Scaletta per le 5 trx (ore 11.00-12.00) sulla marcia Venaus-Roma:

== gio. 06 (Chiavari-La Spezia) : i processi di Genova

== sab. 08 (Pisa-Livorno) : degassificatore in mare (e base militare Camp Darby)

== lun. 10 (Cecina-Follonica) : autostrada Livorno-Civitavecchia (e base militare Camp Darby)

== mer. 12 (Rispescia-Civitavecchia) : centrale elettrica a carbone

== ven. 14 (Malagrotta-Roma) : rifiuti, riciclaggio, ecc.

recapiti tel. dalla marcia :

VALENTINA 338.4513153

CARLO 347.9347568

GUIDO 334.1535933

Allego alcuni documenti interessanti e molto utili per capire certe questioni chiave.

Per altro materiale, andare su: http://www.notav.it/modules.php?name=Content

Osservazioni tecniche al progetto preliminare e relativo SIA delle variazioni/integrazioni richieste dalla Regione Piemonte con DGR n. 68-10051 del 21/07/2003 al Progetto preliminare relativo al nodo urbano di Torino, potenziamento della tratta Bussoleno-Torino e cintura merci, già pubblicato il 10/03/03, depositato in data 10/12/03 ai sensi della L. 349/86.

PREMESSO che il Sistema degli Enti locali, per tutelare i cittadini ed il territorio, ha posto in essere una serie di azioni attuate dal punto di vista politico a mezzo del Comitato Istituzionale di Valle e della Conferenza dei Sindaci, supportati tecnicamente mediante la costituzione di gruppi di lavoro composti da esperti nei settori ambientali e trasportistici, coadiuvati, per la parte giuridica, da assistenza legale specifica in materia di diritto dell'ambiente e di tutela del territorio;

RICHIAMATO il documento licenziato in data 20 gennaio 2003 dalla Comunità Montana Alta Valle di Susa, dalla Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, dai Sindaci della Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia , Val Ceronda e Casternone e della cintura Nord-Ovest di Torino col quale, esprimendo considerazioni sui lavori del tavolo regionale tecnico-politico, istituito su richiesta degli Enti Locali per aprire un confronto sul quadro complessivo dell'infrastrutturazione territoriale conseguente ad un nuovo collegamento ferroviario ad AV/AC, si esprimeva un motivato parere negativo all'ipotesi progettuale della nuova linea Torino-Lione, auspicando un nuovo confronto a livello regionale su due filoni tematici: riaffermazione del ruolo della programmazione per promuovere lo sviluppo sostenibile, ribadendo il ruolo centrale degli Enti Locali di essere co-protagonisti delle scelte che influenzano i loro territori; ridefinizione della strategia trasportistica su gomma e ferro e le ipotesi progettuali di trasporto merci attraverso le Alpi;

RIBADITA la posizione politica del sistema degli Enti Locali di contrarietà alla realizzazione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/capacità Torino-Lione;

SI RITIENE DOVEROSO nel ribadire la posizione politica di contrarietà alla realizzazione dell'infrastruttura, esprimere le proprie osservazioni allo Studio di Impatto Ambientale al citato progetto preliminare, motivando nel merito tecnico, ambientale, finanziario, le posizioni di criticità.

In data 10/12/03 ITALFERR Sp.a., in nome e per conto di RFI-Rete Ferroviaria Italiana, ha pubblicato il Progetto preliminare e relativo SIA delle variazioni/integrazioni richieste dalla Regione Piemonte con D.G.R. n. 68-10051 del 21/07/03 al Progetto preliminare relativo al nodo urbano di Torino, Potenziamento della tratta Bussoleno -Torino e cintura merci, già pubblicato il 10/03/03, ai fini della procedura VIA ai sensi dell'art. 3, c.1 del D.Lgs 20 agosto 2002 n. 190, e ai sensi dell'art. 6 della legge 8 luglio 1986 n. 349.

La Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia ha ritirato, dalla Regione Piemonte, in data 11/12/03 per le finalità di cui all'art. 5, c. 2 del D.Lgs 190/02 copia del progetto che è stata messa a disposizione di Enti, Associazioni e cittadini.

Considerata la vastità e l'impatto dell'opera, la complessità del progetto e la concomitanza delle festività di fine anno, non è stato possibile approfondire pareri e osservazioni ai sensi dell'art. 6 della legge 349/86.

La Regione Piemonte, riconoscendo tali oggettive difficoltà, ai sensi del c. 4, art. 3 del D. Lgs 190/02 si è fatta interprete di tutto questo e ha invitato gli Enti Locali a continuare il lavoro di approfondimento tecnico nei successivi 60 gg, dopo la scadenza del 09/01/04 imposta al sistema degli Enti locali per le osservazioni. Tutto ciò anche ai sensi dell'art. 18 della L.R. 40/98.

Con questo documento si vogliono far emergere alcune delle criticità di area vasta che siamo riusciti faticosamente ad individuare, senza la pretesa di considerare questo un percorso concluso.

1) CRITICITA' AL MODELLO DI ESERCIZIO.

Non si può non rilevare la mancata scelta progettuale del raccordo tra la linea AV/AC e quella storica, in corrispondenza del bivio Pronda, lungo il tracciato ipotizzato di C.so Marche. Il raccordo lungo il virtuale C.so Marche tra la gronda merci e lo scalo di Orbassano non compare negli elaborati progettuali; è prevista infatti semplicemente la predisposizione dell'interconnessione tra il Posto di Movimento ubicato nel territorio di Pianezza e l'asse di C.so Marche. A nostro avviso la scelta di progettare la gronda senza il raccordo lungo C.so Marche rafforza il nostro dissenso in quanto vanifica completamente la funzionalità e la presunta utilità dell'intera tratta, sicuramente rispetto a Torino e al Piemonte. Posizione ribadita con forza anche dalla Provincia di Torino. In assenza di questo raccordo è essenziale sottolineare che: ¨ Tutti i treni merci sulla direttrice di Torino-Orbassano, cui si aggiungeranno i convogli dell'AFA (Autostrada Ferroviaria Alpina) recentemente attivata, e quelli che attraverseranno il nodo di Torino sulla direttrice sud-ovest (Liguria occidentale e Cuneo), continueranno ad essere instradati sulla linea storica. Potranno invece utilizzare la nuova Gronda i soli treni merci da /per Novara-Milano oltre eventualmente a quelli instradabili verso Alessandria e Genova, via Mortara-Valenza.

¨ I treni passeggeri a lunga percorrenza sulla direttrice Parigi/Lione - Milano e viceversa, per non saltare Torino, dovranno utilizzare la linea storica tra Settimo e Bussoleno-Bruzolo, non percorreranno e quindi non trarranno il minimo beneficio dalla realizzazione della nuova opera;

¨ Il carico di traffico sulla linea storica tra Bussoleno e Torino risulterà quindi di poco ridotto rispetto all'attuale. Risulterà pertanto problematico, se non impossibile, effettuare quel servizio cadenzato di Metropolitana Ferroviaria al servizio della Bassa Valle di Susa e della cintura ovest di Torino, giudicata come la più alta compensazione trasportistica per il territorio, resa possibile dal grande progetto internazionale;

¨ Il cospicuo numero di treni merci che saranno ancora presenti sulla tratta di linea storica compresa tra Bussoleno ed il nodo di Torino, ridimensionerà drasticamente il previsto abbattimento dell'inquinamento acustico, uno degli altri fattori di beneficio per il territorio interessato, ottenibile dalla possibilità di riservare l'uso di tale linea ai soli convogli leggeri, passeggeri, molto meno rumorosi.

Risulta incomprensibile questa scelta perché per essere razionale dovrebbe partire dalla valorizzazione e da un utilizzo delle infrastrutture già esistenti sul territorio, prima tra tutte lo scalo di Orbassano, sede di una concentrazione di funzioni logistiche al servizio dell'area industriale torinese non trascurabile. Occorre infatti sottolineare che la scelta di FS (maturata negli anni '80) di trasferire ad Orbassano il proprio scalo di smistamento, oltre a generare un notevole consumo di territorio, ha prodotto in modo indotto altre scelte di allocazione di strutture legate alla logistica e ai trasporti, e in particolare la costruzione del centro intermodale di SITO e la ricollocazione dei Mercati Generali nella nuova realtà del CAAT (Centro Agro Alimentare) di recente apertura, che sono situati nelle immediate vicinanze dello scalo. A questo, occorre aggiungere il fatto che nell'area esiste uno scalo intermodale gestito da CEMAT (attualmente sottoutilizzato) e che attraverso Orbassano avviene il collegamento con la rete FS dello scalo FIAT del Drosso.

RFI ha anche investito, sullo scalo di Orbassano, ingenti risorse finanziarie per la sperimentazione, rivelatasi fallimentare, del sevizio di Autostrada Ferroviaria Alpina (ALFA).

Queste scelte sembrano anche confermare quanto da sempre ipotizzato circa la volontà di RFI di marginalizzare la linea storica e in particolare il bacino turistico dell'Alta Valle di Susa.

Inoltre questo progetto, non prende in esame il tema, discusso più volte al tavolo tecnico-politico istituito dall'Assessore ai trasporti della Regione, della connessione diretta della ferrovia regionale To-Ceres con la gronda e il passante, in modo da poter organizzare treni diretti tra Caselle e Milano o con Malpensa.

Il modello trasportistico proposto rimane quindi nell'ambito dell'Alta velocità e non quello dell'Alta Capacità: si presenta più come infrastruttura per treni passeggeri a lunga percorrenza, in concorrenza con l'aereo, piuttosto che per il trasporto di merci. La mancata connessione con l'infrastrutturazione torinese delle merci, tutta collocata a sud ovest, dice con chiarezza che l'opzione dell'alta capacità non è mai stata presa seriamente in considerazione da RFI. L'interesse a fare della nuova ferrovia una vera alternativa al trasporto merci su gomma non sembra interessi più di tanto né il Governo né la dirigenza delle ferrovie, né interessa la questione della sostenibilità economica dell'opera.

Tutto il sistema degli Enti locali è interessato all'opportunità di migliorare i collegamenti ferroviari dell'area torinese con l'Europa. Le proposte avanzate hanno avuto lo scopo di evidenziare e quindi ridurre l'impatto ambientale sul territorio attraversato, nella logica che un territorio già pesantemente infrastrutturato non possa sostenere ulteriori aggravamenti del loro peso sulla vivibilità complessiva nell'area. Il criterio guida quindi è che il territorio che accoglie una nuova infrastruttura deve vedere complessivamente ridotto il carico ambiente totale. Il progetto di una nuova infrastruttura dovrebbe essere l'occasione per migliorare la vivibilità complessiva del territorio. Nel caso della Torino Lione questo può tradursi nella riduzione del traffico merci su gomma, nel miglioramento del sistema ferroviario locale, nel miglioramento del sistema viario anche per sopportare il carico derivante dai cantieri, nell'interramento delle linee aeree di trasporto dell'energia elettrica ad alta tensione, ecc.

Attualmente non ci è stata offerta dal progetto nessuna seria prospettiva in questo senso. Il nuovo progetto colloca il percorso in fregio alla tangenziale sul lato interno verso Torino, ma se pure tale percorso costeggia in Venaria principalmente aree industriali, proprio nel tratto invece dove vi sono edifici residenziali il percorso in galleria artificiale viene abbandonato: questo risulta inaccettabile. Così come risulta inaccettabile il carico derivante dalla presenza dei cantieri sul tessuto viario in un'area che a malapena sopporta il traffico odierno. Già sono previsti infatti interventi alla sp1 e alla ss 24 nel territorio di Venaria per far fronte al già collassato sistema degli assi di penetrazione che collegano le valli di Lanzo e del Canavese e della Valle di Susa con il sistema tangenziale. Inoltre, pressoché nello stesso periodo sarebbe previsto l'intervento nell'area dello stadio delle Alpi per la ristrutturazione dell'impianto sportivo e per la edificazione di un grande centro commerciale: il tutto in una situazione che vede lo svincolo della tangenziale che serve l'area dello stadio incompleto con la conseguenza che lo svincolo impegna massicciamente la viabilità comunale di Venaria.

In ultimo non pare considerato da RFI e dalla Regione Piemonte il problema di aprire contestualmente una discussione con tutti i Comuni interessati sulla ferrovia regionale Torino-Ceres, il cui progetto di "scollegamento e di ricollegamento" col passante sembra affare tutto interno alla città di Torino, mentre la Regione Piemonte, proprietaria della linea, sembra non stia valutando con attenzione cosa si stia realmente prospettando.

L'effettivo funzionamento della ferrovia To-Ceres, il suo ammodernamento, un esercizio che preveda cadenzamenti da vera linea metropolitana almeno da Cirié a Torino (tra 10 e 20 minuti), il suo instradamento sul passante, la possibilità di collegamenti diretti tra Caselle e Malpensa/Milano, sono parte delle richieste che il Comune di Venaria avanza perché il progetto si faccia carico del peso derivante dalla presenza della nuova infrastruttura ferroviaria ad alta velocità e che servirebbero a provare a rendere vivibile il territorio.

2) DISSESTO IDROGEOLOGICO.

Rilevanza enorme costituisce il problema del dissesto idrogeologico tale da rappresentare un serio pericolo per la residenzialità e la salute dei cittadini dei Comuni coinvolti. Il progetto si inserisce in un tratto di fondovalle che presenta il tipico profilo ad U con andamento pressoché pianeggiante e insiste quasi totalmente su terreni alluvionali. Su tale area esistono evidenti problemi di esondabilità, in primo luogo causati dal fiume Dora Riparia e poi per le interferenze col reticolo idrografico minore, tutt'altro che trascurabile. La Dora Riparia è un corso d'acqua caratterizzato da valori di portata piena modesti, se raffrontati all'estensione del bacino idrografico sotteso (1220 kmq), ma da aree inondate di rilevante estensione. L'alveo della Dora è infatti modestamente inciso (eccetto che nel tratto finale dove attraversa il fronte morenico ad Alpignano-Rivoli), quindi presenta una ridotta capacità di convogliamento in condizioni di piena. L'indagine storica mostra che il corso d'acqua è andato progressivamente perdendo l'andamento a rami multipli e le fasce boscate che lo caratterizzavano nel secolo scorso, quindi riducendo le possibilità di allagamento senza procurare danni. Ancora nel giugno del 1957, l'inondazione aveva interessato rilevanti estensioni del fondovalle che, oggi, essendo più o meno densamente urbanizzate, devono essere protette dagli allagamenti, pertanto occorre evitare, nelle aree oggi libere, ogni ulteriore riduzione degli spazi potenzialmente utilizzabili per l'invaso delle acque di piena. Nel tratto di fondovalle il territorio è quindi caratterizzato da un elevato rischio idrogeologico per la presenza contemporanea di vincoli ambientali e territoriali, di rischio idrogeologico dal punto di vista morfologico-idraulico e di zone di interesse a protezione naturalistica. Tale parte di territorio è infatti caratterizzato da un'estrema peculiarità e fragilità sia per la natura idrogeologica, sia per il carico antropico sviluppatosi negli ultimi decenni (in particolare per il numero e la natura delle infrastrutture esistenti). In estrema sintesi le antropizzazioni sono costituite da nuclei abitati, dalle vie di comunicazione (S.P. - SS. 25 - SS. 24 - autostrada A32 - ferrovia internazionale Torino-Modane) e dai numerosi manufatti connessi al reticolo idrografico minore. Gli effetti evidenti legati all'azione fluvio-torrentizia sono stati rilevati nella zona in esame già nell'alluvione 2000, allorquando tutte le vie di comunicazione sono state interrotte (fatta eccezione dell'autostrada) e molti centri abitati sono stati esondati con altezze d'acqua che variavano da un minimo di 40 cm. ad un massimo di 150 cm. C'è da osservare che già la presenza dell'autostrada Torino-Bardonecchia ha di fatto creato una sorta di sbarramento tra l'alveo inciso e gli alvei golenali e ciò ha costituito un evidente ostacolo al naturale deflusso delle acque della Dora e dei molteplici canali, bealere e rii minori esistenti in tale parte di territorio, impedendo la laminazione delle onde di piena. In questo quadro la realizzazione di un'opera qual è quella dell'AV/AC costituisce un ulteriore elemento di turbativa di un equilibrio già di per sé fortemente precario e che richiede già allo stato attuale notevoli interventi strutturali al fine di mettere in sicurezza gli abitati e le principali infrastrutture esistenti, così come è stato previsto dall'Autorità di Bacino. In presenza di altri elementi di intralcio alla naturale laminazione delle acque, quale sarà sicuramente l'intervento dell'AV/AC, come già anticiparono gli esperti quando si parlò dell'autostrada Torino-Bardonecchia, si accentuerà un processo che è già innescato e/o si accelererà l'evoluzione in negativo, così come è stato confermato dall'alluvione del 2000 con i suoi riflessi non solo a livello locale, ma anche a valle dei punti critici esistenti lungo il fondovalle ed in particolare a Torino. E' opportuno ricordare che la conservazione delle aree inondabili è uno degli obiettivi dell'azione dell'Autorità di Bacino del Fiume Po, che ha approvato il Piano stralcio delle Fasce Fluviali. La riduzione delle aree inondabili determina l'aumento delle portate al colmo in caso di piena e questo effetto, nel caso della Dora Riparia avrebbe conseguenze non tollerabili in Torino, ove il corso d'acqua attraversa aree densamente popolate. Qualsiasi altro intervento nella Valle dovrà essere pertanto subordinato alla rimozione degli elementi di rischio di cui ai sopracitati punti critici. Con tali premesse si può affermare che, visti i caratteri geomorfologici ed idraulici che caratterizzano in generale l'area pianeggiante per il tracciato dell'AV/AC, essi portano in primo luogo a subordinare la fattibilità dello stesso ai risultati di un'accurata valutazione del sito di imposta del tracciato e della situazione locale al contorno, cui dovranno essere adeguate le soluzioni progettuali mantenendo le limitazioni ed i vincoli derivanti. Tutto ciò contribuirebbe a limitare ulteriormente la capacità di laminazione delle acque con pericolo di incanalare l'acqua verso Torino, accentuando il rischio idraulico per la città che, notoriamente, in relazione ai suoi ponti, non sarebbe in grado di recepire portate superiori a quelle che si sono riscontrate in occasione dell'alluvione del 2000. La descrizione della componente "rischio idraulico" rappresenta quindi una sintesi di quanto descritto finora, integrata da considerazioni specifiche su elementi critici e/o caratteristici quali: ‰ aree esondate; ‰ tracciato alternativo. La necessità dell'approfondimento delle soluzioni proposte discende dall'esigenza di affrontare l'insieme delle problematiche ambientali, idrogeologiche e socio-economiche del fondovalle in modo coordinato e finalizzato al conseguimento della compatibilità tra sicurezza idraulica, tutela dell'ambiente, sviluppo economico ed esigenze infrastrutturali più generali. In data 06 febbraio 2004 si è tenuto, in Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, un incontro tecnico che ha visto la partecipazione della Regione Piemonte (con i Tecnici di alcune Direzioni Regionali), della Provincia di Torino (pianificazione territoriale), consulenti tecnici della Provincia e della Comunità Montana, Tecnici Comunali, ITALFERR.

Per rispondere a queste problematiche è stato attivato, dopo l'incontro del 06/02/04, un gruppo di lavoro che ritiene indispensabile la predisposizione di uno studio complessivo sul dissesto idrogeologico.

3) LINEA E STAZIONE ELETTRICA.

Dall'esame degli atti progettuali si è riscontrato, con somma sorpresa, che l'elettrodotto, con relativa sottostazione elettrica, aveva subito una significativa modifica di tracciato, andando ad interessare pesantemente una vasta area dei Comuni di Alpignano, Caselette e Pianezza. Nella zona interessata esiste già un elettrodotto da 380 KV che non poche preoccupazioni e polemiche sollevò in occasione della sua progettazione e realizzazione. Inoltre, proprio sul tracciato in cui si vorrebbe realizzare l'elettrodotto, ne insiste un altro da 132 KV. La progettazione del nuovo elettrodotto ne prevede la costruzione tra la S.S. 24, la collina morenica di Rivoli e il Monte Musiné e a poche decine di metri dal Castello di Camerletto. La costruzione della sottostazione elettrica occuperebbe circa 15.000 mq di terreno a qualche centinaio di metri dal Castello di Camerletto (bene culturale tutelato). Con stupore abbiamo letto nella relazione ITALFERR la seguente dicitura: "Non si rilevano particolari sensibilità in quanto le aree interessate dalla nuova stazione elettrica e dal tracciato del nuovo elettrodotto sono indicate dalla strumentazione come aree agricole". Questa frase ha dell'incredibile per una serie di azioni che la Regione ha messo in atto nel campo della valorizzazione agroalimentare. L'area in esame è tra le più idonee all'attività agricola dell'intera Valle, un settore che la Regione Piemonte, la Provincia di Torino e la stessa Comunità Montana stanno valorizzando ritenendo che non si possa prescindere da un'agricoltura di qualità e di rintracciabilità del prodotto specialmente in area montana o pedemontana. Tra l'altro la Valle di Susa ha avuto finanziato un patto territoriale tematico sull'agricoltura che sta rilanciando con forza il settore puntando alla multifunzionalità e alla qualità dei prodotti. Il Comune di Caselette sta operando un riordino urbanistico trasferendo alcune importanti aziende agricole dal centro storico al fondovalle. Questo progetto, oltre al grave impatto ambientale e paesaggistico, determinerebbe un danno specifico patrimoniale e produttivo in conseguenza del frazionamento dei poderi e un danno economico rilevante collegato alle nuove forme di incentivi economici che saranno erogati, dal 2004, dalla nuova PAC (Politica Agraria Comune) con il cosiddetto disaccoppiamento. Cioè una nuova forma di contributo unificato in rapporto al valore dell'azienda (sostegno al reddito), in sostituzione dei diversi contributi oggi erogati dalla U.E. in rapporto alle produzioni rese (sostegno ai prezzi, in contrasto con le regole per la globalizzazione del mercato). In molti casi trattasi di aziende con imprenditoria e personale di giovane età che hanno investito e scommesso sulla riqualificazione dell'attività agricola anche con processi di modernizzazione.

Fatte queste poche note di premessa, veniamo a sottoporre all'attenzione della Regione Piemonte quanto segue.

Il precedente progetto, presentato il 10 marzo 2003, seguiva un percorso che interessava altri Comuni. Si deve presumere che a seguito delle legittime osservazioni delle Amministrazioni interessate si sia deciso di traslocare la linea su Caselette. A nostro parere seguendo un percorso logico, le motivazioni che possono aver determinato questa traslazione di tracciato non possono che essere due: a) di natura economica b) di natura tecnica

Nell'incontro di approfondimento tematico del 1° febbraio 2004, che si è tenuto presso la Regione Piemonte, è stato posto con chiarezza questo quesito al progettista della linea elettrica, Dr. Foresta, che ha risposto, con altrettanta determinatezza, che non vi erano ragioni di natura né tecnica, né economica alla base di questo cambiamento di tracciato. Nemmeno è stata fornita risposta del perché non era stata fatta una valutazione tecnica - economica - ambientale dell'interramento della linea e dell'eliminazione della sottostazione elettrica. Lo stesso Ing. Gino Enzo si è impegnato, per conto della Regione Piemonte, a estendere ufficialmente, per scritto, a RFI di predisporre una analisi multicriteria sulle diverse ipotesi di percorso della linea elettrica, ovviamente compreso l'interramento. Attualmente alcuni Cittadini di Caselette sono costretti, già oggi, a vivere ed operare sotto i tralicci dell'attuale elettrodotto. Gli stessi Cittadini, in presenza del nuovo elettrodotto ipotizzato, sarebbero costretti a vivere tra due elettrodotti, uno a nord e uno a sud delle abitazioni. E' parimenti incredibile la debole spiegazione che questo elettrodotto verrebbe affiancato ad uno esistente. Non è sostenibile che se un territorio sacrifica residenzialità e salute per ospitare un'infrastruttura, questa scelta viene a giustificare anche future infrastrutture. Manca nel progetto, qualsiasi attenta valutazione sul valore complessivo di inquinamento elettromagnetico dovuto all'elettrodotto esistente e a quello in progetto, con relativa stazione elettrica.

4) INQUINAMENTO ACUSTICO.

Il progetto preliminare di RFI per la nuova linea ad alta capacità va giudicato come un piano di potenziamento globale di un asse di trasporto, che non comporta solo la costruzione di una nuova linea, ma l'interconnessione con la vecchia e l'utilizzo di entrambe in un modello di esercizio unico. Il tentativo di trasformare questo canale in uno degli assi fondamentali del trasporto delle Alpi, se non nel più grande, richiederà che prima o poi si facciano passare dei treni merci molto pesanti. 2000 tonnellate per treno è, a nostro parere, il valore minimo perché il passaggio risulti concorrenziale. Sotto questo punto di vista il progetto è strutturalmente inadatto a salvaguardare i paesi della Valle di Susa, attraversati dalla linea storica, da condizioni di inquinamento acustico e vibratorio intollerabili. La mancata interconnessione con la linea storica e con Orbassano, con il passante di C.so Marche, è elemento decisivo per questa affermazione. Parimenti non sembra credibile la previsione di limitare a 750 metri la lunghezza dei binari di stazionamento dell'interconnessione di Bruzolo. Per quanto concerne il rumore prodotto dalla infrastruttura, non risulta che i metodi di calcolo di propagazione del suono adottati tengano conto dello studio elaborato dai tecnici del Politecnico di Torino e acquisito dal Tavolo Tecnico-Politico coordinato dalla Regione Piemonte con la presenza di RFI e LTF. Non risulta cioè preso minimamente in considerazione il problema della propagazione del rumore nelle zone montane che non beneficia dell'abbattimento dovuto all'effetto suolo quando i "ricettori sensibili" sono posti sul versante più in alto rispetto alla fonte e alla piana valliva. Non risultano inoltre rispettati i piani di zonizzazione acustica che dividono i territori comunali in classi.

Lo studio commissionato al Politecnico di Torino dalla Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, comprendeva una previsione basata su elaborazioni al calcolatore dei livelli acustici generati da un esercizio ferroviario analogo a quello dichiarato dai promotori della linea ad Alta Capacità (AC) Torino - Lyon per giustificarne la costruzione. Il traffico suddetto era considerato ripartito sulla linea storica fino ai limiti della sua capacità e su quella AC, dove per quest'ultima si era considerato il tracciato distribuito da LTF ai Sindaci in forma di CD durante la riunione del tavolo tecnico-politico sulla tratta piemontese della nuova linea AC Torino - Lione, svoltasi il giorno 11 luglio 2002 a Torino.

I calcoli eseguiti riguardavano la regione di Bruzolo - San Didero, per la quale erano state eseguite delle misure di confronto, ed in particolare un ricettore posto alla distanza di 643 m. dalla linea storica e di 425 m. da quella AC. Tale ricettore era in posizione tale per cui la propagazione del rumore fino ad esso poteva ritenersi libera o, in altri termini, non radente al suolo e soggetta ai relativi effetti di attenuazione. Oltre a rappresentare una situazione assai frequente in una valle alpina, questa posizione evidenziava un ottimo accordo tra i valori calcolati e quelli misurati e quindi permetteva di accettare i primi con fiducia.

Un calcolo dettagliato, analogo a quello svolto nello studio citato, ma aggiornato per tenere conto dei nuovi tracciati, è improponibile nel lasso di tempo assurdamente breve concesso per la presentazione di osservazioni al progetto preliminare. L'approfondimento dovrebbe essere garantito con il concorso degli Enti Locali.

Lo studio dell'impatto acustico presentato da RFI non prende in esame il valore di picco del rumore, ma solo il valore medio equivalente, nei due periodi diurno e notturno. E' a nostra conoscenza che l'attuale normativa non prevede limitazioni dal valore massimo, ma è facile dimostrare che il valore di picco è un parametro fondamentale per stimare la possibilità o meno di riposo notturno (la Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia e il Comitato Habitat lo hanno già fatto nella documentazione allegata all'esposto presentato alla Procura della Repubblica di Torino per la causa civile in corso contro RFI per l'impatto acustico della linea storica). Nel discutere le forme di mitigazione della tratta Torino Novara, l'Ing. Tartaglia, del Politecnico di Torino, ha ottenuto che venisse accertata la limitazione anche di questo parametro. Il progetto, poi, non tiene conto di cosa RFI ha presentato ai Comuni per la mitigazione del rumore dovuto alla linea storica. In particolare RFI, per la linea storica, non mette in campo nessuna indicazione riguardante le scelte operative da attuarsi qualora il piano-campagna fosse più basso del piano binari rispetto alle condizioni standard di pianura. Osservando la rappresentazione schematica di una barriera antirumore standard, è facile evidenziare come il muraglione di cemento armato che ne deriva sarà lungo tutta la linea storica (a volte formate da qualche km. di struttura) ed alto quanto la distanza verticale che c'è fra il piano di campagna e piano rotaia. Vorremmo capire quali condizioni di residenzialità e sicurezza si possono prevedere per gli abitati interessati da tratte in superficie.

Nel progetto ITALFERR manca completamente la valutazione dei costi di costruzione e di manutenzione e lo studio della compatibilità e funzionalità dei dispositivi citati con le esigenze della linea. Parliamo di un tratto di infrastruttura che prevede un modello di esercizio ferroviario, a regime, che contempla:

Ø Nuova linea 120 treni AFA 148 treni merci tradizionali

Ø Vecchia linea 08 treni AFA 40 treni regionali 40 treni merci 08 treni a lunga percorrenza

per un totale di ca. 400 treni. Cioè in un'area residenziale è previsto un passaggio ogni 3 minuti (considerando un tempo di utilizzo di 20 ore al giorno) e in queste condizioni non prendere in considerazione il valore di picco del rumore diventa qualcosa di fortemente pericoloso per i cittadini. Pensare di risiedere in un'area valliva con un treno ogni 3 minuti è semplicemente assurdo.

Una considerazione viene automatica: sono veri questi dati?

Si possono ipotizzare due risposte: a) le cifre sulle tracce - merci non sono reali e vengono avanzate solo per giustificare l'opera. Considerazione amara visto l'impegno di imponenti risorse e il devastante impatto territoriale; b) la previsione è ritenuta plausibile senza fornire, però, alcuno studio serio che supporti una previsione del genere. Questo anche in considerazione di quanto dichiarato per l'ennesima volta dalla SITAF nella conferenza stampa del 9 febbraio 2004 circa la ferma intenzione della Società di realizzare il raddoppio autostradale del Frejus. Pensare che una Società autostradale impegni 500 milioni di Euro per mantenere lo stesso traffico, o accettare una drastica riduzione, sembra francamente poco credibile. Proprio in questi giorni i giornali nazionali hanno riportato in auge la vicenda dell'eurotunnel sotto la Manica. Tunnel costato ai privati 14 miliardi di Euro e ai poteri pubblici, in modo indiretto dei 20 miliardi, sta crollando sotto una montagna di debiti (9 miliardi di Euro). Il Direttore Generale di Eurotunnel, Richard Schirreps, ha affermato recentemente "se avessimo saputo, non lo avremmo costruito".

Il sito di Orbassano che ha impegnato circa 1.700.000 m2 di fertile terreno agricolo e ingenti risorse pubbliche viene oggi messo seriamente in discussione (a pochi anni dalla sua ultimazione). Sono esempi che dovrebbero portare ad una riflessione più attenta anche in previsione dell'entrata in vigore del tunnel svizzero.

5) PROBLEMA SMARINO E CANTIERI.

Questo è un problema grave e complesso anche in considerazione di un programma lavori che è previsto duri qualche decennio. I dati forniti dallo studio di VIA rappresentano calcoli teorici in situazioni ideali, che sono nettamente differenti da quelle reali. In questo senso può essere determinante il confronto tra le ultime due grandi infrastrutture costruite in valle. Esse mostrano che la durata effettiva dei lavori è più che doppia del preventivato e che i problemi di disturbo, per le condizioni obiettive del meccanismo degli appalti, non sono mitigabili anche con sofisticati strumenti di controllo, come è stato il caso della Commissione Paritetica -AEM enti locali integrata da una apposita "Alta Sorveglianza ". In questo raffronto appare ancor più inconsistente il contenuto di questo Studio di Impatto Ambientale, che non prevede organi speciali di sorveglianza, non prevede organi di controllo, non prevede un sistema di cauzioni, né tantomeno strumenti ancor più efficaci dei tre appena accennati, per garantire l'effettivo rispetto delle leggi e delle garanzie minime da offrire agli abitanti coinvolti nei lavori. Un rapido esame degli ultimi grandi lavori in valle, può essere un elemento di valutazione concreto, per le opere previste dal progetto in esame, e per i calcoli forniti dallo SIA. I lavori per l'autostrada del Frejus iniziarono nel 1979. Il tratto di alta valle sino a Susa venne aperto nel dicembre 1992 . ( Nel tunnel di Serre la Voute i lavori, che dovevano durare 30 mesi, durarono 70). L'intera autostrada venne aperta nel luglio 1995. Nel totale ha richiesto 16 anni e, per gli elementi che vengono esaminati più avanti, si può sicuramente dire che i lavori della tratta TAV/TAC tra Settimo e Borgone non avranno durata inferiore . La galleria di Bussoleno di circa quattro chilometri, costruita tra il 1992 ed il 1995 doveva essere realizzata in 22 mesi e ne ha richiesti 41. Il costo dichiarato di quasi 700 miliardi di lire, è comunque indicativo dell'impennata che possono prendere i costi una volta che questi sfuggono al controllo, e quindi delle difficoltà di finanziamento che, a lavori iniziati, possono impedire lo svolgimento di un cronoprogramma stabilito. Le denunce per inquinamento della Dora, delle acque superficiali e sotterranee, per lo sversamento di oli e sostanze velenose, per occupazioni abusive di terreni, per apertura di piste in fondi privati, per diffusione di polveri, ed in generale, per il non mantenimento degli impegni presi, fanno ormai parte della storia di questa valle. I lavori dell'impianto idroelettrico AEM di Pont Ventoux - Susa, sono iniziati nel 1995 con una previsione di termine entro 5 anni . Attualmente sono al 90 %, e quindi dureranno almeno 10 anni, cioè il doppio del preventivato. Per questi lavori c'è un contenzioso in arbitrato che a fronte di un importo di aggiudicazione di 370 miliardi di lire, vede contrapporsi le richieste di danni dell'Astaldi di 240 miliardi di lire e quella dell'AEM di 200. La Astaldi comunque ha già ottenuto un aumento di 35 milioni di euro (circa 70 miliardi di vecchie lire ) per lo spostamento della centrale in caverna dovuto alla pessima qualità della roccia in cui l'aveva collocata il progetto originario.

I gravi danni causati dallo scavo delle gallerie alle sorgenti ed agli acquedotti di Salbertrand, Exilles e Giaglione, che vengono attraversati per 14 Km vanno commisurati alla dimensione relativamente piccola della condotta, che è di 2 metri di diametro, mentre per i lavori della Gronda merci sulla Torino Lione si tratterà di due gallerie ognuna di oltre 9 metri di diametro, e cioè di un impatto almeno 10 volte maggiore, che va calcolato anche sul maggior sviluppo delle gallerie.

Il lavoro di scavo con le più sofisticate "talpe" (TBM) esistenti in Europa, gestite da una società norvegese ad altissima specializzazione, iniziarono a maggio nel 1996. A dicembre del 1996 ci fu il primo blocco, che durò alcuni mesi con la perdita di parte della macchina stessa. A giugno del 1999, ci fu un secondo incidente analogo, un anno dopo un terzo. Poco dopo la ditta norvegese risulta essersi ritirata, probabilmente per il ripetersi di simili incidenti altrimenti rarissimi. In mezzo ci sono state, fortissime venute d'acqua (si è scritto di un "lago" interno alla montagna dell'Ambin di 13-14 milioni di mc), ed una sospensione dei lavori nel 1998 dovuta alle sopravvenienti difficoltà tecniche. Nel 1999 ci sono state le proteste degli abitanti di Giaglione per i danni alle abitazioni causate da un tratto scavato con volate di mine. A seguito di questo fu resa operativa, con sette anni di ritardo, la Commissione Paritetica tra l'AEM e gli enti locali e regionali istituita sin dal 1992 per monitorare bimestralmente i lavori. Ma neppure la Commissione Paritetica riuscì ad evitare le violente proteste degli abitanti di alcune zone di Susa per le polveri ed i disagi dovuti al transito di camion di smarino. La questione venne risolta quasi un anno dopo, ad ottobre 2000 con l'apertura di un accesso autostradale provvisorio, non essendosi trovato altro modo per fermare l'anarchia dei trasporti in subappalto.

II disturbo che sarà recato alla circolazione dei mezzi di cantiere a seguito dei lavori della Torino Lione può essere valutato confrontando i 2,4 milioni di metri cubi teorici da portare a discarica, con i 300.000 metri cubi teorici allora dichiarati per la VIA del progetto AEM.

Il volume totale degli inerti movimentati, esclusi i luoghi rilevati per la presente mitigazione del rumore nella piana tra Borgone e Chianocco, è pari a circa 7 milioni di metri cubi, cioè 1.360.000 viaggi A/R di mezzi pesanti ordinari e 600.000 viaggi di mezzi di cantiere da 24 t. di portata.

Un terzo esempio, che riguarda i lavori preliminari della linea stessa realizzati in Francia, può illuminare sulla effettiva durata di questo cantiere. La discenderia di Modane, lunga 4 chilometri è stata preventivata con una durata dei lavori di 30 mesi. I lavori sono iniziati a giugno 2002, e a gennaio 2004, dopo 20 mesi, i lavori, condotti ininterrottamente, hanno raggiunto la lunghezza di soli 850 metri. L'avanzamento giornaliero medio è di 1,5 metri al giorno contro i 4,5 - 5 metri previsti: per completare i lavori ed arrivare al punto di attacco del futuro tunnel, occorreranno, senza tener conto delle difficoltà crescenti, e supponendo una regolarità dei finanziamenti, almeno 100 mesi e cioè otto anni. Poiché il disagio per la popolazione è dovuto essenzialmente alla durata dei cantieri, ci troveremo, come minimo di fronte ad un impatto che è due volte quello previsto. Come ulteriore confronto si può notare che a fronte di una lunghezza, di poco superiore a quella della autostrada Susa Rivoli (43 Km contro 36 Km ), la tratta di ferrovia oggetto di questo SIA prevede una superficie di aree di cantiere maggiore del 50%. E se è di poco superiore il movimento complessivo di inerti, si può notare che il fabbisogno per calcestruzzi, che è l'elemento maggiormente inquinante per la dispersione di polveri, rumore e sostanze nocive, è anche esso superiore di oltre il 50%

E' inoltre peggiorativo il fatto che il rapporto tra inerti scavati e fabbisogno di inerti sia in questo caso positivo e cioè comporti la messa in discarica di almeno 3 milioni di metri cubi, mentre l'autostrada ebbe un saldo negativo, che dopo una lunga contrattazione portò al prelievo del materiale necessario da due cave a fossa di ridottissimo impatto. Qui invece, anche senza stimare al momento i problemi dello smaltimento delle rocce contenenti amianto, si tratterà di depositare degli inerti creando nuove discariche a cielo aperto.

In linea puramente teorica anche solo sui dati forniti dallo SIA possiamo stimare che la fase di cantiere della gronda merci comporterà un impatto enormemente superiore a quello comportato dall'autostrada che si e già mostrato intollerabile e le cui ferite sono ancora da rimarginare.

A chi vede i cantieri come l'organizzazione di una struttura produttiva, occorre ricordare che nella pratica chi riceve l'appalto di una grande opera pubblica tende a comportarsi come un soggetto investito di diritti particolari sul territorio. I cantieri tendono ad allargarsi a loro arbitrio, occupando le aree intercluse. Le imprese che li gestiscono tracciano da sé le strade per collegarsi nella maniera più comoda e disinvolta ai siti dove realizzano delle strutture, depositano e prelevano i materiali, o tra i cantieri eventualmente gestiti dalla stessa impresa. Dove utilizzano la viabilità rurale la stravolgono per le necessità dei mezzi di cantiere. Dove utilizzano quella locale rappresentano un fattore di pericolo perché, anche con pochi transiti giornalieri, minacciano la sicurezza della popolazione per la loro inosservanza delle regole fondamentali di circolazione.

Lo SIA ignora tutti i fattori di disturbo reale, crea delle tabelle di sintesi degli impatti ma poi non produce dei suggerimenti per attenuarli. Solo in un caso, riferito al problema delle polveri di amianto, che costituisce un gravissimo caso tutto particolare, propone di bagnare le strade per sollevare meno polveri. Ma è chiaramente un rimedio inutile, le polveri restano disperse e si solleveranno ugualmente prima o poi alla prima bufera di vento appena si smettesse di bagnarle o, al più al termine dei lavori. Anche la copertura dei mucchi si rivela un provvedimento che, dato come semplice suggerimento, non riveste alcuna efficacia, perché si scontra con il durissimo regime di concorrenza degli appalti per il trasporto di inerti che impone i ben noti problemi di sovraccarico "regolare" ( in quanto il vantaggio premia anche su una periodica sanzione), e di rapidità di trasporto, che impone velocità ben oltre quelle di sicurezza e di minimizzazione del disturbo.

Questo aggiornamento del SIA, invece di approfondire il problema cruciale della messa in discarica del materiale eccedente (che comunque si ammette che probabilmente sarà eccedente al calcolo fatto), sfugge al problema ipotizzando che "lo smarino non recuperabile dei cantieri venga trasportato al cantiere di Foresto e da qui, direttamente, tramite nastro, alla cava Paradiso (del Moncenisio a 2.100 metri di quota ) che offre ampie volumetrie di deposito " Questo è assolutamente falso, perché la cava del Paradiso (comunque non ancora autorizzata dal comune francese di Lanslebourg), può contenere meno di 5 milioni di mc, un quantitativo eccedente renderebbe troppo ripido il pendio di accumulo, e questo quantitativo di 5 milioni di metri cubi non è neppure bastante per contenere lo smarino della parte italiana del tunnel di base. Ci troviamo quindi di fronte ad uno SIA che è pericolosamente reticente sui siti di deposito, e lo è ancor di più per quanto riguarda lo smaltimento di quelli classificabili come rifiuti tossico nocivi per la presenza di amianto, per cui nulla propone né come stoccaggio provvisorio, né come stoccaggio definitivo. La prevista realizzazione, nel tratto considerato, di oltre 23 Km. di gallerie comporta la produzione di rilevanti quantità di materiali di scavo da estrarre prima, movimentare poi e infine stoccare. Una cospicua parte di detto smarino, consistente in oltre un milione di metri cubi è costituita da roccia amiantifera, contenendo a vario titolo forme diverse di amianto (Crisotilo, Tremolite, Serpentinite), come confermato dai Geologi dell'Università degli Studi di Siena in una relazione commissionata proprio da RFI.

Ciò è coerente con l'appartenenza delle zone interessate dal TAC al Massiccio Ultrabasico di Lanzo che comprende la vicina (17 Km dal tracciato ferroviario) cava di amianto di Balangero la più grande miniera di amianto bianco d'Europa.

La possibilità che si verifichino condizioni di rischio sanitario è assolutamente rilevante per quanto riguarda le attività di scavo e di movimento terra; ciò con tutti i problemi di tutela della salute dei lavoratori addetti a tali compiti.

Analoghe preoccupazioni riguardano però anche le popolazioni della Valle di Susa , a causa della dispersione di fibre di amianto nell'aria di una valle molto ventosa con venti prevalenti occidentali che spirano verso Rivoli con velocità che può sfiorare i 40 Km/ora.

In particolare vivissime preoccupazioni sono legate allo stoccaggio di 500.000 metri cubi di materiale di risulta degli scavi delle zone amiantifere nell'area individuata sul territorio di Almese in zone agricole alla confluenza del Rio Morsino e del torrente Messa, affluenti di sinistra della Dora Riparia.

Non risulta prevista la realizzazione di opere idonee ad evitare l'infiltrazione dei torrenti succitati ora utilizzati a scopo irriguo a valle di detto stoccaggio, mentre la dispersione nell'aria sarà massima con un deposito dei materiali a cielo aperto.

La valle presenta continui e importanti spostamenti di masse d'aria con solo rari momenti di calma di vento quantificati in meno di tre ore al giorno (cioè con velocità del vento inferiore ad un nodo); In tali condizioni di ventosità, si può calcolare che la popolazione esposta sarà di oltre 200.000 persone con una corrispondente moltiplicazione di rischio. Il regime anemologico della bassa Valle di Susa è caratterizzato da una spiccata prevalenza dei venti occidentali (diretti verso Torino) e da un vivace regime dì brezza termica giornaliera con flusso da est diretto verso l'interno della valle. Ad Avigliana, al centro della valle presso l'alveo della Dora Riparia e quindi in zona assai prossima alla finestra di scavo di Rivera, circa il 66% delle misure anemometriche mostrano provenienza dai settori occidentali che sposterebbero il carico di particelle in sospensione verso le zone densamente popolate della prima cintura torinese (Pianezza, Collegno, Rivoli). In particolare durante i frequenti episodi di fohn, le raffiche da Ovest possono raggiungere i 100 km/h e sollevare ingenti quantità di polveri, complice anche l'associata secchezza dell'aria che giunge durante tali episodi a valori di umidità relativa prossimi al 10-20%. Circa il 26% delle osservazioni consta invece di provenienze dai settori orientali, legate soprattutto all'attivazione della brezza termica giornaliera (brezza di valle). In tale contesto le polveri verrebbero trasportate dal fondovalle verso i pendii più assolati (in particolare in sinistra idrografica), raggiungendo zone residenziali anche a quota superiore alle installazioni di cantiere. Una parte del flusso sarebbe invece canalizzato nella valle principale raggiungendo i centri abitati di fondovalle posti a monte dei cantieri e delle zone di mobilizzazione dei materiali lapidei.

Si ricorda che l'esposizione all'amianto anche a livelli minimi e non legato ad attività lavorativa, correla con gravi patologie, tra cui il Mesotelioma, malattia tumorale maligna che dopo un periodo di latenza anche di 15-20 anni, comporta una prognosi infausta in tempi assai brevi: dal momento della diagnosi di mesotelioma al decesso del paziente il tempo che intercorre è di 275 giorni (dato statistico European Journal of Cancer febbraio 2003), quali che siano le terapie instaurate.

Si ribadisce che non esiste un livello soglia al di sotto del quale l'esposizione all'amianto non comporta rischio per la salute. Una nuova grande esposizione ambientale potrebbe comportare un aumento di casi di mesotelioma sino a oltre 500 casi ogni 200.000 abitanti, ogni anno per molti anni.

Si espongono queste valutazioni come contributo alla conoscenza del problema di impatto ambientale legato in fase di progettazione e al relativo rischio di amianto. Per tutelare la salute dei cittadini si farà una dettagliata segnalazione, sul problema amianto, alla Procura della Repubblica di Torino.

Gli Amministratori del territorio interessato dall'opera ritengono impossibile e improponibile che un solo metro cubo di materiale possa essere stoccato sul proprio territorio. Tutti parlano della Torino Lione come di un'opera strategica per una macro-area, però i danni devono essere tutti per la nostra micro - area.

Il progetto deve prevedere i costi reali di un movimento terra con presenza diffusa di amianto senza "nessuno stoccaggio sul territorio interessato". Per questo motivo il presente documento non esamina i siti previsti per lo stoccaggio semplicemente perché il progetto li deve cancellare.

6) PROBLEMI IDRICI.

Per quanto riguarda le interferenze con gli acquiferi presenti nel corpo dei sistemi montuosi attraversati, si è già posto il confronto con le interferenze avvenute nel corso dei lavori dell'AEM. Anche la galleria autostradale di Bussoleno, per quanto situata in una situazione sfavorevole, fu oggetto di un'imponente venuta di acqua che, prima che andasse persa, si pensò di intubare sino ad Avigliana. Lo studio del Politecnico ha già ampiamente ammesso i rischi e le possibilità di queste intercettazioni. Quello che si vorrebbe far notare è il danno che conseguirebbe ad un versante fortemente esposto a Sud e già soggetto ad una aridità naturale. Le conseguenze di un processo di steppizzazione e di desertificazione ancora più spinto priverebbero questi versanti della già scarsa copertura vegetale rendendoli più esposti agli agenti atmosferici e, a media durata, più suscettibili a creare forti portate di acque e dissesti a tutto discapito dei centri abitati del fondovalle.

Un altro aspetto delle interferenze con le acque è rappresentato dallo sviluppo di gallerie artificiali nei tratti di Settimo-Falchera Venaria e Musiné, lo studio nella prima edizione ammette questi impatti, quello che non dice sono le conseguenze di questi effetti e cioè l'innalzamento della falda con allagamenti dei locali interrati o seminterrati, ristagni di acqua nei campi dopo i temporali, e le relative conseguenze sulla circolazione e sulle pratiche agricole.

Il SIA prevede, per alcuni Comuni della Valle di Susa, il taglio delle fonti acquifere che saranno irrimediabilmente perse. Per provare ad affrontare il tema dell'approvvigionamento idropotabile il progetto deve prevedere, nel quadro economico, il costo per la realizzazione preventiva di un acquedotto al servizio dell'intero territorio coinvolto. L'acqua è un bene primario, una delle poche risorse della montagna, e rappresenta una vera provocazione ipotizzare interventi tampone in fase di cantiere.

Oltre ai costi per l'approvvigionamento idropotabile, devono essere valutati e risolti progettualmente anche quelli del fabbisogno di acqua per scopi irrigui a sostegno di una agricoltura di qualità importante per la sua multifunzionalità. Il progetto ITALFERR è stato predisposto su una cartografia datata non consentendo una coerente e completa valutazione dei danni arrecati al territorio e, in tal senso, si sollecita di accogliere la proposta della Coldiretti per l'utilizzo di dati aggiornati. (cartografia area AGEA)

7) FASCIA DI SALVAGUARDIA.

Questo progetto di linea internazionale vive due realtà normative non tollerabili e che intendiamo porre con forza anche all'attenzione dell'Unione Europea. Tra l'altro in data 12/02/04, è pervenuta una formale comunicazione della Commissione Europea, in risposta ad una nostra richiesta, dove viene ribadito "nessuna ipotesi di violazione alla direttiva 85/337/CEE ha potuto essere identificata riguardo al progetto di linea ferroviaria Torino Lione, in relazione al quale nessuna autorizzazione alla realizzazione dell'opera risulta essere stata concessa. Tale opera risulta ancora nella fase dello studio di "fattibilità". Questo documento fa giustizia delle tante, troppe affermazioni sul fatto che l'Unione Europea ha già deciso, ha già finanziato, ecc. In Francia si è sempre riconosciuto una fascia di salvaguardia di almeno 150 metri da lato binario (SNCF-Prefecture Rhone-alpes "Nouvelle Liason ….. v/93 fascicolo 6"), in Italia RFI non prevede alcuna fascia di salvaguardia. Stessa linea, due Stati europei non possono considerare questo enorme problema in modo diverso e l'U.E. deve essere garante di una uniformità di garanzia per il Cittadino francese e quello Italiano, entrambi cittadini europei. Riporto, prodotto in italiano, quanto è scritto a pag. 19 del documento citato prima: "Per il TGV Nord e per il TGV Rhone Alpes; le acquisizioni hanno potuto, nella totalità, essere realizzate in via amichevole, grazie a protocolli negoziati, in ogni dipartimento, con gli agricoltori professionali. Le procedure di esproprio non sono state utilizzate che per meno dell'1% dei proprietari.

Per il TGV Rhone Alpes non vi sono procedure di esproprio per quanto è costruito.

Come per il TGV Mediterraneo, la SNCF è disposta a mettere in opera una nuova pratica di esproprio dei confinanti per la linea a grande velocità Lione Torino. Il principio è il seguente: è proposto che ogni proprietario situato a meno di 150 metri da una parte e dall'altra dell'asse dell'opera, sia libero di domandare in qualsiasi momento alla SNCF di acquistargli la sua proprietà o di compensare un minor valore in caso di transazione immobiliare. Questo con la riserva che la linea a grande velocità sia in un sito proprio e non sia sotterraneo.

I problemi particolari (massicciate di grande altezza, case (rese) isolate o dominanti la nuova infrastruttura) possono essere oggetto di una estensione di questa disposizione, da negoziare caso per caso.

L'offerta di acquisto è valevole dalla dichiarazione di pubblica utilità e sino a tre anni dopo la messa in servizio del TGV. Questo permetterà a ciascuno di valutare la situazione. Quelli che vorranno potranno decidere rapidamente, gli altri avranno un lasso di tempo ragionevole per verificare le conseguenze dell'uso della linea e decidere di scegliere o meno di restare".

Pensiamo che il SIA ha omesso di affrontare una serie notevole di problematiche rimandando ad ulteriori fasi progettuali delle soluzioni che invece sono determinanti per verificare la sostenibilità ambientale di un progetto. Chiediamo alla Giunta Regionale, senza alcuna strumentalizzazione, di valutare con attenzione questo documento espressione della volontà dei Consigli Comunali e del Consiglio della Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia.


STRALCI E COMMENTI SULLA DELIBERA N. 5/2004/G DELLA SEZIONE CENTRALE DI CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI SULLA GESTIONE DELLE AMMINISTRAZIONI DELLO STATO AVENTE PER OGGETTO “VERIFICA DELLO STATO DI ATTUAZIONE DEI POTERI MINISTERIALI DI INDIRIZZO E VIGILANZA SULLE FERROVIE DELLO STATO IN CORRELAZIONE AGLI OBIETTIVI STRATEGICI, GESTIONALI ED ECONOMICO-FINANZIARI”

Riportiamo stralci della Delibera in questione perché sia possibile comprendere come l’architettura contrattuale del Sistema AV/AC italiana, perfezionato con concessioni, convenzioni e atti integrativi a trattativa privata porti a una continua lievitazione dei costi a carico dello Stato con conseguenze molto gravi sui bilanci di RFI SpA, tali da obbligare il Governo italiano a ricercare altri meccanismi di finanziamento che non escludono comunque ulteriori rilevanti gravami per i bilanci pubblici, posto, che come rilevato dalla Corte dei Conti nella relazione allagata alla Delibera n. 5/2004/G del 21 gennaio 2004 avente per oggetto “Verifica dello stato di attuazione dei poteri ministeriali di indirizzo e vigilanza sulle Ferrovie dello Stato in correlazione agli obiettivi strategici, gestionali ed economico-finanziari” lo Stato a partire dal 2009 “interverrà con somme considerevoli per integrare l’onere per il servizio del debito nei confronti di infrastrutture S.p.A. (ISPA)”

Per capire per quali motivi si sia arrivati ad affidare ad ISPA il finanziamento con operazioni di collocazione sul mercato di titoli per il finanziamento delle linee ad AV/AC italiane basta ripercorrere la storia della quota di investimenti che hanno gravato a questo titolo sino al 2002 sul capitale di RFI SpA, come riportata nella citata relazione della Corte dei Conti

Con riferimento alla situazione sino al 2002 la Corte dei Conti rileva:

“Le contabilizzazioni sul sistema AV/AC relative all’anno 2001 sono pari a 2.035 milioni di euro, di cui 755 a carico di fonti di finanziamento pubbliche. Dal 1993 al 2000, la media di dette contabilizzazioni annuali è stata pari, rispettivamente, a 573 e 390 milioni di euro. Il 2001 ha fatto quindi registrare, in termini di contabilizzato, notevoli incrementi percentuali rispetto a dette medie ed, in particolare, rispetto al contabilizzato dell’anno 2000. Rispetto al totale dei finanziamenti disponibili (21.041 milioni di euro, compresa la quota “Ante C.d.p.”), il totale contabilizzato al 31/12/2001 rappresenta circa il 35%. Le contabilizzazioni maggiori, nell’anno 2001, si sono registrate sulle tratte Bologna-Firenze e Roma-Napoli. Considerando tutte le fonti di finanziamento il totale delle contabilizzazioni di R.F.I. dell’anno 2001 è pari a 3.819 milioni di euro. Tale cifra rappresenta la capacità di spesa complessiva espressa dal Gestore nel 2001. I maggiori incrementi, rispetto al 2000, si sono registrati a carico della quota AV/AC. In conclusione, nella Relazione al Parlamento di cui trattasi viene evidenziato uno slittamento dei programmi degli investimenti seppure in presenza, di sensibili avanzamenti, dimostrati dagli incrementi delle contabilizzazioni effettuate, rispetto alla flessione nella capacità di spesa degli anni precedenti. La Relazione sottolinea, in particolare, ritardi in alcuni settori importanti, quali nodi ed interventi inerenti la sicurezza della circolazione ferroviaria.” (pagine 58 e 59)

Da queste considerazioni emerge che le contabilizzazioni del sistema AV/AC gravavano sul bilancio di RFI nel 2001 2.032 milioni di euro, di cui 755 milioni a carico di fonti di finanziamento pubbliche, a fronte di un totale di contabilizzazioni di RFI nell’anno 2001, comprensive di tutte le fonti di finanziamento, pari a 3.819 milioni di euro.

Come emerge da questo stralcio della relazione della CdC che si riferisce alla Relazione annuale sull’attuazione dei Contratti di programma 1994-2000 e 2001-2005, presentata al Parlamento nel maggio 2002 ai sensi della legge 238/93, si fa anche notare che i maggiori incrementi rispetto al 2000 si sono registrati a carico della quota AV/AC.

Questa osservazione contenuta nella Relazione della CdC è quasi un eufemismo quando si facciano i raffronti con gli anni precedenti: infatti, nella Relazione viene riportato: “ dal 1993 al 2000, la media di dette contabilizzazioni annuali è stata pari, rispettivamente, a 573 e 390 milioni di euro. Il 2001 ha fatto quindi registrare, in termini di contabilizzato, notevoli incrementi percentuali rispetto a dette medie ed, in particolare, rispetto al contabilizzato dell’anno 2000.”

E nel 2002 la situazione peggiora ancora, come emerge sempre dalla Relazione della CdC:

“In relazione a tutte le fonti di finanziamento le contabilizzazioni complessive dell’anno 2002 fanno registrare un incremento del 17% rispetto alle contabilizzazioni dell’anno precedente (1.058 milioni di euro contro 904); rispetto alla media delle contabilizzazioni degli anni che vanno dal 1993 al 2001, invece, il 2002 fa registrare un incremento del 60 % circa. (pag. 66) Le contabilizzazioni complessive sul sistema AV/AC relative all’anno 2002 sono pari a 2.483 milioni di euro, di cui 1.319 a carico di fonti di finanziamento pubbliche. Considerando tutte le fonti di finanziamento il totale delle contabilizzazioni di R.F.I. dell’anno 2002 è pari a 4.529 milioni di euro, con un aumento in percentuale, rispetto al 2001 del 19% circa. Tale cifra rappresenta la capacità di spesa complessiva espressa dal Gestore nel 2002 ed è in linea con le previsioni di contabilizzazione riportate nel Piano di priorità degli Investimenti (4.542 milioni di euro). Relativamente all’asse Torino-Milano-Napoli il 2002 ha fatto registrare, in termini di contabilizzato, un incremento rispetto all’anno precedente pari al 24% (2.289 contro 1.850 milioni di euro). Su tale asse, il totale delle contabilizzazioni al 31/12/2002 (9.300 milioni di euro) rappresenta circa il 32% del costo preventivato. Le contabilizzazioni maggiori, nell’anno 2002, si sono registrate sulle tratte Milano-Bologna e Torino-Milano, seguite dalle tratte Bologna-Firenze e Roma-Napoli. (pag. 68) Notevoli incrementi, rispetto al 2001, si sono registrati a carico della quota AV/AC (23%). Lo stesso incremento, valutato sulla rete tradizionale, è pari al 15%. (pagina 69)

Quindi, nel 2002 la situazione si aggrava ulteriromente come riportato nella Relazione della CdC “le contabilizzazioni complessive sul sistema AV/AC relative all’anno 2002 sono state pari a 2.483 milioni di euro, di cui 1.319 a carico di fonti di finanziamento pubbliche” su un totale contabilizzato da RFI, comprensivo di tutte le fonti di finanziamento, di 4.542 milioni di euro. Il peso dell’AV/AC continua quindi ad essere imponente, anche perché grazie ai meccanismi privatistici di gestione delle Convenzioni e Concessioni dell’AV i costi continuano a salire, senza alcun controllo. E’ allarmante, ad esempio, quello che riferisce la CdC sulla realizzazione della linea “dorsale” (Nord-Sud): “relativamente all’asse Torino-Milano-Napoli il 2002 ha fatto registrare, in termini di contabilizzato, un incremento rispetto all’anno precedente pari al 24% (2.289 contro 1.850 milioni di euro). Su tale asse, il totale delle contabilizzazioni al 31/12/2002 (9.300 milioni di euro) rappresenta circa il 32% del costo preventivato.”

La situazione è talmente allarmante che la CdC riferisce che alla fine del 2002 RFI SpA è costretta a rilevare che l’architettura contrattuale e finanziaria non è più sostenibile:

“In merito agli interventi statali in materia di opere ferroviarie relative al sistema AV/AC, riferisce l’Amministrazione che F.S. ha fatto presente che lo schema di finanziamento vigente non è più sostenibile ed ha richiesto che lo stesso sia sottoposto alle valutazioni delle competenti autorità al fine della ricerca di soluzioni idonee.” (pagina 73)

Ma la situazione non si “raffredda” , e alla fine del 2002 RFI SpA elabora un Piano di priorità degli Investimenti che evidenzia come sulla dorsale (asse Torino-Milano-Napoli) si è avuto un incremento dei costi, rispetto alle previsioni originarie di 6.585 milioni di euro, facendo rideterminare il costo complessivo del progetto i 28.790 milioni di euro, il che vuole dire che rispetto al già rilevantissimo costo originario si è avuto un incremento di quasi il 40%, come possiamo rilevare qui di seguito dallo stralcio della Relazione della CdC:

“Nel corso del 2002, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del Contratto di programma, è stato elaborato un Piano di priorità degli investimenti (PPI), poi approvato dal CIPE nella seduta del 29 settembre 2002 con delibera n.85, limitatamente al suo impianto programmatico complessivo ed alla programmazione finanziaria del solo anno 2003. Il Piano prevede interventi diffusi di manutenzione straordinaria, di riqualificazione e potenziamento delle linee e dei nodi, di realizzazione di nuove linee per complessivi 94 miliardi di euro, dei quali 18 già coperti da finanziamento e 76 da finanziare (circa 41 per la sola Alta velocità/capacità). Fino al 2005 il fabbisogno ammonta a 58 miliardi di euro (di cui 16 per la rete ordinaria e 42 per AV/AC e “Legge Obiettivo”). (pagina 73) Nel corso del 2002, ai sensi dell’art. 6,comma 3 del Contratto di Programma 2001-2005, è stato elaborato il Piano delle priorità degli investimenti (PPI) che per quanto attiene ai progetti del sistema AV/AC, dato l’assoluto grado di priorità del sistema stesso, ha previsto sostanzialmente tutti i fabbisogni necessari al completamento della rete Torino-Napoli-Milano al 2003, sempre in pendenza delle decisioni del CIPE e dei Ministeri dell’economia e delle finanze, e delle infrastrutture e dei trasporti, sulle modalità di finanziamento. Relativamente alla TORINO-MILANO-NAPOLI il PPI ha evidenziato un programma di revisione dei costi e dei tempi dell’intero progetto. Detto programma tiene conto degli incrementi dei preventivi, intervenuti principalmente a seguito della definizione dei progetti delle singole tratte e nodi conseguiti a specifiche prescrizioni poste dalle competenti Autorità locali e territoriali. Il Programma di revisione prevede: la rideterminazione del costo complessivo del progetto in circa 28.790 milioni di Euro, con un incremento di circa 6.585 milioni di Euro rispetto alle previsioni originarie; (…)” (pagina 101)

Questa situazione porta lo Stato a riprendere in considerazione il sistema di finanziamento del sistema ad AV e a passare all’affidamento a ISPA, come riferisce sempre nella sua Relazione la CdC:

“In tale occasione, in relazione alla precaria sostenibilità economico finanziaria del progetto AV/AC secondo lo schema di finanziamento sino ad allora adottato (40% a carico dello Stato, 60% con capitali privati a prestito, per le tratte), si erano decisi approfondimenti circa la possibilità di invertire tale schema di finanziamento, ponendo a carico dello Stato il 60% dei costi del progetto stesso. In tale ultimo caso le necessità finanziarie di competenza per l’anno 2003 sarebbero ammontate a circa 8.000 milioni di €. La legge finanziaria 2003 (art. 75) ha sostanzialmente superato le questioni legate alla percentuale dell’investimento da porre a carico dello Stato, disponendo una profonda modifica dell’intero schema di finanziamento del Sistema AV/AC secondo la quale Infrastrutture S.p.A. finanzia prioritariamente gli investimenti di cui trattasi, subentrando allo Stato nel finanziamento dell’intero Sistema.” (pagina 102)

Ma la “soluzione ISPA” ( di cui all’art. 75 della Legge Finanziaria 2003) allegerisce ma non risolve il problema dei gravami sui conti pubblici della continua lievitazione dei costi del Sistema ad AV/AC, infatti, come spiega la CdC nello stralcio della Relazione riportato qui di seguito perché: “La logica in cui si muove la predetta disposizione normativa è che lo Stato non finanzia la realizzazione dell’infrastruttura ferroviaria (nel caso in esame: la rete AV/AC) sicché il gestore della stessa, per realizzarla, dovrà accedere al credito; ma i ricavi delle “vendite” non saranno sufficienti per rimborsare il debito contratto, per cui lo Stato dovrà intervenire ad indennizzare il gestore.” La sostanza, quindi, è che sostanzialmente è lo Stato a sgravare ancora una volta i privati dal rischio d’impresa, garantendo pienamente il servizio di credito.

Tale articolo prevede, al primo comma, che Infrastrutture S.p.A. finanzi gli investimenti per la realizzazione del “Sistema alta velocità/alta capacità” anche al fine di ridurre la quota a carico dello Stato, reperendo le risorse finanziarie necessarie allo scopo sul mercato bancario e su quello dei capitali. Prevede altresì che, al fine di “preservare l’equilibrio economico e finanziario di Infrastrutture S.p.A. sia a carico dello Stato “l’integrazione dell’onere per il servizio della parte del debito nei confronti di Infrastrutture S.p.A. che non è adeguatamente remunerabile utilizzando i soli flussi di cassa revisionali per il periodo di sfruttamento economico del Sistema alta velocità/alta capacità”. La logica in cui si muove la predetta disposizione normativa è che lo Stato non finanzia la realizzazione dell’infrastruttura ferroviaria (nel caso in esame: la rete AV/AC) sicché il gestore della stessa, per realizzarla, dovrà accedere al credito; ma i ricavi delle “vendite” non saranno sufficienti per rimborsare il debito contratto, per cui lo Stato dovrà intervenire ad indennizzare il gestore. Il ruolo di Infrastrutture S.p.A. viene perciò ad essere quello di un intermediario finanziario in senso stretto, giacché essa (ai sensi della disposizione in esame) reperisce tutte le risorse necessarie al finanziamento della rete AV/AC sul mercato bancario e su quello dei capitali. Con decreto in data 23 dicembre 2003 il Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell’art. 75 della citata legge 27 dicembre 2002 n. 289 e della delibera CIPE del 27 luglio 2003, ha precisato “le modalità di intervento e gli impegni dello Stato in relazione all’attuale fase di costruzione del progetto, al fine di ridurre il costo della provvista necessario ad Infrastrutture S.p.A. per finanziare il completamento della linea alta velocità/alta capacità Torino - Milano - Napoli”. In particolare viene stabilito che “il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale determina entro il quindici settembre, per ciascun anno in cui i finanziamenti sono in essere, la misura dell’Integrazione da corrispondersi nell’anno successivo e ne dà comunicazione ufficiale al Ministero dell’economia e delle finanze, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ad Infrastrutture S.p.A.. A tal fine il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale può rivedere annualmente i flussi di cassa previsionali determinati nel Contratto di Programma in vigore, in conseguenza a mutate condizioni relative allo sfruttamento economico della linea alta velocità/alta capacità Torino – Milano – Napoli. (pagina 98)

Ma sempre secondo la CdC anche il Sistema ISPA, come vedremo negli stralci della Relazione, presenta notevoli rischi che avranno riflessi pesanti sul bilancio dello Stato a partire dal 2009, anno a partire dal quale è previsto che lo Stato intervenga con “somme considerevoli per integrare l’onere per il servizio del debito nei confronti di infrastrutture S.p.A.”. Per investimenti, che dato il sistema contrattuale e finanziario dell’AV/AC italiana, che faranno registrare un’ulteriore lievitazione dei costi per la realizzazione non solo della dorsale ad AV/AC Torino-Milano-Roma-Napoli, ma anche della trasversale Torino-Milano-Verona-Venezia-Trieste (ISPA sembra sia stata recentemente autorizzata alla collocazione sul mercato di bond relativi alle tratte ad AV/AC Milano-Verona e Terzo Valico dei Giovi con un decreto interministeriale dei Trasporti e dell’Economia).

“Particolare rilevanza poi assume la nuova imputazione del sistema dei finanziamenti per la realizzazione del programma AV/AC stabilito dell’art. 75 della legge 289/2002, per le ripercussioni che certamente avrà sulla finanza pubblica a partire dal 2009, anno a partire dal quale è previsto che lo Stato intervenga con somme considerevoli per integrare l’onere per il servizio del debito nei confronti di infrastrutture S.p.A. (pagina 6)

Una considerazione particolare merita, come sopra detto, la realizzazione del Sistema AV/AC, e nello specifico, la nuova impostazione delle modalità di finanziamento introdotte dall’art.75 della Legge 289/2002 (Legge finanziaria 2003), per le ripercussioni che certamente avrà sulla finanza pubblica. (pagina 9)”


“Indagine sullo stato di attuazione della Legge-Obiettivo in materia di infrastrutture e insediamenti strategici”, elaborata dalla Sezione centrale di controllo della Corte dei Conti sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato (approvata con Delibera 8/2005 il 22 marzo 2005)

Qui di seguito si riportano, divisi per argomenti di interesse ai fini delle testi che gli ambientalisti, in prima fila il WWF Italia, sostengono da tempo alcuni stralci commentati dei passaggi più interessanti dell’“Indagine sullo stato di attuazione della Legge-Obiettivo (legge 21 dicembre 2001, n. 443) in materia di infrastrutture e insediamenti strategici”, elaborata dalla Sezione centrale di controllo della Corte dei Conti sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato (approvata con Delibera 8/2005 il 22 marzo 2005).

Ci siamo soffermati sui passaggi dell’Indagine della Corte dei Conti (CdC, da qui in poi) che possono essere rilevanti, come conferma delle nostre critiche alle scelte politiche, istituzionali, programmatorie e procedurali del Governo in carica, che sono il risultato dell’applicazione delle norme derivanti dalla Legge Obiettivo (l. n. 443/001, l. n. 166/2002 e D.lgs. n. 190/2002 e successive integrazioni e modificazioni) in contrasto con le norme e gli standard comunitari in materia di lavori pubblici e di valutazione di impatto ambientale, che riguardano: a) le lacune/omissioni delle fasi programmatoria e progettuale e le conseguenti distorsioni; b) la mancata valutazione compartiva delle alternative; c) la necessità di un piano finanziario e di un calcolo costi/benefici credibile; d) le forme contrattuali (General Contractor e Concessioni).

1. QUALITA’ DELLA PROGRAMMAZIONE E DELLA PROGETTAZIONE, PIANO FINANZIARIO E CALCOLO COSTI BENEFICI

A proposito del rapporto tra programmazione e progettazione sulla ineludibilità del vaglio delle alternative anche nella fase progettuale dal punto di vista economico-finanziario, ma anche dal punto di vista sociale e ambientale, che è alla base sia della normativa sui lavori pubblici che di quella sulla VIA, possiamo fare riferimento alle considerazioni della CdC riportate qui di seguito.

· A pag. 12 dell’Indagine

E’ interessante vedere innanzitutto come dalla CdC venga ribadito come l’analisi costi-benefici, basata anche su un calcolo comparativo tra le diverse alternative, sia indispensabile.

Il seguente passaggio è particolarmente interessante, insieme alla nota 15 che entra nel merito e ricorda come sia assolutamente necessaria la valutazione comparativa delle alternative.

“Quanto all’UVAL, la legge n. 350/2003 prevede che la richiesta di assegnazione di risorse al CIPE debba essere accompagnata da una analisi costi-benefici, oltre che da un piano economico- finanziario, indicante le risorse utilizzabili per la realizzazione delle opere e i proventi derivanti dalla utilizzazione delle stesse.”

***** Si ricorda che la legge n. 350/2003 (Legge Finanziaria 2004) stabilisce ai seguenti commi dell’art. 4:

“134. Per le infrastrutture di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, ad eccezione di quelle incluse nei piani finanziari delle concessionarie e nei relativi futuri atti aggiuntivi, che presentano un potenziale ritorno economico derivante dalla gestione dell’opera stessa, la richiesta di assegnazione di risorse al CIPE deve essere accompagnata da una analisi costi-benefici e da un piano economico-finanziario che indichi le risorse utilizzabili per la realizzazione e i proventi derivanti dall’opera. Il CIPE assegna le risorse finanziarie a valere sui fondi di cui all’articolo 1, comma 7, lettera f), del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nella misura prevista dal piano economico-finanziario così come approvato unitamente al progetto preliminare, e individua, contestualmente, i soggetti autorizzati a contrarre i mutui o altra forma tecnica di finanziamento.

  1. Il finanziamento di cui al comma 134 può essere concesso da Infrastrutture Spa, dalla Cassa depositi e prestiti, dalla Banca europea per gli investimenti ovvero dagli altri soggetti autorizzati all’esercizio del credito ai sensi del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385. Al piano economico-finanziario dei progetti da presentare per la richiesta di assegnazione di risorse al CIPE deve essere allegata la formale manifestazione della disponibilità di massima al finanziamento da parte dei predetti soggetti finanziatori.
  2. I proventi derivanti dall’opera, individuati nel piano economico-finanziario approvato e specificati nella delibera di approvazione del CIPE, sono destinati prioritariamente al rimborso dei finanziamenti acquisiti ai sensi del comma 135; su di essi non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dal soggetto finanziatore, fino all’estinzione del relativo debito.”

*****

Altrettanto interessante è vedere come la CdC compia una severa censura su quanto sostenuto dall’UVAL – unità di valutazione costituita all’interno del Dipartimento sviluppo e coesione del Ministero dell’economia e delle finanze, a proposito dell’incontestabilità dell’inserimento delle opere nel Programma (Delibera CIPE n. 121/2001), a questo ultimo proposito in questa pagina la considerazione centrale e più significativa appare essere la seguente:

“In ordine a questa precisazione la Corte non può non rilevare come sia difficile ipotizzare, nella valutazione di progetti infrastrutturali, una scissione tra modelli teorici e analisi concreta. Infatti, un programma di investimento, quand’anche ispirato a finalità sociali, che ne appesantiscono i costi e la remuneratività, deve essere verificato nella sua fattibilità, separando e individuando la copertura dei suddetti oneri sociali. In caso contrario, anche le migliori iniziative non possono risolversi che negativamente.”

· Pag. 20, 21, 22 dell’Indagine

Sono assolutamente rilevanti le conclusioni cui arriva la CdC a seguito del monitoraggio effettuato dal CIPE nel rapporto tra progettazione della infrastruttura e della fattibilità economico-finanziaria contenute in particolare nei seguenti stralci di pag. 21 dell’Indagine:

“La parte più carente del monitoraggio riguarda lo stato delle progettazioni e dei pertinenti finanziamenti: ciò, sia con riguardo all’attuazione degli interventi già varati dal CIPE, per i quali è necessario verificare che gli strumenti contrattuali e finanziari siano perfezionati nei tempi e con i modi previsti dal Comitato stesso; sia con riguardo a quelli ancora in fase istruttoria, per i quali occorrerebbe assicurare una regia adeguata ed uniforme, onde razionalizzarne l’esame. La configurazione di molte delle opere incluse pone in evidenza come il finanziamento stesso sia parte integrante e sostanziale della progettazione. Questa non può essere confinata nella tradizionale morfologia tecnica, bensì deve essere intesa come progettazione economico-finanziaria, nella misura in cui la quantificazione dei fabbisogni viene specularmente rapportata agli strumenti tradizionali e innovativi di copertura.”

Il passaggio precedente è di rilievo perché è una dura censura della CdC sul sistema e sui rapporti contrattuali che sono origine, consentono e coprono le lacune in campo progettuale realizzativi ed economico-finanziario sono le seguenti considerazioni contenute a pag. 22 dell’Indagine, integrato da quanto contenuto a pag. 52 dell’Indagine (vedi punto 3 di questo documento):

“Questo fenomeno - che è endemico e non certo generato dalla prassi applicativa della legge-obiettivo, come rileva lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - dipende, non solo dalla diffusa incapacità, tra i soggetti realizzatori, di programmare e progettare, ma anche da alcuni epifenomeni già rilevati dalla Corte dei conti, nel corso di precedenti indagini sulla attuazione di interventi infrastrutturali. Tra questi viene in evidenza l’esigenza di conservare “mercati di nicchia” per molti concessionari, o affidatari ad altro titolo di commesse: in quest’ottica, la estrema indefinitezza del progetto generale ha il “pregio”, per i concessionari e le imprese interessate alle estensioni contrattuali, di essere suscettibile di dilatazioni o riduzioni, in proporzione dei finanziamenti disponibili.”

· Pag. 23 e 24 dell’Indagine

E’ il caso di segnalare anche il seguente passaggio che afferisce all’attendibilità tecnico ed economica del Primo programma delle infrastrutture strategiche (Delibera CIPE n. 121/2001):

“La decisione, pur comprensibile, di inserire nel programma una serie di obiettivi prestigiosi, ma sproporzionati rispetto alla penuria dei finanziamenti complessivamente disponibili, ha condizionato la attendibilità delle istruttorie alla base del programma, in termini di congruenza tra mezzi fruibili e scopi da raggiungere. Per altro verso, la scelta del legislatore di impiegare la progettualità privata, sotto forma di promotori, general contractors e concessionari, presuppone che, a monte delle procedure di individuazione di questi partners, vi siano adeguate certezze in ordine alle risorse disponibili e, a livello di coinvolgimento di questi ultimi, nel reperirne altre di fonte privata.”

Per poi passare alla segnalazione di questo passaggio di grande rilevo con riferimento alle ripetute segnalazioni del WWF, basate sulla corretta applicazione della procedura VIA e della normativa sui lavori pubblici, sull’interdipendenza dei fattori ambientali sociali ed economici nella valutazione della maturità dei progetti (la sottolineatura è della CdC) che si trova a pag. 24 dell’Indagine (pag. 28 su video):

“Pur prendendosi atto delle difficoltà obiettive nel creare una cultura della programmazione e della progettazione generale in un contesto delicato come quello delle opere pubbliche, vi sono alcuni accorgimenti che – ad avviso della Corte –possono rivelarsi utili. Tra questi meritano di essere richiamati l’esigenza di una analisi di contesto sotto i profili ambientale, sociale ed economico per le opere nuove, e la ricognizione dei costi storici delle opere per le quali è previsto il completamento.”

· Pag. 71 dell’Indagine

Tutto quanto già qui ricordato trova conferma e specificazione nelle conclusioni dell’Indagine della CdC segnalate che riguardano tutti gli aspetti già richiamati, ma lo sono particolarmente con riferimento alle lettere d) ed e) a pag. 71 dell’Indagine che qui di seguito si riportano:

d) L’inclusione così copiosa nel programma di opere vecchie e nuove, senza una puntuale definizione tecnica e finanziaria, ha, in alcuni casi, stimolato istanze locali dirette a risolvere, in modo oneroso per la parte pubblica, le situazioni di stallo preesistenti. Talvolta sono riemerse conflittualità, in precedenza mai del tutto sopite, in ordine alle alternative tecniche, ambientali e sociali, lasciate aperte dall’insufficiente definizione progettuale. e) Alle carenze pianificatorie di origine, ha fatto riscontro una parallela insufficienza nella capacità progettuale delle Amministrazioni coinvolte nella realizzazione della legge-obiettivo. Ciò ha comportato la necessità di stornare una parte delle risorse a disposizione dagli interventi realizzativi alla progettazione di opere già incluse nel programma.”

2. RAPPORTI CONCESSORI, RAPPORTI CONCESSORI DI COMMITTENZA /GENERAL CONTRACTOR

La CdC critica aspramente le capacità tecnico-realizzative dei concessionari o dei general contractor, confermando le osservazioni del WWF sui riflessi che una certa architettura contrattuale e finanziaria può avere sulla qualità dei progetti, sullo sbilanciamento nel rapporto tra gli interessi privati e pubblici e sulle casse dello Stato.

A questo proposito possiamo fare riferimento alle considerazioni riportate qui di seguito.

· Pag. 76 dell’Indagine

A proposito delle deformazioni d’origine dei rapporti concessori e dei rapporti di general contracting (che con eufemismo la CdC chiama rapporti concessori di committenza), e quindi con un riferimento sottinteso all’art. 11 della l. n. 166/2002 - Collegato alla Finanziaria 2002 - che ha abrogato l’art. 131 della legge Finanziaria 2001 che annullava le concessioni e le sub-concessioni per alcune tratte ai General Contractor per l’AV) vediamo cosa si dice a pag. 76 dell’Indagine:

g) Come più volte evidenziato da questa Corte, sarebbe opportuno prescrivere la chiusura, in modo definitivo, dei rapporti concessori c.d. di committenza, nei quali il rischio delle realizzazioni continua ad essere assunto, in toto, dalla finanza pubblica. Andrebbe evitata qualsiasi estensione di vecchi rapporti convenzionali, con allineamento - senza eccezioni – alla vigente disciplina comunitaria, in base alla quale la concessione è l’istituto contrattuale, attraverso il quale si coinvolge il settore privato – con assunzione in proprio dei connessi rischi - nella costruzione e gestione delle infrastrutture di rilievo pubblico.

· Pag. 54 dell’Indagine

La Cdc rileva in altra parte dell’Indagine che la connessione tra Concessioni o altre forme contrattuali “di lungo periodo” che fanno consolidare dei rapporti con la PA, non basati su una verifica tecnica costante della capacità tecnico-economica o della capacità progettuale, ma su quelle che potremmo definire, con un eufemismo, posizioni di rendita, è il vizio d’origine che fa nascere artificiosamente un contenzioso che sta assumendo, secondo quello che si deduce dalle osservazioni della CdC, una forma patologica.

Come emerge chiaramente a pag. 54 dell’Indagine:

“Tra i motivi più ricorrenti delle condanne emergono il ritardo nei pagamenti e la sospensione dei lavori per adeguamenti progettuali. Questi discendono dai vizi genetici del procedimento realizzativo, quali la carenza progettuale, l’incompleta stima dei costi, l’insufficiente stanziamento di fondi, cui si aggiungono, troppo spesso, provvedimenti di blocco indiscriminato dei pagamenti, in caso di congiunture economiche; il che, in presenza di obbligazioni contrattuali scadute, induce anomali incrementi di valore in caso di inadempimento. (…) Ad avviso della Corte, per una efficace prevenzione di tali fenomeni distorsivi, sarebbe necessario provvedere alla chiusura di tutti i rapporti contrattuali di lunga data inerenti alle infrastrutture da completare, quale condizione di un eventuale rifinanziamento.”

3. UNITARIETA’ DEI PROGETTI

Rispetto alla tendenza dei proponenti e dei progettisti di frazionare i progetti per stralci dell’opera principale o delle infrastrutture connesse che vengono portate alla Valutazione di Impatto Ambientale, da sempre censurata dal WWF, e, di conseguenza, alla necessaria unitarietà dello Studio di Impatto Ambientale nella descrizione degli effetti diretti e indiretti dell’opera principale e di quelle complementari sul territorio, si può fare riferimento alle considerazioni della CdC riportate qui di seguito.

· Pag. 52 e 53 dell’Indagine

Le considerazioni qui sotto riportate in riferimento sempre alla qualità degli elaborati e alla unitarietà dei progetti completano e integrano quanto contenuto a pag. 22 dell’Indagine (vedi punto 1 di questo documento).

A pag. 52 e 53 dell’Indagine la CdC sostiene esaminando alcuni profili critici dell’attuazione della programmazione delle infrastrutture, con riferimento allo scaglionamento nel tempo della realizzazione delle opere:

“Uno dei fenomeni più preoccupanti, sotto questo profilo, è quello dell’accentuato frazionamento in lotti e stralci delle grandi infrastrutture. Come già sottolineato dalla Corte, la realizzazione per lotti è contemplata dalla legge solo sotto il profilo tecnico, essendo prescritta - per ogni frazione di opera - la relativa funzionalità. Al contrario, il frazionamento delle grandi infrastrutture nazionali sembra dovuto alla ricorrente ristrettezza delle risorse impiegabili: piuttosto che concentrare i fondi disponibili su obiettivi completi, se ne preferisce il frazionamento in numerosi rivoli, spesso secondo un criterio di riparto “a pioggia”, accettandosi come inevitabile l’incertezza temporale e quantitativa sulla disponibilità delle risorse necessarie al completamento e, talvolta, l’assenza della stima attendibile della intera opera. Se, da un lato, questa prassi procrastina “sine die” la conclusione dell’opera e la stima complessiva della spesa, che lievita, contestualmente all’avvio di ogni lotto; dall’altro, la consapevolezza della relatività dei tempi e dei costi spinge gli appaltatori e/o i concessionari dell’opera a promuovere estensioni del rapporto contrattuale per implementare, proporzionalmente, i corrispettivi. Si crea, così, una evidente economia di nicchia, ben rappresentata dalla percentuale delle opere della legge-obiettivo interessate al completamento, pari all’84%. Le osservazioni in questione, peraltro, non possono essere generalizzate, ma certamente riguardano una significativa quota delle infrastrutture in discussione. Questo fenomeno può considerarsi proporzionale al tempo di realizzazione: quanto più viene scaglionato nel tempo l’obiettivo, tanto più sono presenti continue varianti, costi crescenti ed incertezze negli snodi operativi che caratterizzano le numerose fasi di una grande infrastruttura. In sostanza, il protrarsi del rapporto e le descritte patologie operative, per un verso allontanano nel tempo il raggiungimento degli obiettivi e pregiudicano la compatibilità economica della iniziativa; sotto altro aspetto, costituiscono per le imprese interessate proficue opportunità, in un contesto imprenditoriale nazionale caratterizzato da scarsa propensione al confronto concorrenziale. Peculiari sintomi di questo fenomeno sono lo stillicidio di varianti in corso d’opera, il ricorso alla trattativa privata e le frequenti estensioni contrattuali, che rendono quanto mai tormentato l’iter realizzativo degli interventi. I grandi imprenditori sono pochi ed i loro nomi si ripetono inevitabilmente: talvolta le medesime imprese si presentano sotto diversa forma organizzativa, attraverso consorzi, associazioni, fusioni e incorporazioni. Ma il modulo operativo e i modelli comportamentali permangono immutati, talora scalfiti dalla emergenza economica, talvolta rafforzati da favorevoli congiunture. In pratica, il meccanismo disfunzionale è di tipo circolare: la stima per difetto e il finanziamento a stralcio incrementano tempi e costi dei cantieri, i titolari dei cantieri sono indotti a concepire la commessa come stabile opportunità piuttosto che momento professionale, delimitato nei tempi e nel corrispettivo.”

Roma, 4 aprile 2005

A cura di: Stefano Lenzi, responsabile Ufficio istituzionale e legislativo WWF Italia - Onlus

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