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Contro la precarietà e ve lo dimostro
Il ministro Damiano rivendica la discontinuità sulle politiche del lavoro: «Non critico i precari, anzi lavoro per loro»
Loris Campetti Nel suo ufficio c'è una bellissima foto d'epoca: un corteo operaio a Torino, lo striscione delle Carrozzerie di Mirafiori e davanti un cordone di lavoratori e sindacalisti. Il primo a sinistra è Cesare Damiano, giovanissimo. Quand'eri di sinistra e avevi, gli ricordo, qualche simpatia per il manifesto («nel '75 sono entrato nel Pci»): «Io sono un uomo di sinistra, naturalmente riformista, con coerenza, senza mai annunciare ciò che non sono sicuro di poter realizzare», risponde. Messe via le regole del giornalismo classico, «continuiamo a darci del tu, senza ipocrisia. Ci conosciamo dagli anni Settanta». Dal '74 al '76 il ministro del lavoro era operatore Fiom, nella mitica V lega di Mirafiori. Quella foto me la indica per rivendicare le sue origini. All'inizio di quest'intervista arriva una notizia che mette di buon umore Damiano: «La Fieg (la federazione dei padroni dell'informazione, ndr) ha dato un segnale sul contratto». Una cosa di sinistra l'avete fatta a Bruxelles, bloccando la proposta inglese di superare le 48 ore lavorative... Abbiamo cambiato la posizione dell'Italia, perché l'optout (l'accordo sull'elasticità del lavoro, ndr) non può che essere un'eccezione. Ci siamo mossi in questa direzione con gli altri paesi dell'area mediterranea. L'obiettivo è far crescere l'Europa sociale. Per evitare il dumping sono necessari gli standard minimi, come sostiene la Ces, il sindacato europeo. Veniamo all'Italia. Ti sei detto amareggiato per il sostegno del tuo collega di governo Paolo Ferrero alla manifestazione di sabato contro la precarietà. Hai davvero un giudizio così negativo sul conflitto sociale? Non è invece una risorsa per riportare al centro dell'azione governativa il lavoro e la sua stabilità? Io distinguo tra i giovani precari che manifestano il loro disagio e chi è al governo e non mette in luce quel che abbiamo fatto di positivo contro la precarietà. E distinguo queste due posizioni da chi si esprime con forme di violenza, verbale, ma inaccettabile. La precarietà è un grave problema sociale che sto affrontando con una evidente discontinuità rispetto al passato. Si può fare di più? Certo, ma senza svolorizzare quel che si è fatto. Dunque non temi il conflitto sociale quando al governo c'è il centrosinistra? Ci sono nato nel conflitto sociale, che è il sale della democrazia. Anche se non ho mai creduto nello sciopero per lo sciopero. Chiedo però coerenza a chi ha responsabilità di governo. Spiegaci la discontinuità di cui parli. Due esempi: i call center e i cantieri edili. Per i giovani diplomati e laureati che lavorano alla cornetta ho avviato un percorso di stabilizzazione. Bisogna smettere di dire che la mia circolare divide in modo manicheo chi risponde al telefono da chi fa le telefonate, quando si dice a chiare lettere che è subordinato il primo, ma anche chi fa le telefonate è subordinato, nel caso in cui non sia in grado di autodeterminare il ritmo del suo lavoro in quanto assenti elementi di autonomia. Parliamo della Atesia: gli ispettori del lavoro hanno preso una posizione più netta, ritenendo che tutti i dipendenti del call center sono subordinati e non parasubordinati. Avete reagito come se remassero contro di voi... Falso. Io non ho preso alcuna distanza dagli ispettori, che per altro hanno agito nel rispetto della mia circolare: anche chi fa telefonate, in Atesia, se non ha autonomia nel lavoro e è subordinato. Dov'è la contraddizione? Per me vale il principio che valeva a Mirafiori: se un operaio che si allontana per motivi fisiologici ha bisogno del sostituto assente, allora è subordinato. E parliamo anche dei cantieri edili, dove siamo intervenuti in maniera netta, per esempio imponendo l'assunzione il giorno prima dell'inizio del lavoro, per impedire lo scandalo degli operai infortunati o peggio, morti, che risultavano assunti il giorno stesso dell'infortunio. Da agosto abbiamo chiuso 88 cantieri, 50 hanno riaperto dopo essersi messi in regola. E questa è la prima fase del mio impegno. E la seconda? La Finanziaria, e premetto che il prossimo anno verificheremo se e quanto il taglio dei costi alle imprese avrà prodotto effetti positivi sulla stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Non c'è solo il cuneo fiscale, ma anche le norme per l'emersione del lavoro nero, per la stabilizzazione del lavoro parasubordinato e l'aumento dei contributi, per la tutela della maternità e per il «diritto alla malattia» degli apprendisti. Poi ci sono la terza e la quarta fase: ho chiesto altri 100 milioni di euro per i centri per l'impiego, per la stabilizzazione degli Lsu, per i disabili e il danno biologico degli invalidi. Infine ho chiesto l'assunzione di 100 nuovi ispettori del lavoro. Bisogna vedere se te li danno... Spero che chi chiede più discontinuità mi sostenga. Infine, la quarta fase. Sono state emanate linee guida per i contratti a termine e siamo d'accordo con il ministro Di Pietro a rivedere gli appalti al massimo ribasso nel rispetto delle garanzie e dei diritti di chi lavora. Peccato che il lavoro a tempo determinato sia cresciuto in un anno del 13%. Abbiamo ereditato una situazione preoccupante. Nel 2001 su 100 assunti 80 erano stabili e 20 flessibili. Secondo le previsioni, quest'anno si chiuderà con un rapporto di 45 a 55, a vantaggio - si fa per dire - dei lavoratori atipici. Noi stiamo lavorando per invertire questa tendenza. Perché è vero che l'Italia è più o meno in linea con gli altri paesi europei, con un 13% di atipicità. Ma da noi sono più di 4 milioni i lavoratori al nero e l'aumento della precarietà è un fatto. Come è un fatto che a fare i lavori più flessibili sono non soltanto i giovani, ma anche donne di mezza età e gli ultracinquantenni che hanno perso il lavoro regolare. Ultimo punto, le pensioni. Sbaglio o sul programma dell'Unione c'è scritto che i due interventi da fare sono l'abolizione dello scalone e la rivalutazione delle pensioni minime? Dunque, non si dice che l'età pensionabile va innalzata. Non sbagli. Non ho mai pensato che le pensioni debbano sanare il debito. Penso però che il sistema debba stare in equilibrio. Con la legge Dini si sono risparmiati 200 mila miliardi di lire. Però, ripeto, c'è un problema di equilibrio del sistema e io devo garantire ai giovani di oggi di poter accedere a una pensione adeguata, e non a 65 anni come li costringe Maroni. Come fare, in una situazione in cui si allunga la vita e il lavoro si precarizza? Di questo parleremo all'inizio del prossimo anno, con due tavoli di concertazione, sulla previdenza e sul mercato del lavoro. Ti dico solo un paio di titoli su cui intendo lavorare di buona lena: nuovi ammortizzatori sociali e ridefinizione dei lavori usuranti.