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Appunti e note redazionali

Fonti

Gr 19:30

In primo Piano

PALESTINA: LA SALMA DI VITTORIO ARRIGONI IN ITALIA DOPODOMANI (audio: ROd'U)

Vittorio Arrigoni ha lasciato nel primo pomeriggio di oggi la sua Gaza. Dal valico di Rafah, dove è stata salutata da molti amici/e e compagni/e oltre che da esponenti governativi di Hamas, la salma ora viaggia in direzione de Il Cairo. Nella capitale egiziana, e più precisamente all’ospedale italiano, verrà allestita in serata una camera ardente, prima del viaggio verso l’Italia.

ESTERI

LIBIA: VIOLENTI SCONTRI A MISURATA E AJDABIYA

Si sono concentrati a Misurata e Ajdabiya gli scontri di maggiore intensità tra le forze del colonnello Muammar Gheddafi e i rivoltosi che controllano la regione orientale della Cirenaica. A Misurata, circa 200 chilometri a est di Tripoli, si è combattuto tutto il fine-settimana. Colpi di artiglieria pesante sono caduti in diversi quartieri. Nonostante gli scontri, ieri nel porto è potuta attraccare una seconda volta in pochi giorni una nave dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che sta cercando di portare in salvo migliaia di migranti africani intrappolati dal conflitto. La missione del fine-settimana ha permesso di consegnare medicinali e altro materiale indispensabile per gli ospedali e di portare un secondo gruppo di migranti a Bengasi, in Cirenaica, prima del loro trasferimento in Egitto e negli altri paesi d’origine. “A Misurata si combatte ogni giorno: i rivoltosi controllano la zona del porto e i quartieri orientali, mentre le aree settentrionali sono presidiate dai reparti di Gheddafi”. Secondo il direttore dell’ospedale al-Hikma, in città dall’inizio degli scontri le vittime sarebbero state circa mille, per l’80% civili. Nel fine-settimana si è combattuto anche nel settore di Ajdabiya, 100 chilometri a ovest di Bengasi, dove sarebbe in corso un’offensiva delle forze del colonnello.

SIRIA: LA POLIZIA SPARA SUI MANIFESTANTI, FORSE 200 MORTI

Bagni di sangue stanotte a Lattakia, Homs, Damasco. Testimoni oculari parlano di duecento vittime , di cui 80 ad Homs, 50 a Damasco e una ventina a Lattakia. Molti sono i dispersi. "Abbiamo l'ordine di uccidere ogni persona che e' contro il regime o contro il presidente e ogni persona che si riunisce nelle piazze principali", dice un poliziotto siriano. Intanto a Damasco le donne hanno iniziato a gettare dai balconi pietre e bombole di gas contro le forze di sicurezza che sono sempre piu numerose in strada mentre qualcuno parla di una divisione dell'esercito. Un medico dell'ospedale nazionale di Lattakia racconta: "Abbiamo paura di uscire per strada e soccorrere i feriti perché i poliziotti ci sparano contro". Le famiglie delle vittime a Lattakia e ad Homs con un sit in davanti agli ospedali chiedono che i familiari siano soccorsi mentre ad Aleppo si spara sulla folla. A nulla é servito venerdi scorso l'annullamento del giorno festivo da parte del presidente che aveva invitato tutti invece a recarsi al lavoro e a scuola.

STATI UNITI: UN ANNO FA, IL DISASTRO PETROLIFERO NEL GOLFO DEL MESSICO

E' passato un anno. Mercoledi' prossimo saranno trascorsi esattamente 365 giorni dal momento in cui sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, posizionata a 66 chilometri al largo delle coste della Louisiana, un' esplosione squarciava la notte del Golfo del Messico e la struttura dell' impianto. Erano le 21:45: aveva inizio in quel momento al largo di New Orleans quello che si sarebbe trasformato nel piu' grave disastro ecologico della storia. Quell'esplosione, dovuta al mancato funzionamento di una pompa idraulica, ha causato non solo 11 morti e 17 feriti. Ha provocato anche la piu' inarrestabile fuga di petrolio mai vista, un fiume nero che giorno dopo giorno e' sfociato nel Golfo del Messico fino ad occuparlo quasi per meta'. Gli esperti hanno calcolato in 5 milioni i barili di petrolio finiti in mare. L'intera industria marittima di tre Stati (Louisiana, Mississippi e Texas, senza tener conto dei danni provocati in Florida) e' stata messa in ginocchio e la potente America ha assistito, impotente, all'aggravarsi di una catastrofe ambientale senza precedenti nel mondo. Neppure il disastro provocato nel 1989 sulle coste dell'Alaska dalla petroliera Exxon Valdez aveva avuto conseguenze cosi' gravi. Quella piattaforma, costruita in Corea del Sud dalla Hyundai Heavy Industries, era di proprieta' della societa' svizzera Transocean ed era stata affittata due anni prima dalla britannica BP per procedere alle trivellazioni del pozzo Macondo, un pozzo che si trova ad una profondita' di circa 1.500 metri. Prima dell'incidente, la BP estraeva dal pozzo 8 mila barili di petrolio al giorno. Che, da un giorno all'altro, hanno cominciato inesorabilmente a finire in mare. Inizialmente la portata dell'incidente fu sottostimata. I soccorsi seguirono le abituali procedure previste in questi casi. Solo quando, due giorni dopo l'incidente, la colossale piattaforma affondo', i tecnici si resero conto della gravita' potenzialmente epocale del disastro: da uno dei tubi della piattaforma squarciatisi nell'esplosione il petrolio continuava ad uscire a enormi fiotti (50 mila barili al giorno). Solo che ora la piattaforma era sul fondo del mare, a 1.500 mt di profondita'. Mettere un 'tappo' a quella falla non sarebbe stato un lavoro facile. Gli ingegneri capirono subito: sarebbe stato un incubo. Cosi' e' stato: i tecnici della BP hanno lavorato l'intera estate prima di riuscire a fermare quel petrolio che saliva dal fondo del mare. Dopo svariati tentativi, il tamponamento definitivo della perdita e' stato messo in atto con successo soltanto il 19 settembre. Per i precedenti cinque mesi un fiume di oltre 780 milioni di litri di petrolio ha avvelenato le acque e le coste del Golfo del Messico. Nel dichiarare BP responsabile del disastro, gli Usa hanno raggiunto con il gruppo petrolifero un accordo per la costituzione di un fondo iniziale di 20 miliardi di dollari per risarcimento danni. BP dal canto suo ha dichiarato spese per 8 miliardi di collari per contenere il petrolio e perdite per 3,95 miliardi. Come altre compagnie petrolifere, ha gia' ripresentato domanda per riprendere le trivellazioni.

GIAPPONE: Radioattivita' altissima nella centrale di Fukushima

I robot da ieri in azione nella disastrata centrale di Fukushima n.1 hanno misurato alti livelli di radioattivita' negli edifici dei reattori n.1 e n.3, registrando valori che rendono ancora estremamente difficoltoso l'intervento diretto dei tecnici Tepco all'interno dei locali. Secondo quanto riferito oggi dall'Agenzia per la sicurezza atomica nipponica (Nisa), nel reattore n.1 e' stato rilevato un livello di radioattivita' tra 10 e 49 millisievert per ora, mentre nel reattore n.3 sono stati riscontrati valori ancora piu' alti, dai 28 ai 57 millisievert/ora, contro una media in condizioni normali di 0,01 millisievert/ora (quindi da 1.000 a quasi 6.000 volte più del normale). Il livello massimo di radiazioni permesso per i tecnici al lavoro nella centrale in avaria e' di 250 millisievert, un limite che nel caso del locale del reattore n.3 verrebbe superato in circa quattro ore e mezzo. Le ultime misurazioni sono state effettuate dai robot telecomandati forniti dagli Stati Uniti, da domenica impegnati ad analizzare gli edifici che ospitano i reattori per capire quali siano le loro condizioni attuali: tra gli altri dati fin qui pervenuti vi e' la temperatura, 28-29 gradi per il reattore n.1 e 19-22 gradi per il reattore n.3, mentre la concentrazione di ossigeno e' pari al 21% in entrambi i locali.

ITALIA

PRAIA A MARE: DOMANI SI APRE IL PROCESSO ALLA MARZOTTO-MARLANE

Si aprirà martedì 19 aprile il processo ai tredici dirigenti della Marzotto-Marlane di Praia a Mare accusati di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla omissione delle cautele sul lavoro, lesioni colpose gravissime, omissione dolosa delle cautele antinfortunistiche, disastro ambientale doloso. La Marlane di Praia a Mare (CS). fabbrica tessile del gruppo Marzotto, dal 1973 al 2001 ha causato la morte di oltre 100 operai morti per tumore e altri 60 ammalati ancora oggi, il territorio e il mare di Praia sono serviti da discarica per i rifiuti tossici delle lavorazioni. Tuffo questo è avvenuto con le complicità delle amministrazioni locali e dei partiti (di centro destra e centro sinistra), delle autorità sanitarie, di Cgil-Cisl-Uil, dei mezzi di "informazione": che per anni hanno negato, minimizzato, insabbiato, ma anche criminalizzato chi lottava contro il lavoro portatore di morte, contro la fabbrica dei veleni. La strage di Praia a Mare non è avvenuta "per caso", per mancata conoscenza" dei prodotti usati nel ciclo lavorativo. La strage di Praia è avvenuta per scelta, la scelta del profitto. Quella scelta che vede nelle misure di sicurezza, nella salvaguardia della salute e delle vite di chi lavora, solamente un elemento aggiuntivo del "costo del lavoro", un onere da evitare con cura per non diminuire i profitti, per "garantire" l'occupazione. In Italia, nei primi due mesi del 2011 i morti sul lavoro sono stati 76 e gli infortuni gravi più di 100. Alla strage di operai si aggiunge anche il disastro ambientale. Per anni davanti lo stabilimento ed in prossimità del mare sono stati seppelliti tonnellate di rifiuti tossici, così come attraverso il depuratore sono stati riversati in mare liquami contaminati dai veleni della stessa fabbrica. Un processo quindi molto importante, da seguire con attenzione.

MESSINA: Operaio muore folgorato

Stava manovrando il braccio meccanico di una betoniera Giuseppe Marchese, operaio 45enne di Fiumefreddo (Catania) morto in un piccolo cantiere edile, in contrada Ogliastrello, di Castelmola (Messina). Secondo quanto ricostruito, durante la manovra di scaricamento del calcestruzzo la betoniera avrebbe urtato dei cavi dell'alta tensione e la forte scarica elettrica ha colpito l'operaio a terra e lo ha folgorato. Inutili i tentativi dei compagni di lavoro di rianimarlo. Giuseppe Marchese lascia la moglie e due figli. Con quello di oggi sale a quattro, dall'inizio dell'anno, il numero delle vittime del lavoro in provincia di Messina.

ROMA: Ennesimo sgombero di un campo per rom a via Severini, a Tor Sapienza (audio: ROR)

ROMA: OCCUPATO ASILO NIDO DA MAESTRE E GENITORI

Maestre e cittadini hanno occupato oggi, con il sindacato USB, l'asilo nido di via Granai di Nerva (11° Municipio), chiuso dall'amministrazione di Roma Capitale, per protestare contro la privatizzazione del servizio, i tagli di organico, la non attuazione del piano occupazionale. Domani alle 16.30, nell'asilo occupato, assemblea pubblica alle 16.30 per organizzare il proseguimento della lotta.

MILANO: SGOMBERATA EX PISCINA, PROTESTA SULLA TORRETTA

Stanotte alle 4, sgomberata dalla polizia la ex piscina in via Botta. Compagn* all'interno sono stati costretti a uscire, ma uno di loro è riuscito ad arrampicarsi sulla torretta dell'edificio: Paolo Maurizio Ferrari, uno dei fondatori del nucleo storico delle Brigate rosse. Ex operaio della Richard Ginori e della Pirelli, arrestato il 27 maggio 1974, è uscito dal carcere nel 2004 dopo aver scontato trent'anni di detenzione, senza usufruire di benefici né permessi, per non aver mai voluto pentirsi né dissociarsi. Mentre un presidio di antagonisti e anarchici rimaneva per ore davanti all'edificio, il compagno è stato costretto dalla polizia a scendere dalla torretta dopo alcune ore. Non ci sono stati fermi.


Gr 13:00

In primo Piano

OMICIDIO ARRIGONI: PALESTINESI IN LUTTO NEL GIORNO DELL’ADDIO

Indignazione, rabbia, solidarietà. Sono questi, secondo Silvia Todeschini dell’International solidarity mouvement (Ism) i sentimenti che si respirano nella Striscia di Gaza tra i palestinesi e i cooperanti ancora increduli per l’assassinio di Vittorio Arrigoni, il pacifista italiano ucciso la notte tra giovedì e venerdì scorso, dopo un sequestro lampo.

“La gente di Gaza è mortificata. Per sé stessa e per noi. Per Vittorio e per il destino di questa terra che sembra non riesca a scrollarsi di dosso l’odio e la violenza” racconta l’attivista nel giorno dei funerali di stato voluti dalle autorità locali per il giovane che aveva ottenuto la cittadinanza palestinese proprio grazie al suo attivismo.

“Tra poco la salma di Vittorio sarà recuperata dall’ospedale Al Shifa per proseguire verso il valico di Rafah, fra Gaza e l’Egitto” precisa Todeschini confermando che “per volontà della famiglia il copro non passerà attraverso il valico di Eretz, in territorio israeliano. Dall’Egitto proseguirà il viaggio verso l’Italia.

Su istruzione dell’esecutivo di Hamas, al valico avrà luogo una cerimonia di addio e saranno pronunciati due elogi funebri, in arabo e in italiano.

Intanto sull’omicidio, il ministro degli Esteri di Hamas, Mohammed Awad, ha dichiarato ieri che alcuni estremisti, sospettati dell’omicidio, sono già stati arrestati, ma che ci sono ancora persone che hanno legami con l’operazione a Gaza, che saranno arrestati “a breve”.

La salma di Vittorio Arrigoni arriverà mercoledi alle 7 a fiumicino , per mercoledi è previsto anche un appuntamento alle 21 alla comunità di base di via ostienze. intanto il presidio sotto montecitorio continua fino a domani.

ESTERI

DA MISURATA AD AJDABIYA, SCONTRI E CRISI UMANITARIA

Si sono concentrati a Misurata e Ajdabiya gli scontri di maggiore intensità tra le forze del colonnello Muammar Gheddafi e i rivoltosi che controllano la regione orientale della Cirenaica: lo dicono i responsabili di alcune organizzazioni umanitarie che operano in Libia.

A Misurata, circa 200 chilometri a est di Tripoli, si è combattuto tutto il fine-settimana. Colpi di artiglieria pesante sono caduti in diversi quartieri. Nonostante gli scontri, ieri nel porto è potuta attraccare una seconda volta in pochi giorni una nave dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che sta cercando di portare in salvo migliaia di migranti africani intrappolati dal conflitto. La missione del fine-settimana ha permesso di consegnare medicinali e altro materiale indispensabile per gli ospedali e di portare un secondo gruppo di migranti a Bengasi, in Cirenaica, prima del loro trasferimento in Egitto e negli altri paesi d’origine.

“A Misurata si combatte ogni giorno: i rivoltosi controllano la zona del porto e i quartieri orientali, mentre le aree settentrionali sono presidiate dai reparti di Gheddafi”. Secondo il direttore dell’ospedale al-Hikma, in città dall’inizio degli scontri le vittime sarebbero state circa mille, per l’80% civili.

Nel fine-settimana si è combattuto anche nel settore di Ajdabiya, 100 chilometri a ovest di Bengasi, dove sarebbe in corso un’offensiva delle forze del colonnello.

Poche le novità sul piano internazionale. Il primo ministro della Gran Bretagna, David Cameron, ha detto di escludere un intervento militare di terra per rovesciare Gheddafi. Non sono stati invece resi noti i contenuti di una telefonata al colonnello del presidente Jacob Zuma, impegnato in un difficile tentativo di mediazione per conto dell’Unione Africana (Ua).

PRESIDENTE BOUTEFLIKA ANNUNCIA RIFORME, MA NON CONVINCE

Sono piuttosto fredde, secondo la stampa algerina, le reazioni alle riforme politiche annunciate dal presidente Abdelaziz Bouteflika, da mesi confrontato a manifestazioni di tipo sindacale a sfondo antigovernativo. Venerdì sera, il capo di stato algerino aveva anticipato un “programma di riforme politiche mirato ad approfondire il processo democratico”, attraverso una revisione della Costituzione , una modifica della legge sui partiti politici, della legge elettorale e del codice dell’informazione.

È una “piccola marcia indietro nel suo corso autoritario” ritiene il quotidiano ‘El Watan’, convinto che siano state le mobilitazioni degli studenti e dei giovani, gli scioperi, le proteste dei disoccupati e dei precari a spingere Bouteflika a “invertire la deriva monarchica delle istituzioni”. Gli osservatori ricordano, tra l’altro, che il presidente, al potere dal 1999, aveva fatto modificare la Costituzione nel 2009 per potersi ricandidare per un quarto mandato consecutivo.

Ad inserirsi in questo contesto politico-sociale rovente, una serie di attentati che hanno preso di mira le forze armate nazionali. Ieri, cinque militari sono stati uccisi in un’imboscata ad Ammal, una cinquantina di chilometri a est dalla capitale Algeri. Quasi contemporaneamente alcuni gendarmi hanno subito un attacco nei pressi di Bouira, un po’ più a sud, subendo la perdita di uno di loro. Sabato, secondo il giornale ‘Liberté’, un’altra imboscata ad Azazga, 140 chilometri a est da Algeri, si era conclusa con la morte di 13 militari.

Siria, dopo il caos l’inferno

Bagni di sangue stanotte a Lattakia, Homs, Damasco. Cosi iniziano le riforme annunciate dal presidente siriano Bachar al Assad con tono superbo. Senza mostrare nessun dispiacere per le vittime di questa rivoluzione siriana il presidente Bashar mostra invece attraverso la repressione e i massacri la debolezza di un regime che sembra essere arrivato alla fine. Il caos di qualche giorno fa si e' trasformato in inferno.

Si fa fatica a scrivere il numero delle vittime della scorsa notte quando alcuni dei loro nomi rimbombano nella mente perche' implorati per le strade della capitale da madri che piangendo ne cercano il corpo mentre le forze di sicurezza continuano a sparare senza pieta'. Testimoni oculari parlano di duecento vittime , di cui 80 ad Homs, 50 a Damasco e una ventina a Lattakia. Molti sono i dispersi.

"Abbiamo l'ordine di uccidere ogni persona che e' contro il regime o contro il presidente e ogni persona che si riunisce nelle piazze principali", dice un poliziotto siriano. Intanto a Damasco le donne hanno inziato la loro intifada gettando dai balconi pietre e bombole di gas contro le forze di sicurezza che sono sempre piu numerose in strada mentre qualcuno parla di una divisione dell'esercito. "Non possiamo rischiare di scendere per le strade, dice Umm Mohammad, una donna di cinquant'anni, - abbiamo dei bambini. cosi contribuiamo alla lotta stando nelle nostre case".

Un medico dell'ospedale nazionale di Lattakia racconta: Abbiamo paura di uscire per strada e soccorrere i feriti perché i poliziotti ci sparano contro. Ma noi dobbiamo fare il nostro lavoro che e' quello di soccorrere le vittime anche perché le ferite potrebbero presto portare ad infezioni".

Le famiglie delle vittime a Lattakia e ad Homs con un sit in davanti agli ospedali chiedono che i familiari siano soccorsi mentre ad Aleppo si spara sulla folla. A nulla é servito venerdi scorso l'annullamento del giorno festivo da parte del presidente che aveva invitato tutti invece a recarsi al lavoro e a scuola.

Radioattivita' alta in edifici reattori Fukushima

I robot da ieri in azione nella disastrata centrale di Fukushima n.1 hanno misurato alti livelli di radioattivita' negli edifici dei reattori n.1 e n.3, registrando valori che rendono ancora estremamente difficoltoso l'intervento diretto dei tecnici Tepco all'interno dei locali. Secondo quanto riferito oggi dall'Agenzia per la sicurezza atomica nipponica (Nisa), nel reattore n.1 e' stato rilevato un livello di radioattivita' tra 10 e 49 millisievert per ora, mentre nel reattore n.3 sono stati riscontrati valori ancora piu' alti, dai 28 ai 57 millisievert/ora, contro una media in condizioni normali di 0,01 millisievert/ora. In questa situazione e' molto difficile per i tecnici della centrale poter svolgere il proprio lavoro dall'interno - ha spiegato il portavoce dell'Agenzia, Hidehiko Nishiyama -. In qualche modo e' necessario prima abbassare il livello di radiazioni e schermarle. Il livello massimo di radiazioni permesso per i tecnici al lavoro nella centrale in avaria e' di 250 millisievert, un limite che nel caso del locale del reattore n.3 verrebbe superato in circa quattro ore e mezzo. Le ultime misurazioni sono state effettuate dai robot telecomandati forniti dagli Stati Uniti, da domenica impegnati ad analizzare gli edifici che ospitano i reattori per capire quali siano le loro condizioni attuali: tra gli altri dati fin qui pervenuti vi e' la temperatura, 28-29 gradi per il reattore n.1 e 19-22 gradi per il reattore n.3, mentre la concentrazione di ossigeno e' pari al 21% in entrambi i locali.

ITALIA

Ennesimo sgombero di un campo per rom a via Severini, a tor sapienza, ascolta la corrispondenza con una compagna. (audio)

Operaio muore folgorato nel messinese

Stava manovrando il braccio meccanico di una betoniera Giuseppe Marchese, operaio 45enne di Fiumefreddo (Catania) morto in un piccolo cantiere edile, in contrada Ogliastrello, di Castelmola (Messina). Secondo quanto ricostruito, durante la manovra di scaricamento del calcestruzzo la betoniera avrebbe urtato dei cavi dell'alta tensione e la forte scarica elettrica ha colpito l'operaio a terra e lo ha folgorato. Inutili i tentativi dei compagni di lavoro di rianimarlo. Giuseppe Marchese lascia la moglie e due figli. Con quello di oggi sale a quattro, dall'inizio dell'anno, il numero delle vittime del lavoro in provincia di Messina

Donna uccisa in strada a Lucca

a confessato l'omicidio Igor Paolinelli, 40 anni, il fidanzato di Laura Giannarini, 44 anni, badante, uccisa a colpi di pistola ieri sera a Lucca.

Subito dopo l'omicidio, Paolinelli era stato bloccato dalla polizia e portato in questura. Durante l'interrogatorio l'uomo ha spiegato che fra lui e la fidanzata c'erano dei dissidi sentimentali.

L'uomo, assistito dal proprio avvocato, ha spiegato che aveva un appuntamento con la fidanzata e che l'incontro poi e' degenerato. L'uomo si era presentato con la pistola. Dopo l'omicidio, e' stato lo stesso Paolinelli a chiamare la polizia.


Gr 9:30

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gror110418 (last edited 2011-04-18 18:30:35 by anonymous)