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Apriamo una riflessione, invitiamo al confronto

Questo invito prende spunto dalla sentenza della Corte d’Appello riguardo al cosiddetto processo ai “venticinque”, per i reati consumatisi a Genova in occasione del G8 del 2001. Dopo otto anni di aule di tribunali, interrogatori, foto, filmati, articoli scritti, quello che rimane di quel processo è questa sentenza d’appello, di cui si attendono le motivazioni, ma che già colpisce per due caratteristiche rilevanti: l’entità delle pene comminate e il reato sanzionato, dal quale sostanzialmente dipende l’entità delle pene stesse.

Per dieci condannati, le pene variano da un minimo di otto a un massimo di quindici anni di carcere. Il reato principale è quello di Devastazione e saccheggio - Art. 419 del Codice Penale: “Chiunque, al di fuori dei casi previsti dall’art. 285 [devastazione, saccheggio e strage, ndr], commette fatti di devastazione e saccheggio è punito con la reclusione da 8 a 15 anni”.

Una sentenza sproporzionata rispetto al valore dei beni distrutti, quantificato in 23mila euro. Una sentenza che rende palese la volontà vendicativa in un processo che trova, in alcune persone presenti a genova nel luglio 2001, non solo un capro espiatorio ma anche la riproposizione di uno scenario già visto: l'individuazione del colpevole a colpo sicuro, dell'asociale, del criminale destinato perché voce fastidiosa e corpo attivo. Da qui l’accumulo di anni di pene nei confronti di soggetti considerati talmente pericolosi da far sì che si esca anche dalle normali logiche del codice giudiziario "democratico". O dovremmo forse pensare che 10 persone possono mettere in scacco le polizie e i servizi segreti di tutto il mondo, presenti in forma massiccia in quelle giornate? E’ invece evidente la volontà di dividere e punire, nonché di creare un pericoloso precedente nell’applicazione dell’articolo 419 di devastazione e saccheggio. (Fanno da contraltare a queste condanne le centinaia di denunce nel confronti delle forze dell'ordine e dei medici, che non hanno trovato dei responsabili perchè in questo caso il camuffamento e il fazzoletto in faccia hanno permesso un'anonimato liberatorio). La dimensione penale ha le sue specificità, le sue logiche, una sua autonoma legittimità, costituzionalmente garantita. La riflessione che proponiamo è relativa a una sistematica tendenza: una vera e propria cultura che si sta imponendo nella prassi e che non ha precedenti nella storia repubblicana.

In un arco temporale ormai ultradecennale, cogliamo uno scarto significativo nel ricorso a un uso sistematico delle sanzioni penali, in relazione a comportamenti tipici del conflitto sociale, sindacale, economico e politico e per migliaia di casi, geograficamente, temporalmente e qualitativamente variegati.

Parallelamente, assistiamo alla torsione amministrativa di status e comportamenti che, privati delle garanzie penali, sono sanzionati pecuniariamente ma anche con costrizioni tipiche della materia penale (quale la detenzione amministrativa nei CIE), configurando un limbo (giuridico) ancor più inquietante. Cosa comporta questa prassi sistematica, riguardo ai diritti costituzionalmente tutelati e alle libertà fondamentali?

Per questa ragione, pensiamo che intorno a questa sentenza debba essere creato un movimento di opinione che possa portare a rivedere l'applicazione del reato di Devastazione e saccheggio, figlio, come gran parte del codice penale, della mente repressiva del regime fascista (in questa sentenza lo toglierei).

Materiali utili

appello (last edited 2009-11-05 21:21:25 by anonymous)