alternativa che dia meno garanzie di sicurezza ma pesi di meno sulla popolazione locale". Considerazioni che potrebbero calzare a pennello anche ai restanti 700 km di muro.

Il 20 luglio 2004, una nuova risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (150 voti favorevoli, 6 contrari - tra cui Usa e Israele -, 10 astenuti) chiede ai paesi Onu di "non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme". Per Israele è un voto «vergognoso». Per la direzione palestinese è «la decisione più importante per la nostra causa dal 1947». Ma nemmeno questo parere è vincolante, e non c’è da sperare che le orecchie di Sharon vogliano ascoltarlo. Anche se stavolta, nemmeno l’Unione Europea lo ha appoggiato. «Siamo delusi - dice Sharon - per il sostegno massiccio di tutti i Paesi dell’Ue, che non ha tenuto in alcun conto del terrorismo di cui Israele è vittima».

mace (last edited 2008-06-26 09:53:48 by anonymous)