presto servizio volontario nell'Arvas da 12 anni, ed ho vissuto la paradossale esperienza del "licenziamento". Fino alla scorsa settimana, ho svolto il mio volontariato presso l'ospedale "S. Eugenio"; di fronte all'ennesimo e ingiustificato ritardo del personale medico nell'effettuare le visite pomeridiane, ho suggerito ai pazienti (pazientissimi) esasperati di fare presenti le proprie esigenze e rimostranze durante le visite. Il reparto non ha gradito la mia iniziativa, volta comunque a sensibilizzare la struttura sanitaria nei confronti dei bisogni dei malati e di chi li assiste, ed ha preferito allontanarmi.

Questo episodio ha gettato la maschera sul ruolo dell'attività di volontariato che svolgiamo. Come saprà, il volontariato vive sul bilico di una pericolosa ambiguità: da un lato, siamo chiamati ad integrare con umanità (sempre "dalla parte del malato") il servizio che il personale medico e paramedico svolge, spesso con gran merito; d'altro canto, rischiamo di diventare puro "personale di sostituzione" per coprire le lacune di uno stato sociale in crescente difficoltà.

Dal punto di vista del volontario, che rinuncia ad ogni retribuzione economica, la gratificazione umana è elemento irrinunciabile; ma altrettanto necessaria è la consapevolezza che la propria attività è apprezzata dall'Istituzione stessa. Occorre, cioè, che i contributi di medici, infermieri e volontari si completino e non entrino in collisione o, peggio ancora, in concorrenza. Tutte le parti in causa devono condividere un'idea comune: difendere il malato e chi lo assiste aiuta e non ostacola il lavoro del medico, facilitando l'interazione tra ospedale e paziente. Un malato meglio assistito e più esigente nei confronti del proprio sistema sanitario (si tratta, pur sempre, di un cittadino) è un patrimonio del sistema stesso, ne giustifica l'esistenza e il suo rafforzamento: non è un fastidio in più. Al contrario, un sistema sanitario che si fondi sulla distanza tra medico e malato, e utilizzi il lavoro volontario come "cuscinetto" per mantenere intatta tale distanza, non può dare né al malato né al volontario la gratificazione umana che entrambi cercano. Il comportamento del personale medico e paramedico del "S. Eugenio" mi ha dimostrato che al volontariato non è riconosciuto alcun valore aggiunto, anzi: è tollerato solo se collabora a scaricare "verso il basso" (cioè, sul malato) le disfunzioni della Sanità.

arvas (last edited 2010-09-18 11:11:21 by anonymous)