Differences between revisions 195 and 254 (spanning 59 versions)
Revision 195 as of 2003-03-27 17:30:45
Size: 8414
Editor: anonymous
Comment:
Revision 254 as of 2005-04-13 18:06:37
Size: 13363
Editor: anonymous
Comment:
Deletions are marked like this. Additions are marked like this.
Line 1: Line 1:
== PRIMA EDIZIONE == Even before the UN Security Council chooses an international commission to investigate the murder of former Lebanese prime minister Rafiq Hariri, Syria’s best friends in the Lebanese security service are beginning to fall off their perches. Given the verdict of the UN’s original fact-finding mission into the killing - it accused Lebanese investigators of "gross negligence, possibly accompanied by criminal actions" - most Lebanese drew one conclusion: about time.
Line 3: Line 3:
''' al jazeera oscurata ''' First came the chief judge in the official Lebanese murder enquiry, Michel Abu Arraj, who last week mysteriously announced that he was exhausted, adding that he felt it necessary to resign "because of the atmosphere of scepticism surrounding the investigation." Then came news that General Raymond Azar, the powerful head of Lebanese military intelligence, has decided to take a months "leave of absence" amid the political opposition’s continued demand for his resignation and that of five of his colleagues.
Line 5: Line 5:
Alle 5 del pomeriggio di martedi' scorso il New York Times titolava: "Al Jazeera oscurata dagli hackers". And now General Ali Haj, the head of the Lebanese Internal Security Forces, is expected to follow Azarõs example. Haj it was who ordered his men to move the bombed-out remains of Mr Hariri’s convoy from the scene of the crime just before midnight on February 14th, the day of the assassination. In the words of Peter FitzGerald, the deputy Irish Garda commissioner who headed the UN Mission, this decision prevented "any ballistic analysis, explosive analysis and evidence gathering at the scene." General Haj was once a member of Mr Hariri’s security detail - but was redeployed after the former prime minister concluded that he was passing information to the Syrian security authorities in Beirut.
Line 7: Line 7:
Casualmente il presunto attacco è avvenuto lo stesso giorno della polemica sulla messa in onda da parte del network di lingua araba delle immagini dei soldati angloamericani morti in Iraq.
E ancora: il sito, ospitato su tre server nel mondo: uno in Qatar, un in Francia e uno negli Usa, era irraggiungibile solo da chi si connetteva dagli Stati Uniti. L'improbabile attacco degli hacker (che firmandosi Patriot, Freedom Cyber Force Militia indirizzavano gli utenti in un sito nazionalista Usa - http://members.networld.com/freedom2003/) assomiglia tanto alla censura.
A confermarlo la notizia che oggi e' rimbalzata su tutti i giornali del mondo: al jazeera e' oscurata non solo nella sua versione in lingua inglese, ma anche in quella in lingua araba.
Even President Lahoud, Syria’s most faithful friend in Lebanon, now supports - or says he supports - a full international investigation of the Hariri murder. Thus is the pendulum slowly swinging in the direction of the political opposition.
Line 11: Line 9:
Or so it seems.
Line 12: Line 11:
''' mobilitazioni in italia ''' The resignation - for the second time in a month - of Prime Minister Omar Karami is a further sign of Lebanon’s political decay. Unable to find a single opponent of Syria prepared to serve in a coalition government, he refused to lead a cabinet of "one colour" and preferred to step down in ignominy. But without a prime minister, it is doubtful if national elections could be held in May - which would preserve the present Lebanese parliament which is loaded with Syrian supporters.
Line 14: Line 13:
sgomberato a milano il mediacenter occupato ieri pomeriggio nelle vicinanze dell'università di milano. ora i mediattivisti milanesi, indymedia e reti universitarie lavorano alla ricostruzione di questo progetto facendolo diventare un centro di comunicazione interno o vicino all'università.



'''La Cap Horn lascia Livorno'''

Nessuna riparazione per la nave-traghetto "Cape Horn", noleggiata dall'esercito Usa che ha ripreso il largo lasciando la rada del porto di Livorno.
La decisione e' stata assunta dal comando della nave, probabilmente su ordini provenienti da livelli piu' alti. La "Cape Horn" aveva chiesto al Cantiere Navale Fratelli Orlando, gestito da una coop operaia e attualmente in amministrazione controllata, di poter usufruire dei servizi di riparazione
Ad un primo rifiuto dei lavoratori, che non volevano aiutare gli Stati Uniti in una fase di guerra, ieri sera e' seguita la decisione dei sindacati di riprendere i lavori adducendo "superiori esigenze di sicurezza della nave" ma molto più probabilmente dovuta a ragioni di carattere economico, la stessa regione Liguria aveva espresso la sua preoccupazione che gli scioperi del settore potessero danneggiare il mercato, in questo caso quello delle armi. In nottata la svolta definitiva: la nave, che evidentemente poteva navigare nonostante l'avaria, ha levato l'ancora lasciando Livorno e non si sa dove sia diretta.




'''Ritter contro ministro britannico'''

Scott Ritter, ex ispettore Onu ed ex marine ha rilasciato alle agenzie internazionali una dichiarazione nella quale afferma di essere molto preoccupato che alla fine BUSH ordini di usare ordigni nucleari. Il presidente statunitense infatti potrebbe decidere di impiegare armi dagli effetti devastanti nella guerra in corso ''. Inoltre Ritter ha aggiunto che non ci sono armi di distruzione di massa in Iraq e definisce ''un gigantesco bluff'' i piani militari Usa. Sono dichiarazioni in aperto contrasto con quello che oggi va affermando il ministro della difesa britannico Geoff Hoon, il quale naturalmente da per certe scoperte importanti circa l'intenzione irachena di usare armi chimico-batteriologiche

'''IRAQ: PERSI CONTATTI CON CINQUE GIORNALISTI'''

Persi i contatti con cinque giornalisti che lavorano in Iraq. Due giornalisti del quotidiano statunitense 'Newsday' a Baghdad e una troupe di tre persone della televisione di Dubai, 'Al Arabiya', sono dati per dispersi. L'inviato Matt McAllester, 33 anni, ex corrispondente dal Medio Oriente per il Newsday, e il fotoreporter Moises Saman, 29 annii non si mettono in contatto con la loro redazione da lunedì. Poco prima le autorita' irachene avevano notificato agli interessati che sarebbero stati accompagnati al confine con la Giordania perche' i loro visti erano scaduti.

Per quanto riguarda i tre dell'emittente 'Al Arabya', la redazione ha fatto sapere di avere perso dal 22 marzo i contatti con il giornalista siriano Wael Awwad, con il cameraman libanese Talal Masri e con il tecnico libanese Ali Safa.

'''IRAQ: TV AL JAZIRA ESORTA USA A GARANTIRE LIBERTA' DI STAMPA'''

Messa al bando da Wall Street e attaccata dagli 'hacker' su Internet, l'emittente araba Al Jazira, ha difeso la sua copertura della guerra irachena e chiesto aiuto agli Stati Uniti nel nome della liberta' di stampa.

L'emittente satellitare del Qatar ha manifestato forte preoccupazione per l'espulsione di due suoi corrispondenti dalla sala delle grida della borsa di New York e per l'attacco dei pirati informatici al suo sito 'web'. I responsabili di Wall Street hanno bloccato le trasmissioni dell'emittente, dicendo che le credenziali erano concesse soltanto alle reti in grado di fornire informazioni "resposanbili".

'''PALESTINA'''

Un elicottero apache israeliano ha attaccato una sede della polizia dell'Autorita' nazionale palestinese uccidendo tre poliziotti. E' accaduto nel nord della striscia di Gaza. Le squadre di soccorso palestinesi hanno dichiarato che i soldati di Israele hanno impedito loro di raggiungere il luogo dell'aggressione, sparando per diverse volte verso le autombulanze che intendevano soccorrere i feriti.
secondo l'ANP a Beit Hanoon 10 carrarmati sono entrati nell'area occupata dai palestinesi, gli abitanti della zona hanno subito organizzato una resistenza con lancio di pietre e bottiglie molotov.


'''FUJIMORI ‘WANTED'''

La persona può essere pericolosa.. Questo l’avvertimento che spicca sulla ‘Red Notice’ (avviso rosso) relativa ad Alberto Fujimori, pubblicata ieri dall’Interpol sul suo sito internet. Ii reati attribuiti al 64enne ex presidente peruviano, oggi residente a Tokyo sono assalto, contraffazione, rapimento, sparizione forzata, omicidio, crimine organizzato.

L’Interpol, alla quale aderiscono 181 Paesi, ha accolto la richiesta delle autorità del Perù diffondendo un mandato emesso nel 2001 dalla magistratura locale per assassinio e sequestro. Spetta adesso ai Paesi membri decidere, in base alla legislazione nazionale ed ai trattati bilaterali con il Perù, se considerare la ‘Red Notice’ come un ordine di arresto provvisorio o come una semplice informazione, priva di valore giuridico.

http://www.interpol.int/
Hizballah is still refusing to move from its position of support for Syria, which means that tens of thousands of Shia Muslims remain outside the Lebanese opposition. And the three night-time bombs which have exploded in commercial districts of east Beirut are surely not the only ones that have been prepared for the coming weeks. By targeting the eastern, largely Christian suburbs of the city - where opposition to Syria is strongest - there appears to be a plan to provoke the Maronite community against Lebanese Muslims. So far, it has proved fruitless. But if that is the case, so the Lebanese argue, surely the agents provocateurs will next time use car bombs in crowded streets. Mercifully the Sunni Muslims, Druze and Christians had created their anti-Syrian alliance before Hariri’s murder; had they tried to do so in its aftermath, they may well have failed.
Line 64: Line 22:
http://www.sisde.it/sito%5CRivista19.nsf/servnavig/5

definizione hezbollah
Line 67: Line 28:
È l’11 Giugno 2002 quando, ad ovest di Jenin, viene posata la prima pietra del muro dell’Apartheid. Un progetto di lunga data, teorizzato anni prima dal laburista israeliano Ehud Barak, prende forma proprio qui a Jenin, una delle zone di lotta palestinese più in fermento. Un muro che forse, in un primo momento, poteva essere visto solo come uno strumento di divisione e non di annessione. «Il muro all’origine, è stato proposto dalla sinistra israeliana, dai settori più moderati - racconta padre David Jaeger, esperto di questioni mediorientali - L’idea rispondeva alle esigenze di sicurezza in Israele per fermare gli attentatori e nello stesso tempo il muro doveva demarcare la frontiera tra Israele e Palestina e passare lungo la cosiddetta Linea Verde. L’idea laburista incorporava il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente e portava con sé il ritiro dalla maggioranza dei territori occupati».
Line 68: Line 30:
Ma nel 2002 le cose sono diverse, Ariel Sharon guida lo Stato d’Israele e anche i timidi progetti laburisti vengono travolti. «Il piano - spiega il ministro della Sicurezza interna Uzi Landau - non si propone di tagliare in due Gerusalemme, ma solo di impedire l’ingresso di terroristi palestinesi provenienti da Betlemme e da Ramallah. L’indivisibilità di Gerusalemme e la sovranità di Israele sull’intera città, capitale eterna del popolo ebraico, è fuori discussione». E pure i permessi di passaggio del muro sono chiari nella mente dei suoi ideatori. Ne saranno istituiti tre tipi. Uno, detto «intelligente», permetterà il libero passaggio degli israeliani ma non dei palestinesi, un altro permetterà il veloce ingresso delle truppe dello Stato ebraico, un terzo sarà utilizzato dagli agricoltori israeliani.
Line 69: Line 32:
Una struttura difensiva, secondo gli israeliani, non un confine geo-politico. Quindi, nessun pregiudizio a possibili negoziati. Ma, commenta il ministro dell’Informazione dell’Anp, Yasser Abed Rabbo, «l’obiettivo degli israeliani è di frantumare i Territori, trasformando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in altrettante enclaves circondate da “zone cuscinetto” e intensificare la colonizzazione». E i palestinesi non sono gli unici ad opporsi al Muro. Per differenti ragioni, anche i coloni israeliani non sono d’accorso con Sharon. «Quel Muro intende indicare il confine politico di Israele e quello dello Stato palestinese. Uno Stato del terrore che non dovrà mai nascere perchè rappresenterebbe una minaccia mortale per Israele». A parlare a nome degli oltre 220mila coloni che risiedono negli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è Benny Lieberman, presidente del Consiglio degli insediamenti di Giu dea e Samaria. Originariamente, secondo la prima mappa del Muro, presentata nel settembre del 2002, la barriera sarebbe dovuta essere lunga in tutto meno di 200 chilometri, ma le proteste dei coloni hanno convinto Sharon a estenderla, per includere in Israele anche gli insediamenti. Nel marzo del 2003, una nuova variazione del percorso include i villaggi di Ariel e Immanuel e prevede l'attraversamento della valle del Giordano.
Line 70: Line 34:
In un anno, gli israeliani completano la "prima fase" del muro, 145 km che attraversano i distretti nord della West bank, Jenin, Tulkarem e Qalqilya. Una barriera che rinchiude in terra israeliana 210mila palestinesi, un muro che mangia 120 ettari di terra che ora sono definiti "zona di sicurezza". La confisca della terra, la distruzione di edifici e le limitazioni agli spostamenti si stima provocheranno la perdita di circa 6500 posti di lavoro. Secondo ordinanze militari israeliane, tutte le terre ad ovest della "prima fase" sono da considerarsi "zone cuscinetto". Di fatto si tratta di una vera e propria annessione di territorio.
Line 71: Line 36:
Un esproprio che provoca perplessità anche negli Stati Uniti, i miglior alleati del governo Sharon. Ma il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom tranquillizza gli umori, spiegando che con gli Usa è successo un «malinteso che deriva da un’insufficiente conoscenza dei particolari del progetto». Il timore di rottura del feeling americano, nasce da un incontro a fine luglio 2003 tra Abu Mazen, numero due dell’Olp e il presidente Bush. In questa occasione, il presidente americano aveva affermato che la costruzione della «recinzione» costituiva un «problema». Ma, alla fine Ariel e George W. «si sono trovati d’accordo su quasi tutto, e su quel poco su cui erano in contrasto hanno convenuto di non convenire». Potere della diplomazia. La costruzione del Muro va avanti e, assicura Sharon, «ogni sforzo sarà fatto per ridurre al minimo le difficoltà che creerà alla popolazione palestinese». Non si sa quale sia la nozione di “minimo” nella testa del premier israeliano.
Line 72: Line 38:
Risale al 21 ottobre 2003 la prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a Israele di "fermare e smantellare il muro dell'apartheid". L’Onu dichiara testualmente che «quella barriera di sicurezza è contraria alle leggi internazionali» e che Israele deve «porre un termine alla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, e rimuovere quella parte della barriera già edificata». Il parere dell’Assemblea- 144 i voti a favore (tra cui quelli dell'Unione Europea), 4 i contrari (Usa, Israele, Micronesia, Isole Marshall), 12 le astensioni – non è giuridicamente vincolante, ma ha una valenza simbolica di grande portata. Ma nemmeno così, nessuno dei bulldozer che devastano i villaggi palestinesi ha smesso di lavorare.
Line 73: Line 40:
L’Assemblea dell’Onu chiede anche che la Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja, apra un fascicolo riguardo al «Muro della discordia». Ma le autorità internazionali paiono non preoccupare assolutamente Sharon. Nel febbraio 2004, Israele fa sapere che «non si farà processare dal Tribunale dell’Aja». Non parteciperà alle udienza convocata per il 23 febbraio, non riconoscerà la competenza del foro internazionale a pronunciarsi sulla legalità della barriera perchè si tratta «di una questione che investe il diritto fondamentale all’autodifesa di Israele». Ma nonostante tanta ostentata indifferenza, Sharon teme il responso dei giudici internazionali, e dà avvio a una forte attività diplomatica. E le sue parole convincono Usa, Russia e Unione Europea. I tre giganti, pur criticando il tracciato della barriera, si dichiarano contrari a un intervento della Corte dell’Aja nella vicenda, perchè non esiste una «via giudiziaria» alla pace. Così come, aggiungiamo, non dovrebbe esistere una «via militare» alla pace. Ma forse, la quiete è l’ultima delle cose che interessano ad Ariel Sharon. I suoi convincenti discorsi, insomma, fanno sì che solo 13 Stati, per lo più musulmani, intervengano all’udienza dell’Aja, accanto all’Anp, alla Lega Araba e all’Organizzazione della Conferenza islamica.
Line 74: Line 42:
E mentre all’Aja si lavora per trovare soluzioni, in Cisgiordania il cemento continua a mangiarsi case e terreni. Il 23 febbraio 2004, le ruspe dell’esercito israeliano iniziano a spianare un’area vicino a Beit Surik, nella Cisgiordania nord-occidentale, da dove partirà il nuovo troncone del «muro», lungo circa 96 chilometri. Per chi non l’avesse capito, «nessuna Corte al mondo potrà mai mettere in discussione il nostro diritto di difesa, del quale la barriera è parte fondamentale», ribadisce Dore Gold, consigliere diplomatico del premier israeliano.
Line 75: Line 44:
La sentenza della Corte, seppur non vincolante, è perentoria: quel Muro crea danni «ai diritti dei palestinesi e le violazioni derivanti dal suo percorso non possono essere giustificate da alcuna esigenza militare o da richieste relative alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico» d’Israele. Perché il Muro «costituisce una violazione da parte di Israele di diversi obblighi relativi alla legge umanitaria internazionale ed agli strumenti dei diritti umani».
Line 76: Line 46:
U.S.A. Israele cerca conforto tra gli amici e chiede agli Usa di esercitare il diritto di veto per bloccare in Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione Onu sul muro. I palestinesi esultano per la vittoria politica. «Nessuno può imporci questo muro dell'apartheid, il suo smantellamento è ineluttabile: il muro di Berlino è crollato, e il muro di Sharon lo seguirà», queste furono le parole di Yasser Arafat.
Line 78: Line 48:
governo americano Nel luglio 2004, è un altro tribunale a bocciare il Muro. Questa volta, però, è la Corte Suprema israeliana. E Sharon è costretto a fermare i bulldozer. Peccato, solo per trenta chilometri, giusto quelli che i giudici hanno ritenuto inopportuni. Uno spostamento di 30 km di «muro» a nord di Gerusalemme, una bocciatura certamente parziale ma significativa: "Il percorso del muro – nel villaggio di Beit Surik (ndr) - danneggia gravemente gli abitanti e viola i loro diritti, sanciti dalla normativa internazionale. Lo Stato dovrà trovare una soluzione alternativa che dia meno garanzie di sicurezza ma pesi di meno sulla popolazione locale". Considerazioni che potrebbero calzare a pennello anche ai restanti 700 km di muro.
Line 80: Line 50:
presidente GeorgewBush

the Cabinet uyybzcfzesxbole Secretary of Agriculture Ann Veneman

Secretary of Commerce Don Evans

Secretary of Defense DonaldRumsfeld

Secretary of Education Rod Paige

Secretary of Energy Spencer Abraham

Secretary of Health & Human Services Tommy Thompson

Secretary of Homeland Security TomRidge

Secretary of State ColinPowell

Secretary of Transportation Norman Mineta

Secretary of Treasury John Snow

Secretary of Veterans Affairs Anthony Principi

Secretary of Housing & Urban Development Mel Martinez

Secretary of Interior GaleNorton

Attorney General John Ashcroft

Secretary of Labor Elaine Chao

consiglieri del presidente

Consigliere Di Sicurezza Nazionale CondoleezzaRice

ISRAELE

governo israeliano

ArielSharon - Prime Minister

(inoltre tiene le comunicazioni, l'alloggiamento e la costruzione, gli affari labor e sociali e le cartelle religiose di affari)

      YosefLapid - Ministro della Giustizia, and Deputy Prime Minister

      EhudOlmert - Ministro dell'industria e del commercio, and Deputy Prime Minister

      SilvanShalom -Ministro degli affari esteri, and Deputy Prime Minister

      BenyaminElon - Ministro del turismo

      TzachiHanegbi - Ministro della pubblica sicurezza

      YisraelKatz - Ministro dell'agricoltura e dello sviluppo rurale

      AvigdorLieberman - Ministro dei trasporti

      LimorLivnat - Ministro della educazione, cultura e sport

      TzipiLivni - Ministero per l'assorbimento degli immigrati

      ShaulMofaz - Ministro delle difesa

      YehuditNaot - Ministro dell'ambiente

      DanNaveh - Ministro della salute

      BenjaminNetanyahu - Ministro della finanza

      JosephParitzky - Ministro delle infrastrutture nazionali

      Avraham Poraz - Ministro dell'interno

      Eliezer Sandberg - Ministero delle scienze e tecconologie

      Gideon Ezra - Minister without Portfolio

      Uzi Landau - Minister without Portfolio

      Natan Sharansky - Minister without Portfolio

Meir Sheetrit - Minister without Portfolio
Il 20 luglio 2004, una nuova risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (150 voti favorevoli, 6 contrari - tra cui Usa e Israele -, 10 astenuti) chiede ai paesi Onu di "non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme". Per Israele è un voto «vergognoso». Per la direzione palestinese è «la decisione più importante per la nostra causa dal 1947». Ma nemmeno questo parere è vincolante, e non c’è da sperare che le orecchie di Sharon vogliano ascoltarlo. Anche se stavolta, nemmeno l’Unione Europea lo ha appoggiato. «Siamo delusi - dice Sharon - per il sostegno massiccio di tutti i Paesi dell’Ue, che non ha tenuto in alcun conto del terrorismo di cui Israele è vittima».

Even before the UN Security Council chooses an international commission to investigate the murder of former Lebanese prime minister Rafiq Hariri, Syria’s best friends in the Lebanese security service are beginning to fall off their perches. Given the verdict of the UN’s original fact-finding mission into the killing - it accused Lebanese investigators of "gross negligence, possibly accompanied by criminal actions" - most Lebanese drew one conclusion: about time.

First came the chief judge in the official Lebanese murder enquiry, Michel Abu Arraj, who last week mysteriously announced that he was exhausted, adding that he felt it necessary to resign "because of the atmosphere of scepticism surrounding the investigation." Then came news that General Raymond Azar, the powerful head of Lebanese military intelligence, has decided to take a months "leave of absence" amid the political opposition’s continued demand for his resignation and that of five of his colleagues.

And now General Ali Haj, the head of the Lebanese Internal Security Forces, is expected to follow Azarõs example. Haj it was who ordered his men to move the bombed-out remains of Mr Hariri’s convoy from the scene of the crime just before midnight on February 14th, the day of the assassination. In the words of Peter FitzGerald, the deputy Irish Garda commissioner who headed the UN Mission, this decision prevented "any ballistic analysis, explosive analysis and evidence gathering at the scene." General Haj was once a member of Mr Hariri’s security detail - but was redeployed after the former prime minister concluded that he was passing information to the Syrian security authorities in Beirut.

Even President Lahoud, Syria’s most faithful friend in Lebanon, now supports - or says he supports - a full international investigation of the Hariri murder. Thus is the pendulum slowly swinging in the direction of the political opposition.

Or so it seems.

The resignation - for the second time in a month - of Prime Minister Omar Karami is a further sign of Lebanon’s political decay. Unable to find a single opponent of Syria prepared to serve in a coalition government, he refused to lead a cabinet of "one colour" and preferred to step down in ignominy. But without a prime minister, it is doubtful if national elections could be held in May - which would preserve the present Lebanese parliament which is loaded with Syrian supporters.

Hizballah is still refusing to move from its position of support for Syria, which means that tens of thousands of Shia Muslims remain outside the Lebanese opposition. And the three night-time bombs which have exploded in commercial districts of east Beirut are surely not the only ones that have been prepared for the coming weeks. By targeting the eastern, largely Christian suburbs of the city - where opposition to Syria is strongest - there appears to be a plan to provoke the Maronite community against Lebanese Muslims. So far, it has proved fruitless. But if that is the case, so the Lebanese argue, surely the agents provocateurs will next time use car bombs in crowded streets. Mercifully the Sunni Muslims, Druze and Christians had created their anti-Syrian alliance before Hariri’s murder; had they tried to do so in its aftermath, they may well have failed.

http://www.sisde.it/sito%5CRivista19.nsf/servnavig/5

definizione hezbollah

È l’11 Giugno 2002 quando, ad ovest di Jenin, viene posata la prima pietra del muro dell’Apartheid. Un progetto di lunga data, teorizzato anni prima dal laburista israeliano Ehud Barak, prende forma proprio qui a Jenin, una delle zone di lotta palestinese più in fermento. Un muro che forse, in un primo momento, poteva essere visto solo come uno strumento di divisione e non di annessione. «Il muro all’origine, è stato proposto dalla sinistra israeliana, dai settori più moderati - racconta padre David Jaeger, esperto di questioni mediorientali - L’idea rispondeva alle esigenze di sicurezza in Israele per fermare gli attentatori e nello stesso tempo il muro doveva demarcare la frontiera tra Israele e Palestina e passare lungo la cosiddetta Linea Verde. L’idea laburista incorporava il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente e portava con sé il ritiro dalla maggioranza dei territori occupati».

Ma nel 2002 le cose sono diverse, Ariel Sharon guida lo Stato d’Israele e anche i timidi progetti laburisti vengono travolti. «Il piano - spiega il ministro della Sicurezza interna Uzi Landau - non si propone di tagliare in due Gerusalemme, ma solo di impedire l’ingresso di terroristi palestinesi provenienti da Betlemme e da Ramallah. L’indivisibilità di Gerusalemme e la sovranità di Israele sull’intera città, capitale eterna del popolo ebraico, è fuori discussione». E pure i permessi di passaggio del muro sono chiari nella mente dei suoi ideatori. Ne saranno istituiti tre tipi. Uno, detto «intelligente», permetterà il libero passaggio degli israeliani ma non dei palestinesi, un altro permetterà il veloce ingresso delle truppe dello Stato ebraico, un terzo sarà utilizzato dagli agricoltori israeliani.

Una struttura difensiva, secondo gli israeliani, non un confine geo-politico. Quindi, nessun pregiudizio a possibili negoziati. Ma, commenta il ministro dell’Informazione dell’Anp, Yasser Abed Rabbo, «l’obiettivo degli israeliani è di frantumare i Territori, trasformando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza in altrettante enclaves circondate da “zone cuscinetto” e intensificare la colonizzazione». E i palestinesi non sono gli unici ad opporsi al Muro. Per differenti ragioni, anche i coloni israeliani non sono d’accorso con Sharon. «Quel Muro intende indicare il confine politico di Israele e quello dello Stato palestinese. Uno Stato del terrore che non dovrà mai nascere perchè rappresenterebbe una minaccia mortale per Israele». A parlare a nome degli oltre 220mila coloni che risiedono negli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è Benny Lieberman, presidente del Consiglio degli insediamenti di Giu dea e Samaria. Originariamente, secondo la prima mappa del Muro, presentata nel settembre del 2002, la barriera sarebbe dovuta essere lunga in tutto meno di 200 chilometri, ma le proteste dei coloni hanno convinto Sharon a estenderla, per includere in Israele anche gli insediamenti. Nel marzo del 2003, una nuova variazione del percorso include i villaggi di Ariel e Immanuel e prevede l'attraversamento della valle del Giordano.

In un anno, gli israeliani completano la "prima fase" del muro, 145 km che attraversano i distretti nord della West bank, Jenin, Tulkarem e Qalqilya. Una barriera che rinchiude in terra israeliana 210mila palestinesi, un muro che mangia 120 ettari di terra che ora sono definiti "zona di sicurezza". La confisca della terra, la distruzione di edifici e le limitazioni agli spostamenti si stima provocheranno la perdita di circa 6500 posti di lavoro. Secondo ordinanze militari israeliane, tutte le terre ad ovest della "prima fase" sono da considerarsi "zone cuscinetto". Di fatto si tratta di una vera e propria annessione di territorio.

Un esproprio che provoca perplessità anche negli Stati Uniti, i miglior alleati del governo Sharon. Ma il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom tranquillizza gli umori, spiegando che con gli Usa è successo un «malinteso che deriva da un’insufficiente conoscenza dei particolari del progetto». Il timore di rottura del feeling americano, nasce da un incontro a fine luglio 2003 tra Abu Mazen, numero due dell’Olp e il presidente Bush. In questa occasione, il presidente americano aveva affermato che la costruzione della «recinzione» costituiva un «problema». Ma, alla fine Ariel e George W. «si sono trovati d’accordo su quasi tutto, e su quel poco su cui erano in contrasto hanno convenuto di non convenire». Potere della diplomazia. La costruzione del Muro va avanti e, assicura Sharon, «ogni sforzo sarà fatto per ridurre al minimo le difficoltà che creerà alla popolazione palestinese». Non si sa quale sia la nozione di “minimo” nella testa del premier israeliano.

Risale al 21 ottobre 2003 la prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede a Israele di "fermare e smantellare il muro dell'apartheid". L’Onu dichiara testualmente che «quella barriera di sicurezza è contraria alle leggi internazionali» e che Israele deve «porre un termine alla costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est, e rimuovere quella parte della barriera già edificata». Il parere dell’Assemblea- 144 i voti a favore (tra cui quelli dell'Unione Europea), 4 i contrari (Usa, Israele, Micronesia, Isole Marshall), 12 le astensioni – non è giuridicamente vincolante, ma ha una valenza simbolica di grande portata. Ma nemmeno così, nessuno dei bulldozer che devastano i villaggi palestinesi ha smesso di lavorare.

L’Assemblea dell’Onu chiede anche che la Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja, apra un fascicolo riguardo al «Muro della discordia». Ma le autorità internazionali paiono non preoccupare assolutamente Sharon. Nel febbraio 2004, Israele fa sapere che «non si farà processare dal Tribunale dell’Aja». Non parteciperà alle udienza convocata per il 23 febbraio, non riconoscerà la competenza del foro internazionale a pronunciarsi sulla legalità della barriera perchè si tratta «di una questione che investe il diritto fondamentale all’autodifesa di Israele». Ma nonostante tanta ostentata indifferenza, Sharon teme il responso dei giudici internazionali, e dà avvio a una forte attività diplomatica. E le sue parole convincono Usa, Russia e Unione Europea. I tre giganti, pur criticando il tracciato della barriera, si dichiarano contrari a un intervento della Corte dell’Aja nella vicenda, perchè non esiste una «via giudiziaria» alla pace. Così come, aggiungiamo, non dovrebbe esistere una «via militare» alla pace. Ma forse, la quiete è l’ultima delle cose che interessano ad Ariel Sharon. I suoi convincenti discorsi, insomma, fanno sì che solo 13 Stati, per lo più musulmani, intervengano all’udienza dell’Aja, accanto all’Anp, alla Lega Araba e all’Organizzazione della Conferenza islamica.

E mentre all’Aja si lavora per trovare soluzioni, in Cisgiordania il cemento continua a mangiarsi case e terreni. Il 23 febbraio 2004, le ruspe dell’esercito israeliano iniziano a spianare un’area vicino a Beit Surik, nella Cisgiordania nord-occidentale, da dove partirà il nuovo troncone del «muro», lungo circa 96 chilometri. Per chi non l’avesse capito, «nessuna Corte al mondo potrà mai mettere in discussione il nostro diritto di difesa, del quale la barriera è parte fondamentale», ribadisce Dore Gold, consigliere diplomatico del premier israeliano.

La sentenza della Corte, seppur non vincolante, è perentoria: quel Muro crea danni «ai diritti dei palestinesi e le violazioni derivanti dal suo percorso non possono essere giustificate da alcuna esigenza militare o da richieste relative alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico» d’Israele. Perché il Muro «costituisce una violazione da parte di Israele di diversi obblighi relativi alla legge umanitaria internazionale ed agli strumenti dei diritti umani».

Israele cerca conforto tra gli amici e chiede agli Usa di esercitare il diritto di veto per bloccare in Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione Onu sul muro. I palestinesi esultano per la vittoria politica. «Nessuno può imporci questo muro dell'apartheid, il suo smantellamento è ineluttabile: il muro di Berlino è crollato, e il muro di Sharon lo seguirà», queste furono le parole di Yasser Arafat.

Nel luglio 2004, è un altro tribunale a bocciare il Muro. Questa volta, però, è la Corte Suprema israeliana. E Sharon è costretto a fermare i bulldozer. Peccato, solo per trenta chilometri, giusto quelli che i giudici hanno ritenuto inopportuni. Uno spostamento di 30 km di «muro» a nord di Gerusalemme, una bocciatura certamente parziale ma significativa: "Il percorso del muro – nel villaggio di Beit Surik (ndr) - danneggia gravemente gli abitanti e viola i loro diritti, sanciti dalla normativa internazionale. Lo Stato dovrà trovare una soluzione alternativa che dia meno garanzie di sicurezza ma pesi di meno sulla popolazione locale". Considerazioni che potrebbero calzare a pennello anche ai restanti 700 km di muro.

Il 20 luglio 2004, una nuova risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (150 voti favorevoli, 6 contrari - tra cui Usa e Israele -, 10 astenuti) chiede ai paesi Onu di "non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all'interno e intorno a Gerusalemme". Per Israele è un voto «vergognoso». Per la direzione palestinese è «la decisione più importante per la nostra causa dal 1947». Ma nemmeno questo parere è vincolante, e non c’è da sperare che le orecchie di Sharon vogliano ascoltarlo. Anche se stavolta, nemmeno l’Unione Europea lo ha appoggiato. «Siamo delusi - dice Sharon - per il sostegno massiccio di tutti i Paesi dell’Ue, che non ha tenuto in alcun conto del terrorismo di cui Israele è vittima».

mace (last edited 2008-06-26 09:53:48 by anonymous)