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== PRIMA EDIZIONE == Even before the UN Security Council chooses an international commission to investigate the murder of former Lebanese prime minister Rafiq Hariri, Syria’s best friends in the Lebanese security service are beginning to fall off their perches. Given the verdict of the UN’s original fact-finding mission into the killing - it accused Lebanese investigators of "gross negligence, possibly accompanied by criminal actions" - most Lebanese drew one conclusion: about time.
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BOMBE INTELLIGENTI COLPISCONO MERCATO: PRIMA DI ANDARE A LAVORO PASSANO A FARE LA SPESA First came the chief judge in the official Lebanese murder enquiry, Michel Abu Arraj, who last week mysteriously announced that he was exhausted, adding that he felt it necessary to resign "because of the atmosphere of scepticism surrounding the investigation." Then came news that General Raymond Azar, the powerful head of Lebanese military intelligence, has decided to take a months "leave of absence" amid the political opposition’s continued demand for his resignation and that of five of his colleagues.
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Un nuovo bombardamento durante la mattinata ha provocato una strage di civili a Baghdad, dove uno o piu' missili hanno colpito alcune palazzine ed un mercato in un quartiere settentrionale della città facendo almeno 15 morti e decine di feriti. L'attacco e' avvenuto verso le 11:30 locali, le 09:30 in Italia. And now General Ali Haj, the head of the Lebanese Internal Security Forces, is expected to follow Azarõs example. Haj it was who ordered his men to move the bombed-out remains of Mr Hariri’s convoy from the scene of the crime just before midnight on February 14th, the day of the assassination. In the words of Peter FitzGerald, the deputy Irish Garda commissioner who headed the UN Mission, this decision prevented "any ballistic analysis, explosive analysis and evidence gathering at the scene." General Haj was once a member of Mr Hariri’s security detail - but was redeployed after the former prime minister concluded that he was passing information to the Syrian security authorities in Beirut.
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La televisione satellitare araba al Jazira e la britannica Bbc hanno mostrato le immagini del luogo colpito dall'attacco. Si vedono corpi in strada, mutilati e carbonizzati. Sui marciapiedi pozze di sangue e rottami di auto ancora fumanti. Even President Lahoud, Syria’s most faithful friend in Lebanon, now supports - or says he supports - a full international investigation of the Hariri murder. Thus is the pendulum slowly swinging in the direction of the political opposition.
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Il comando americano, riportato dalla CNN, ha detto che non aveva notizia di un attacco angloamericano nella zona. Ha detto però che se fossero stati effettivamente gli americani a bombardare, questo sarebbe stato un errore. Non ha escluso che possano essere stati gli iracheni ad inscenare i danni. Or so it seems.
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La televisione irachena, colpita ieri sera e costretta ad interrompere le proprie trasmissioni per alcune ore questa mattina è tornata in onda. Il bombardamento potrebbe essere la risposta di Washington alle drammatiche immagini, ritrasmesse in tutto il mondo, dei soldati americani fatti prigionieri e umiliati davanti alle telecamere. The resignation - for the second time in a month - of Prime Minister Omar Karami is a further sign of Lebanon’s political decay. Unable to find a single opponent of Syria prepared to serve in a coalition government, he refused to lead a cabinet of "one colour" and preferred to step down in ignominy. But without a prime minister, it is doubtful if national elections could be held in May - which would preserve the present Lebanese parliament which is loaded with Syrian supporters.
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Si dice che accanto a bombe teleguidate e a missili di precisione sia stato impiegato anche un avveniristico ordigno, la cosiddetta 'E-bomb', in grado di scardinare reti elettriche e nformatiche nemiche senza provocare conseguenze letali per la popolazioone, o quanto meno non direttamente.

La Federazione Internazionale dei Giornalisti (Ifj) ha condannato il bombardamento della televisione di stato irachena parte di una guerra psicologica di cui i giornalisti e il personale dei mass media sono le vittime. Per il segretario della Ifj Aidan White il bombardamento sarebbe dovuto alla collera e alla frustrazione dei dirigenti politici americani dopo la diffusione di queste immagini.

mercato
http://news.bbc.co.uk/2/hi/in_depth/photo_gallery/2888307.stm



'''Nessuna rivolta a Bassora'''
Prima le indiscrezioni filtrate dai servizi britannici e raccolte da SKY TV: a Bassora la popolazione si è rivoltata contro le milizie fedeli a Saddam hussein. Poi la smentita irachena, le corrispondenze scettiche dei giornalisti di al Jazeera. Ora però è l'opposizione sciita irachena, fonte al riparo da sospetti di simpatie per il regime, a dire che nella città irachena non è in corso nessuna rivolta ma solo una protesta per la mancanza di acqua e elettricità. "La rabbia, limitata a un solo quartiere, sarebbe esplosa dopo che le forze angloamericane hanno bombardato le posizione governative", ha spiegato Akram Hakim, dirigente dell'Assemblea suprema per la rivoluzione islamica in Iraq
Da Washington, intanto, il ministro della Difesa americano Donald Rumsfeld si è detto riluttante a incoraggiare gli iracheni a ribellarsi nonostante fonti militari britanniche hanno dichiarato di voler appoggiare una eventuale sollevazione sciita.

www.rainews24.it www.elpais.es www.italy.indymedia.org www.agenziaitalia.it

IRAQ: SCIITI, 27 MORTI IN RAID SU SERVIZI SICUREZZA AL AMARA
Ventisette persone sono morte ieri nel bombardamento del quartier generale dei servizi di sicurezza iracheni ad Al Amara, nel sudest dell'Iraq. A darne notizia, in un comunicato
diramato da Teheran, e' l'Assemblea suprema della rivoluzione islamica
in Iraq, il piu' importante gruppo sciita di opposizione al presidente iracheno Saddam Hussein.

IRAQ: MONS.SLEIMAN, 1 MILIONE ABITANTI HA GIA' LASCIATO BAGHDAD
"Secondo le mie stime sui circa 6 milioni di abitanti di Baghdad, oltre 1 milione ha gia' abbandonato la citta'". Lo afferma all'agenzia missionaria Misna monsignor Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo dei Latini a Baghdad.

RUSSIA RINVIA RATIFICA TRATTATO DISARMO NUCLEARE

Il ministro degli Esteri Russo Igor Ivanov, parlando di fronte al parlamento, ha messo alla berlina le pretese americane di presentare la guerra in Iraq come una mera liberazione della popolazione da Saddam Hussein.

Inoltre, dopo aver ammonito gli alleati a non rivendicare eventuali ritrovamenti di armi di distruzione di massa finche' non saranno stati accertati da esperti internazionali, Ivanov ha anche prospettato un rinvio della ratifica del cosiddetto Trattato di Mosca sul disarmo nucleare, sottoscritto nel maggio 2002 da Vladimir Putin e George W. Bush.

Il ministro ha anche manifestato ai parlamentari la propria preoccupazione per un supposto "tentativo" degli Stati Uniti di "trascinare la Russia in una guerra d'informazione" sull'Iraq.

== SECONDA EDIZIONE ==

ARGENTINA - Oggi si è tenuto a Buenos Aires un "escrache", una azione dura di contestazione contro il governo di Duhalde davanti alla residenza dello stesso presidente. Si è trattato in particolare di una iniziativa contro la repressione in continua crescita nei confronti delle mobilitazioni popolari. Ed è proprio l'MTD ad essere l'organizzatore dell'iniziativa che ha visto tre concentramenti di manifestanti dirigersi verso la casa del presidente argentino. Tra le parole d'ordine della protesta di oggi ci sarà anche la condanna della guerra all'Iraq.

MANIFESTAZIONI

12.000 studenti hanno sfilato per il centro di Sydney, in Australia, questa mattina per dire no alla guerra in Iraq. Dopo un avvio pacifico della manifestazione, connotata dallo slogan ‘Libri, non bombe’, la situazione è degenerata e al termine delle proteste 14 persone sono state arrestate.

Manifestazioni anche a Teheran ed in Spagna dove decine di migliaia di studenti hanno protestato contro l'appoggio del PP di Aznar alla guerra in Iraq.

Contro la guerra si sono tenute manifestazioni anche in Senegal, Mauritania, Sudan. Contrati alla guerra in Africa anche Djibuti, Kenya, Sud Africa e Madagascar.

Convocatoria contro la guerra para los dias 26 y 27 aen Madrid
http://acp.sindominio.net/article.pl?sid=03/03/26/0058213&mode=thread

Manifestazioni anti usa a Teheran
http://www.lemonde.fr/article/0,5987,3462--314339-,00.html



INDIA/PAKISTAN: ISLAMABAD E NUOVA DELHI LANCIANO TEST MISSILI

Nuova Delhi ha sperimentato un missile balistico, il Prithvi che puo' essere armato con una testata nucleare e raggiungere la meta' del territorio pachistano. E Islamabad ha fatto lo stesso, secondo quanto ha reso noto il ministero degli Esteri pachistano, precisando che il missile lanciato ''con successo'' e' un Abdali.

SCIITI E BASSORA

Il sito israeliano www.debka.com da una versione diversa delle presunte sommosse a Bassora riportate dai media della coalizione, ma smentite dai network arabi.

Secondo il sito, sarebbe in atto uno scontro tra gli uomini del figlio di Saddam Hussen, Uday, inviato dal padre con dei soldi per convincere la popolazione a solleversi contro gli americani con un'intifada e i 3,000 sciiti inviati dal comando americano guidati da Majiid al Khoei, figlio dell'ayatollah Khoei, storica guida spirituale degli sciiti irachieni ed oppositore di Saddam.

La posto in gioco è il controllo dei 12 milioni di sciiti presenti in iraq in un'area cruciale per gli approvvigionamenti delle truppe angloamericane che si muovono verso Bagdad.

Sempre il sito israeliano rivela che la data inizialmente prevista per l'attacco alla capitale è sabato prossimo.


www.argentina.indymedia.org

ROMA - Questo pomeriggio si è tenuto un corteo contro la guerra, nel quartiere di San Lorenzo. Il corteo, organizzato dal Comitato Promotori azioni di Pace- Terzo Municipio, si è concluso al Parco dei caduti sempre nel quartiere di San Lorenzo.


TORINO - Questa mattina ha avuto luogo una mobilitazione dei pacifisti torinesi contro la guerra in Iraq. Si è trattato di un presidio al deposito della Esso di Chivasso, dove un centinaio di persone, i Disobbedienti, i Giovani Comunisti, il Torino Social Forum ed il Centro Sociale Gabrio, hanno manifestato con striscioni con su scritto 'No blood for oil' e 'Disobbedire, sabotare, sovvertire, diritti contro la guerra'.

www.ondarosa.info www.italy.indymedia.org
Hizballah is still refusing to move from its position of support for Syria, which means that tens of thousands of Shia Muslims remain outside the Lebanese opposition. And the three night-time bombs which have exploded in commercial districts of east Beirut are surely not the only ones that have been prepared for the coming weeks. By targeting the eastern, largely Christian suburbs of the city - where opposition to Syria is strongest - there appears to be a plan to provoke the Maronite community against Lebanese Muslims. So far, it has proved fruitless. But if that is the case, so the Lebanese argue, surely the agents provocateurs will next time use car bombs in crowded streets. Mercifully the Sunni Muslims, Druze and Christians had created their anti-Syrian alliance before Hariri’s murder; had they tried to do so in its aftermath, they may well have failed.
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U.S.A.
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governo americano
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presidente GeorgewBush
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the Cabinet uyybzcfzesxbole Secretary of Agriculture Ann Veneman http://www.sisde.it/sito%5CRivista19.nsf/servnavig/5
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Secretary of Commerce Don Evans definizione hezbollah
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Secretary of Defense DonaldRumsfeld
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Secretary of Education Rod Paige
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Secretary of Energy Spencer Abraham È l’11 Giugno 2002 quando, ad ovest di Jenin, viene posata la prima pietra del muro dell’Apartheid. Un progetto di lunga data, teorizzato anni prima dal laburista israeliano Ehud Barak, prende forma proprio qui a Jenin, una delle zone di lotta palestinese più in fermento. Un muro che forse, in un primo momento, poteva essere visto solo come uno strumento di divisione e non di annessione. «Il muro all’origine, è stato proposto dalla sinistra israeliana, dai settori più moderati - racconta padre David Jaeger, esperto di questioni mediorientali - L’idea rispondeva alle esigenze di sicurezza in Israele per fermare gli attentatori e nello stesso tempo il muro doveva demarcare la frontiera tra Israele e Palestina e passare lungo la cosiddetta Linea Verde. L’idea laburista incorporava il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente e portava con sé il ritiro dalla maggioranza dei territori occupati».
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Secretary of Health & Human Services Tommy Thompson Ma nel 2002 le cose sono diverse, Ariel Sharon guida lo Stato d’Israele e anche i timidi progetti laburisti vengono travolti. «Il piano - spiega il ministro della Sicurezza interna Uzi Landau - non si propone di tagliare in due Gerusalemme, ma solo di impedire l’ingresso di terroristi palestinesi provenienti da Betlemme e da Ramallah. L’indivisibilità di Gerusalemme e la sovranità di Israele sull’intera città, capitale eterna del popolo ebraico, è fuori discussione». E pure i permessi di passaggio del muro sono chiari nella mente dei suoi ideatori. Ne saranno istituiti tre tipi. Uno, detto «intelligente», permetterà il libero passaggio degli israeliani ma non dei palestinesi, un altro permetterà il veloce ingresso delle truppe dello Stato ebraico, un terzo sarà utilizzato dagli agricoltori israeliani.
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Secretary of Homeland Security TomRidge Una struttura difensiva, secondo gli israeliani, non un confine geo-politico. Quindi, nessun pregiudizio a possibili negoziati. Ma, commenta il ministro dell’Informazione dell’Anp, Yasser Abed Rabbo, «l’obiettivo degli israeliani è di frantumare i Territori, trasformando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in altrettante enclaves circondate da “zone cuscinetto” e intensificare la colonizzazione». E i palestinesi non sono gli unici ad opporsi al Muro. Per differenti ragioni, anche i coloni israeliani non sono d’accorso con Sharon. «Quel Muro intende indicare il confine politico di Israele e quello dello Stato palestinese. Uno Stato del terrore che non dovrà mai nascere perchè rappresenterebbe una minaccia mortale per Israele». A parlare a nome degli oltre 220mila coloni che risiedono negli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è Benny Lieberman, presidente del Consiglio degli insediamenti di Giu dea e Samaria. Originariamente, secondo la prima mappa del Muro, presentata nel settembre del 2002, la barriera sarebbe dovuta essere lunga in tutto meno di 200 chilometri, ma le proteste dei coloni hanno convinto Sharon a estenderla, per includere in Israele anche gli insediamenti. Nel marzo del 2003, una nuova variazione del percorso include i villaggi di Ariel e Immanuel e prevede l'attraversamento della valle del Giordano.
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Secretary of State ColinPowell In un anno, gli israeliani completano la "prima fase" del muro, 145 km che attraversano i distretti nord della West bank, Jenin, Tulkarem e Qalqilya. Una barriera che rinchiude in terra israeliana 210mila palestinesi, un muro che mangia 120 ettari di terra che ora sono definiti "zona di sicurezza". La confisca della terra, la distruzione di edifici e le limitazioni agli spostamenti si stima provocheranno la perdita di circa 6500 posti di lavoro. Secondo ordinanze militari israeliane, tutte le terre ad ovest della "prima fase" sono da considerarsi "zone cuscinetto". Di fatto si tratta di una vera e propria annessione di territorio.
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Secretary of Transportation Norman Mineta Un esproprio che provoca perplessità anche negli Stati Uniti, i miglior alleati del governo Sharon. Ma il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom tranquillizza gli umori, spiegando che con gli Usa è successo un «malinteso che deriva da un’insufficiente conoscenza dei particolari del progetto». Il timore di rottura del feeling americano, nasce da un incontro a fine luglio 2003 tra Abu Mazen, numero due dell’Olp e il presidente Bush. In questa occasione, il presidente americano aveva affermato che la costruzione della «recinzione» costituiva un «problema». Ma, alla fine Ariel e George W. «si sono trovati d’accordo su quasi tutto, e su quel poco su cui erano in contrasto hanno convenuto di non convenire». Potere della diplomazia. La costruzione del Muro va avanti e, assicura Sharon, «ogni sforzo sarà fatto per ridurre al minimo le difficoltà che creerà alla popolazione palestinese». Non si sa quale sia la nozione di “minimo” nella testa del premier israeliano.
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Secretary of Treasury John Snow Risale al 21 ottobre 2003 la prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a Israele di "fermare e smantellare il muro dell'apartheid". L’Onu dichiara testualmente che «quella barriera di sicurezza è contraria alle leggi internazionali» e che Israele deve «porre un termine alla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, e rimuovere quella parte della barriera già edificata». Il parere dell’Assemblea- 144 i voti a favore (tra cui quelli dell'Unione Europea), 4 i contrari (Usa, Israele, Micronesia, Isole Marshall), 12 le astensioni – non è giuridicamente vincolante, ma ha una valenza simbolica di grande portata. Ma nemmeno così, nessuno dei bulldozer che devastano i villaggi palestinesi ha smesso di lavorare.
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Secretary of Veterans Affairs Anthony Principi L’Assemblea dell’Onu chiede anche che la Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja, apra un fascicolo riguardo al «Muro della discordia». Ma le autorità internazionali paiono non preoccupare assolutamente Sharon. Nel febbraio 2004, Israele fa sapere che «non si farà processare dal Tribunale dell’Aja». Non parteciperà alle udienza convocata per il 23 febbraio, non riconoscerà la competenza del foro internazionale a pronunciarsi sulla legalità della barriera perchè si tratta «di una questione che investe il diritto fondamentale all’autodifesa di Israele». Ma nonostante tanta ostentata indifferenza, Sharon teme il responso dei giudici internazionali, e dà avvio a una forte attività diplomatica. E le sue parole convincono Usa, Russia e Unione Europea. I tre giganti, pur criticando il tracciato della barriera, si dichiarano contrari a un intervento della Corte dell’Aja nella vicenda, perchè non esiste una «via giudiziaria» alla pace. Così come, aggiungiamo, non dovrebbe esistere una «via militare» alla pace. Ma forse, la quiete è l’ultima delle cose che interessano ad Ariel Sharon. I suoi convincenti discorsi, insomma, fanno sì che solo 13 Stati, per lo più musulmani, intervengano all’udienza dell’Aja, accanto all’Anp, alla Lega Araba e all’Organizzazione della Conferenza islamica.
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Secretary of Housing & Urban Development Mel Martinez E mentre all’Aja si lavora per trovare soluzioni, in Cisgiordania il cemento continua a mangiarsi case e terreni. Il 23 febbraio 2004, le ruspe dell’esercito israeliano iniziano a spianare un’area vicino a Beit Surik, nella Cisgiordania nord-occidentale, da dove partirà il nuovo troncone del «muro», lungo circa 96 chilometri. Per chi non l’avesse capito, «nessuna Corte al mondo potrà mai mettere in discussione il nostro diritto di difesa, del quale la barriera è parte fondamentale», ribadisce Dore Gold, consigliere diplomatico del premier israeliano.
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Secretary of Interior GaleNorton La sentenza della Corte, seppur non vincolante, è perentoria: quel Muro crea danni «ai diritti dei palestinesi e le violazioni derivanti dal suo percorso non possono essere giustificate da alcuna esigenza militare o da richieste relative alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico» d’Israele. Perché il Muro «costituisce una violazione da parte di Israele di diversi obblighi relativi alla legge umanitaria internazionale ed agli strumenti dei diritti umani».
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Attorney General John Ashcroft Israele cerca conforto tra gli amici e chiede agli Usa di esercitare il diritto di veto per bloccare in Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione Onu sul muro. I palestinesi esultano per la vittoria politica. «Nessuno può imporci questo muro dell'apartheid, il suo smantellamento è ineluttabile: il muro di Berlino è crollato, e il muro di Sharon lo seguirà», queste furono le parole di Yasser Arafat.
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Secretary of Labor Elaine Chao Nel luglio 2004, è un altro tribunale a bocciare il Muro. Questa volta, però, è la Corte Suprema israeliana. E Sharon è costretto a fermare i bulldozer. Peccato, solo per trenta chilometri, giusto quelli che i giudici hanno ritenuto inopportuni. Uno spostamento di 30 km di «muro» a nord di Gerusalemme, una bocciatura certamente parziale ma significativa: "Il percorso del muro – nel villaggio di Beit Surik (ndr) - danneggia gravemente gli abitanti e viola i loro diritti, sanciti dalla normativa internazionale. Lo Stato dovrà trovare una soluzione alternativa che dia meno garanzie di sicurezza ma pesi di meno sulla popolazione locale". Considerazioni che potrebbero calzare a pennello anche ai restanti 700 km di muro.
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consiglieri del presidente

Consigliere Di Sicurezza Nazionale CondoleezzaRice

ISRAELE

governo israeliano

ArielSharon - Prime Minister

(inoltre tiene le comunicazioni, l'alloggiamento e la costruzione, gli affari labor e sociali e le cartelle religiose di affari)

      YosefLapid - Ministro della Giustizia, and Deputy Prime Minister

      EhudOlmert - Ministro dell'industria e del commercio, and Deputy Prime Minister

      SilvanShalom -Ministro degli affari esteri, and Deputy Prime Minister

      BenyaminElon - Ministro del turismo

      TzachiHanegbi - Ministro della pubblica sicurezza

      YisraelKatz - Ministro dell'agricoltura e dello sviluppo rurale

      AvigdorLieberman - Ministro dei trasporti

      LimorLivnat - Ministro della educazione, cultura e sport

      TzipiLivni - Ministero per l'assorbimento degli immigrati

      ShaulMofaz - Ministro delle difesa

      YehuditNaot - Ministro dell'ambiente

      DanNaveh - Ministro della salute

      BenjaminNetanyahu - Ministro della finanza

      JosephParitzky - Ministro delle infrastrutture nazionali

      Avraham Poraz - Ministro dell'interno

      Eliezer Sandberg - Ministero delle scienze e tecconologie

      Gideon Ezra - Minister without Portfolio

      Uzi Landau - Minister without Portfolio

      Natan Sharansky - Minister without Portfolio

Meir Sheetrit - Minister without Portfolio
Il 20 luglio 2004, una nuova risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (150 voti favorevoli, 6 contrari - tra cui Usa e Israele -, 10 astenuti) chiede ai paesi Onu di "non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme". Per Israele è un voto «vergognoso». Per la direzione palestinese è «la decisione più importante per la nostra causa dal 1947». Ma nemmeno questo parere è vincolante, e non c’è da sperare che le orecchie di Sharon vogliano ascoltarlo. Anche se stavolta, nemmeno l’Unione Europea lo ha appoggiato. «Siamo delusi - dice Sharon - per il sostegno massiccio di tutti i Paesi dell’Ue, che non ha tenuto in alcun conto del terrorismo di cui Israele è vittima».

Even before the UN Security Council chooses an international commission to investigate the murder of former Lebanese prime minister Rafiq Hariri, Syria’s best friends in the Lebanese security service are beginning to fall off their perches. Given the verdict of the UN’s original fact-finding mission into the killing - it accused Lebanese investigators of "gross negligence, possibly accompanied by criminal actions" - most Lebanese drew one conclusion: about time.

First came the chief judge in the official Lebanese murder enquiry, Michel Abu Arraj, who last week mysteriously announced that he was exhausted, adding that he felt it necessary to resign "because of the atmosphere of scepticism surrounding the investigation." Then came news that General Raymond Azar, the powerful head of Lebanese military intelligence, has decided to take a months "leave of absence" amid the political opposition’s continued demand for his resignation and that of five of his colleagues.

And now General Ali Haj, the head of the Lebanese Internal Security Forces, is expected to follow Azarõs example. Haj it was who ordered his men to move the bombed-out remains of Mr Hariri’s convoy from the scene of the crime just before midnight on February 14th, the day of the assassination. In the words of Peter FitzGerald, the deputy Irish Garda commissioner who headed the UN Mission, this decision prevented "any ballistic analysis, explosive analysis and evidence gathering at the scene." General Haj was once a member of Mr Hariri’s security detail - but was redeployed after the former prime minister concluded that he was passing information to the Syrian security authorities in Beirut.

Even President Lahoud, Syria’s most faithful friend in Lebanon, now supports - or says he supports - a full international investigation of the Hariri murder. Thus is the pendulum slowly swinging in the direction of the political opposition.

Or so it seems.

The resignation - for the second time in a month - of Prime Minister Omar Karami is a further sign of Lebanon’s political decay. Unable to find a single opponent of Syria prepared to serve in a coalition government, he refused to lead a cabinet of "one colour" and preferred to step down in ignominy. But without a prime minister, it is doubtful if national elections could be held in May - which would preserve the present Lebanese parliament which is loaded with Syrian supporters.

Hizballah is still refusing to move from its position of support for Syria, which means that tens of thousands of Shia Muslims remain outside the Lebanese opposition. And the three night-time bombs which have exploded in commercial districts of east Beirut are surely not the only ones that have been prepared for the coming weeks. By targeting the eastern, largely Christian suburbs of the city - where opposition to Syria is strongest - there appears to be a plan to provoke the Maronite community against Lebanese Muslims. So far, it has proved fruitless. But if that is the case, so the Lebanese argue, surely the agents provocateurs will next time use car bombs in crowded streets. Mercifully the Sunni Muslims, Druze and Christians had created their anti-Syrian alliance before Hariri’s murder; had they tried to do so in its aftermath, they may well have failed.

http://www.sisde.it/sito%5CRivista19.nsf/servnavig/5

definizione hezbollah

È l’11 Giugno 2002 quando, ad ovest di Jenin, viene posata la prima pietra del muro dell’Apartheid. Un progetto di lunga data, teorizzato anni prima dal laburista israeliano Ehud Barak, prende forma proprio qui a Jenin, una delle zone di lotta palestinese più in fermento. Un muro che forse, in un primo momento, poteva essere visto solo come uno strumento di divisione e non di annessione. «Il muro all’origine, è stato proposto dalla sinistra israeliana, dai settori più moderati - racconta padre David Jaeger, esperto di questioni mediorientali - L’idea rispondeva alle esigenze di sicurezza in Israele per fermare gli attentatori e nello stesso tempo il muro doveva demarcare la frontiera tra Israele e Palestina e passare lungo la cosiddetta Linea Verde. L’idea laburista incorporava il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente e portava con sé il ritiro dalla maggioranza dei territori occupati».

Ma nel 2002 le cose sono diverse, Ariel Sharon guida lo Stato d’Israele e anche i timidi progetti laburisti vengono travolti. «Il piano - spiega il ministro della Sicurezza interna Uzi Landau - non si propone di tagliare in due Gerusalemme, ma solo di impedire l’ingresso di terroristi palestinesi provenienti da Betlemme e da Ramallah. L’indivisibilità di Gerusalemme e la sovranità di Israele sull’intera città, capitale eterna del popolo ebraico, è fuori discussione». E pure i permessi di passaggio del muro sono chiari nella mente dei suoi ideatori. Ne saranno istituiti tre tipi. Uno, detto «intelligente», permetterà il libero passaggio degli israeliani ma non dei palestinesi, un altro permetterà il veloce ingresso delle truppe dello Stato ebraico, un terzo sarà utilizzato dagli agricoltori israeliani.

Una struttura difensiva, secondo gli israeliani, non un confine geo-politico. Quindi, nessun pregiudizio a possibili negoziati. Ma, commenta il ministro dell’Informazione dell’Anp, Yasser Abed Rabbo, «l’obiettivo degli israeliani è di frantumare i Territori, trasformando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in altrettante enclaves circondate da “zone cuscinetto” e intensificare la colonizzazione». E i palestinesi non sono gli unici ad opporsi al Muro. Per differenti ragioni, anche i coloni israeliani non sono d’accorso con Sharon. «Quel Muro intende indicare il confine politico di Israele e quello dello Stato palestinese. Uno Stato del terrore che non dovrà mai nascere perchè rappresenterebbe una minaccia mortale per Israele». A parlare a nome degli oltre 220mila coloni che risiedono negli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è Benny Lieberman, presidente del Consiglio degli insediamenti di Giu dea e Samaria. Originariamente, secondo la prima mappa del Muro, presentata nel settembre del 2002, la barriera sarebbe dovuta essere lunga in tutto meno di 200 chilometri, ma le proteste dei coloni hanno convinto Sharon a estenderla, per includere in Israele anche gli insediamenti. Nel marzo del 2003, una nuova variazione del percorso include i villaggi di Ariel e Immanuel e prevede l'attraversamento della valle del Giordano.

In un anno, gli israeliani completano la "prima fase" del muro, 145 km che attraversano i distretti nord della West bank, Jenin, Tulkarem e Qalqilya. Una barriera che rinchiude in terra israeliana 210mila palestinesi, un muro che mangia 120 ettari di terra che ora sono definiti "zona di sicurezza". La confisca della terra, la distruzione di edifici e le limitazioni agli spostamenti si stima provocheranno la perdita di circa 6500 posti di lavoro. Secondo ordinanze militari israeliane, tutte le terre ad ovest della "prima fase" sono da considerarsi "zone cuscinetto". Di fatto si tratta di una vera e propria annessione di territorio.

Un esproprio che provoca perplessità anche negli Stati Uniti, i miglior alleati del governo Sharon. Ma il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom tranquillizza gli umori, spiegando che con gli Usa è successo un «malinteso che deriva da un’insufficiente conoscenza dei particolari del progetto». Il timore di rottura del feeling americano, nasce da un incontro a fine luglio 2003 tra Abu Mazen, numero due dell’Olp e il presidente Bush. In questa occasione, il presidente americano aveva affermato che la costruzione della «recinzione» costituiva un «problema». Ma, alla fine Ariel e George W. «si sono trovati d’accordo su quasi tutto, e su quel poco su cui erano in contrasto hanno convenuto di non convenire». Potere della diplomazia. La costruzione del Muro va avanti e, assicura Sharon, «ogni sforzo sarà fatto per ridurre al minimo le difficoltà che creerà alla popolazione palestinese». Non si sa quale sia la nozione di “minimo” nella testa del premier israeliano.

Risale al 21 ottobre 2003 la prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a Israele di "fermare e smantellare il muro dell'apartheid". L’Onu dichiara testualmente che «quella barriera di sicurezza è contraria alle leggi internazionali» e che Israele deve «porre un termine alla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, e rimuovere quella parte della barriera già edificata». Il parere dell’Assemblea- 144 i voti a favore (tra cui quelli dell'Unione Europea), 4 i contrari (Usa, Israele, Micronesia, Isole Marshall), 12 le astensioni – non è giuridicamente vincolante, ma ha una valenza simbolica di grande portata. Ma nemmeno così, nessuno dei bulldozer che devastano i villaggi palestinesi ha smesso di lavorare.

L’Assemblea dell’Onu chiede anche che la Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja, apra un fascicolo riguardo al «Muro della discordia». Ma le autorità internazionali paiono non preoccupare assolutamente Sharon. Nel febbraio 2004, Israele fa sapere che «non si farà processare dal Tribunale dell’Aja». Non parteciperà alle udienza convocata per il 23 febbraio, non riconoscerà la competenza del foro internazionale a pronunciarsi sulla legalità della barriera perchè si tratta «di una questione che investe il diritto fondamentale all’autodifesa di Israele». Ma nonostante tanta ostentata indifferenza, Sharon teme il responso dei giudici internazionali, e dà avvio a una forte attività diplomatica. E le sue parole convincono Usa, Russia e Unione Europea. I tre giganti, pur criticando il tracciato della barriera, si dichiarano contrari a un intervento della Corte dell’Aja nella vicenda, perchè non esiste una «via giudiziaria» alla pace. Così come, aggiungiamo, non dovrebbe esistere una «via militare» alla pace. Ma forse, la quiete è l’ultima delle cose che interessano ad Ariel Sharon. I suoi convincenti discorsi, insomma, fanno sì che solo 13 Stati, per lo più musulmani, intervengano all’udienza dell’Aja, accanto all’Anp, alla Lega Araba e all’Organizzazione della Conferenza islamica.

E mentre all’Aja si lavora per trovare soluzioni, in Cisgiordania il cemento continua a mangiarsi case e terreni. Il 23 febbraio 2004, le ruspe dell’esercito israeliano iniziano a spianare un’area vicino a Beit Surik, nella Cisgiordania nord-occidentale, da dove partirà il nuovo troncone del «muro», lungo circa 96 chilometri. Per chi non l’avesse capito, «nessuna Corte al mondo potrà mai mettere in discussione il nostro diritto di difesa, del quale la barriera è parte fondamentale», ribadisce Dore Gold, consigliere diplomatico del premier israeliano.

La sentenza della Corte, seppur non vincolante, è perentoria: quel Muro crea danni «ai diritti dei palestinesi e le violazioni derivanti dal suo percorso non possono essere giustificate da alcuna esigenza militare o da richieste relative alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico» d’Israele. Perché il Muro «costituisce una violazione da parte di Israele di diversi obblighi relativi alla legge umanitaria internazionale ed agli strumenti dei diritti umani».

Israele cerca conforto tra gli amici e chiede agli Usa di esercitare il diritto di veto per bloccare in Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione Onu sul muro. I palestinesi esultano per la vittoria politica. «Nessuno può imporci questo muro dell'apartheid, il suo smantellamento è ineluttabile: il muro di Berlino è crollato, e il muro di Sharon lo seguirà», queste furono le parole di Yasser Arafat.

Nel luglio 2004, è un altro tribunale a bocciare il Muro. Questa volta, però, è la Corte Suprema israeliana. E Sharon è costretto a fermare i bulldozer. Peccato, solo per trenta chilometri, giusto quelli che i giudici hanno ritenuto inopportuni. Uno spostamento di 30 km di «muro» a nord di Gerusalemme, una bocciatura certamente parziale ma significativa: "Il percorso del muro – nel villaggio di Beit Surik (ndr) - danneggia gravemente gli abitanti e viola i loro diritti, sanciti dalla normativa internazionale. Lo Stato dovrà trovare una soluzione alternativa che dia meno garanzie di sicurezza ma pesi di meno sulla popolazione locale". Considerazioni che potrebbero calzare a pennello anche ai restanti 700 km di muro.

Il 20 luglio 2004, una nuova risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (150 voti favorevoli, 6 contrari - tra cui Usa e Israele -, 10 astenuti) chiede ai paesi Onu di "non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme". Per Israele è un voto «vergognoso». Per la direzione palestinese è «la decisione più importante per la nostra causa dal 1947». Ma nemmeno questo parere è vincolante, e non c’è da sperare che le orecchie di Sharon vogliano ascoltarlo. Anche se stavolta, nemmeno l’Unione Europea lo ha appoggiato. «Siamo delusi - dice Sharon - per il sostegno massiccio di tutti i Paesi dell’Ue, che non ha tenuto in alcun conto del terrorismo di cui Israele è vittima».

mace (last edited 2008-06-26 09:53:48 by anonymous)