"BAT SHALOM": UN APPELLO (21.07.06)

Noi, che facciamo parte di Bat Shalom, un'organizzazione di donne israeliane per la pace, impegnate nel chiedere la fine dell'occupazione e una pace giusta e sostenibile, basata sulla soluzione "due stati, due popoli", giudichiamo la continua escalation dell'uso della violenza e della forza nella nostra regione come una diretta minaccia piuttosto che come una potenziale soluzione. E' nostra convinzione che l'attuale escalation sia il diretto risultato dell'assenza di un processo politico per porre fine all'occupazione israeliana dei Territori palestinesi, inclusa Gaza. Per di piu', la politica israeliana di delegittimazione del governo palestinese legittimamente eletto, e pertanto la gestione unilaterale del conflitto, conduce all'assedio di Gaza e alla violazione dei diritti umani fondamentali di un'intera popolazione. Questo vuoto politico e' stato sfruttato da Hamas e Hezbollah per i loro scopi politici e per un contrattacco contro civili israeliani innocenti. Quindi, come cittadine/i israeliane/i, chiediamo al nostro governo di aprire negoziati con il governo palestinese eletto. Un passo immediato potrebbe fermare l'ulteriore distruzione del Libano, con un totale cessate il fuoco, e trattative per giungere allo scambio di prigionieri. Noi chiediamo alla comunita' internazionale, sia come singoli stati sia come entita' collettive, di condurre le parti a un percorso politico volto alla necessita' di por fine all'occupazione israeliana dei Territori palestinesi e alla soluzione dei due stati. Soltanto trattative politiche e una giusta e sostenibile pace garantiranno sicurezza per tutta la cittadinanza nella regione.


GAZA ALLO STREMO SOTTO LA "PIOGGIA D'ESTATE" (Medici Senza Frontiere, 17/07/2006)

Da quando un suo soldato è stato rapito, l'esercito israeliano è entrato di nuovo nella striscia di Gaza. L’incursione, chiamata "Pioggia d'estate", ha provocato gravi danni a cose e persone. Laura Brav, nostro capo missione, racconta ciò che ha visto a Gaza. La testimonianza è stata raccolta il 12 luglio scorso.

"Sabato scorso sono riuscita a rientrare nella striscia di Gaza con il nostro responsabile sul terreno, un medico e un logista. Abbiamo analizzato la situazione per stabilire gli interventi necessari. L'operazione ‘Pioggia d'estate’ va avanti, con movimenti di carri israeliani e numerosi colpi di mortaio sulla parte settentrionale della striscia di Gaza. Il rumore delle esplosioni è assillante e terribile, soprattutto per i bambini. Gli omicidi mirati sono sempre più frequenti; causano numerosi feriti civili tra i passanti che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Nel contempo, prosegue giorno dopo giorno il lancio di "Qassams", (razzi artigianali palestinesi) da Gaza verso Israele.

Il bilancio delle vittime. Oltre alle perdite umane (dal 25 giugno sono morti 53 palestinesi, di cui 9 bambini e una donna, e ne sono stati feriti 229, di cui 79 bambini e 15 donne), ‘Pioggia d'estate’ provoca gravi danni alle cose. L'unica centrale elettrica di Gaza, che alimentava il centinaio di pompe d'acqua che rifornivano la zona, è stata distrutta dai bombardamenti; alcune abitazioni sono state occupate e danneggiate; parecchi campi sono stati devastati. Non è ancora stato possibile ripristinare la normale fornitura di elettricità, in quanto le linee riparate vengono nuovamente distrutte, per cui alcuni quartieri restano isolati dalla rete durante il giorno e persiste l'incertezza per l'approvvigionamento d'acqua. Ieri, lunedì, MSF ha fornito acqua a 40 famiglie (circa 400 persone) fuggite da Shoka, un quartiere assalito dai carri israeliani vicino alla città di Rafah.

Problemi di approvvigionamento, ma gli ospedali funzionano. Il blocco pesa sulla fornitura di farmaci, cibo e carburante, necessario per il funzionamento dei generatori di corrente. Grazie alle pressioni internazionali e delle Nazioni Unite, oggi sono maggiori le possibilità di passaggio, comunque rigorosamente controllato dall'esercito israeliano, sempre presente intorno al punto di transito delle merci di Karni, chiuso da più di una settimana. Rimane il problema della presa in carico dei malati cronici, come malati di cancro e diabetici, in quanto non è più possibile trasferirli verso i paesi vicini affinché siano curati con apparecchiature e trattamenti specifici, inesistenti a Gaza.

Siamo entrati in contatto con gli ospedali della regione. Per il momento, grazie a generatori di corrente, è possibile continuare l'attività ospedaliera. I feriti vengono presi in carico in modo corretto, le sale operatorie sono funzionanti, i chirurghi presenti. Anche se non retribuito, il personale sanitario continua a lavorare. Abbiamo inviato più volte donazioni di farmaci e apparecchiature mediche, ma gli ospedali hanno difficoltà a funzionare in questo modo, sempre in attesa della successiva donazione e senza sapere quando questa arriverà e in cosa consisterà.

Una situazione sanitaria degradata da seguire da vicino. In un simile contesto, stress e nervosismo nella popolazione aumentano sempre più. Di conseguenza i pazienti seguiti in passato da nostri psicologi, in particolare quelli che vivono nei quartieri più colpiti dall'operazione ‘Pioggia d'estate’, hanno chiesto di riprendere il prima possibile la terapia, per allontanare l'angoscia di questi ultimi giorni. Da martedì i nostri psicologi sono tornati nella striscia di Gaza, per cui le terapie potranno riprendere. Da quando gli Stati Uniti, l'Unione Europea, il Canada e il Giappone hanno sospeso gli aiuti finanziari al governo palestinese, la situazione sanitaria si è deteriorata. Se dovesse peggiorare ulteriormente, diverrebbe catastrofica; per questo seguiamo da vicino gli sviluppi. Una seconda équipe MSF, oggi presente su Amman, in Giordania, si tiene pronta a venire in nostro aiuto in caso d'emergenza.


NURIT PELED: CONTRO IL RAZZISMO, PER LA PACE E LA CONVIVENZA (16.03.06)

[Intervento di Nurit Peled-Elhanan, "Sull'educazione al razzismo e l'assassinio dei bambini", del 16 marzo 2006. Nurit Peled-Elhanan è la figlia di Gal Peled, consigliere di Rabin a Oslo; nel 1994 sua figlia e' morta in seguito ad un attentato contro un autobus a Gerusalemme; docente universitaria di Linguaggio ed educazione, è insegnante, traduttrice, scrittrice e madre israeliana; è fortemente impegnata per la pace tra Israele e Palestina; nel 2001 ha ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov per i diritti umani.]

Vorrei dedicare queste parole alla memoria dei bambini palestinesi assassinati giorno dopo giorno, a sangue freddo, non in seguito a errori umani ne' a causa di errori della tecnologia - come ci spiegano nei media - ma conformemente alle procedure. Questi bambini del cui assassinio metodico e di routine nessuno e' mai stato giudicato colpevole. Vorrei dedicare queste parole alle madri di questi bambini assassinati, a loro che continuano a mettere al mondo figli e a fondare famiglie, che si affrettano a preparare panini vedendo i bulldozer avvicinarsi per distruggere le loro case, che accompagnano ogni giorno i bambini a scuola attraverso chilometri di distruzione e immondizie, davanti ai fucili puntati da soldati apatici; loro che sanno che questi soldati, assassini dei loro figli, non saranno mai portati davanti ad un tribunale e che, se anche accadesse, non sarebbero mai giudicati colpevoli, perche' l'uccisione di bambini palestinesi non e' un crimine nello stato di Israele, ebraico e democratico. Infine vorrei dedicare queste parole alla memoria dello scrittore e poeta, il professor Izzat Ghazzawi, con cui ho avuto l'onore di condividere il Premio Sakharov per i diritti umani e la liberta' di pensiero. Qualche mese prima di morire di umiliazione, egli mi scriveva a proposito dei soldati che facevano irruzione di notte a casa sua, rompendo mobili e finestre, sporcando tutto, terrorizzando i bambini, "mi sembra che cerchino di far tacere la mia voce". Izzat Ghazzawi mi ha chiesto di rivolgermi al Ministero degli Esteri per chiedere loro di correggere l'errore. Ma il suo cuore conosceva la verita' ed ha cessato di battere poco tempo dopo. * Questa crudelta' che non si esprime a parole, questo modo organizzato, meditato, di maltrattare le persone, che i migliori cervelli israeliani oggi sono impegnati a pianificare e perfezionare, tutto cio' non e' nato dal nulla. E' il frutto di un'educazione fondamentale, intensiva, generale. I figli di Israele sono educati in un discorso razzista senza mezze misure. Un discorso razzista che non si ferma ai check-point ma regola tutti i rapporti umani in questo paese. I figli di Israele sono educati in modo che considerino il male che, dalla fine dei loro studi, dovranno far passare da virtuale a concreto, come qualcosa di imposto dalla realta' nella quale sono chiamati a lavorare. I figli di Israele sono educati in modo che considerino le risoluzioni internazionali, le leggi e i comandamenti umani e divini, come parole vuote che non si applicano a noi. I figli di Israele non sanno che c'e' un'occupazione. Si parla loro di "popolamento". Sulle carte dei manuali di geografia, i Territori occupati sono rappresentati come facenti parte di Israele o sono lasciati bianchi e indicati come "zone sprovviste di dati", detto in altri termini, zone disabitate. Nessun libro di geografia nello stato d'Israele offre delle carte con le frontiere dello stato, perche' i figli d'Israele imparano che la vera entita' geografica che ci appartiene, e' l'entita' mitica chiamata Terra d'Israele e che lo stato d'Israele ne e' una piccola parte provvisoria. I figli d'Israele imparano che nel loro paese ci sono ebrei e non-ebrei: un settore ebraico e un settore non-ebraico, un'agricoltura ebraica e un'agricoltura non-ebraica, delle citta' ebraiche e delle citta' non-ebraiche. Chi sono questi non-ebrei, cosa fanno? Che aspetto hanno? E' importante? Quando non sono chiamati non-ebrei, tutti questi altri che sono presenti nel paese, sono chiamati globalmente: "arabi". * Per esempio, nel libro "Israele, l'uomo e lo spazio" (edito dal Centro per la Tecnologia dell'Educazione, 2002), si puo' leggere a pagina 12: "La popolazione araba [...] All'interno di questo gruppo di popolazione, ci sono credenti di differenti religioni e di gruppi etnici diversi: musulmani, cristiani, drusi, beduini e circassi, ma poiche' la maggior parte di loro e' costituita da arabi, d'ora in poi noi daremo a questo gruppo il nome di arabi o di popolazione araba". Nello stesso libro, i palestinesi sono chiamati "lavoratori stranieri" e le loro vergognose condizioni di sussistenza sono, dice il libro, "caratteristiche dei paesi sottosviluppati". I palestinesi, che siano cittadini di Israele o che vivano nei Territori occupati, non sono presentati in nessun testo scolastico come persone moderne, di citta', occupate in lavori produttivi o prestigiosi o in attivita' positive. Essi non hanno volto. Sono rappresentati da immagini stereotipate: gli arabi cittadini di Israele, a cui si da' l'appellativo sminuente di "arabi israeliani", sono rappresentati sia da caricature razziste dell'arabo versione "Mille e una notte", con baffi e kefia, scarpe a punta da clown e un cammello al seguito (Geografia della terra d'Israele, 2002), sia dalla foto razzista tipica della rappresentazione del terzo mondo in occidente - il contadino pretecnologico, che cammina dietro un aratro primitivo tirato da un paio di buoi (Le persone e lo spazio, 1998). I palestinesi che abitano nei Territori sono rappresentati da foto di terroristi mascherati (Il ventesimo secolo / Tempi moderni II) o da branchi di rifugiati che vagano scalzi senza meta, con delle valigie sulla testa (Viaggio verso il passato, 2001). Questi stereotipi nei manuali scolastici sono definiti "incubo demografico", "minaccia alla sicurezza", "peso per lo sviluppo" o "problema che deve trovare una soluzione". Benche' le zone palestinesi non siano indicate sulle carte, l'Autorita' palestinese e' un nemico. Per esempio, nel libro "Geografia della terra d'Israele", del 2002, si trova un sottocapitolo intitolato "L'Autorita' Palestinese ruba l'acqua ad Israele a Ramallah". Ma soprattutto il razzismo riesce ad esprimersi in libri ritenuti non razzisti e che forse ignorano il discorso razzista che trasmettono. Testi qualificati da alcuni ricercatori come "progressisti, audaci, politicamente corretti", testi volti alla "verita' storica" e alla pace. Per esempio: Il ventesimo secolo, di Elie Barnavi, pagina 244: "Capitolo 32: i Palestinesi, da rifugiati a una nazione. Questo capitolo esamina lo sviluppo del problema palestinese [...] e gli atteggiamenti, nell'opinione pubblica israeliana, riguardo a questo problema e alla natura della sua soluzione". Se mi si dicesse che questo titolo viene da altrove, che c'e' da poco piu' di 60 anni e che invece del problema palestinese, si tratta del "problema ebraico", io non mi sorprenderei. Come si e' creato questo problema? Tempi moderni II, di Elie Barnavi e Eyal Naveh, spiega: pagina 238: "E' nella poverta', nell'inoperosita' e nella frustrazione, in cui vivevano i rifugiati nei loro miserabili campi, che e' maturato 'il problema palestinese'". Cosa causa questo problema? Pagina 239: "Il problema palestinese avvelena, da oltre una generazione, le relazioni di Israele con il mondo arabo e con la comunita' internazionale". Secondo questo testo, l'identita' dei palestinesi e' fondata sul "sogno del ritorno nella terra di Israele" e non in Palestina (pagina 238: "I palestinesi... hanno fondato la loro identita' sul sogno del ritorno nella terra di Israele"). Come si e' creato il nazionalismo palestinese? Tempi moderni II: "Col passare degli anni, l'alienazione e l'odio, la propaganda e le speranze di tornare e di vendicarsi hanno fatto dei rifugiati una nazione [...]". Il libro spiega anche che la presenza dei palestinesi tra noi puo' "trasformare il sogno sionista in incubo versione Sudafrica" (Il ventesimo secolo, pagina 249). Queste affermazioni sono state scritte dopo la vittoria di Nelson Mandela, ma il libro identifica di fatto gli ebrei dello stato d'Israele con i bianchi del Sudafrica per i quali la popolazione indigena e' un incubo. L'assassinio di palestinesi da parte degli israeliani ha sempre ripercussioni positive, secondo questi testi pedagogici: Tempi moderni, Elie Barnavi e Eyal Naveh, pagina 228: "Il massacro di Deir Yassin in effetti non ha inaugurato la fuga di massa degli arabi dal paese, che era iniziata prima, ma l'annuncio del massacro l'ha fortemente accelerata". "Inaugurato" e' una parola di festa. E subito dopo a pagina 230: "La fuga degli arabi ha risolto, almeno in parte, un terrificante problema demografico, e persino un moderato come Haim Weizman ha parlato a questo proposito di 'miracolo'". E' cosi' che i figli d'Israele imparano che e' un paese senza arabi - la realizzazione dell'ideale sionista. Imparano che uccidere palestinesi, distruggere le loro terre, assassinare i loro figli non e' un crimine, al contrario: tutto il mondo illuminato ha paura del ventre musulmano ed ogni partito al potere che vuol vincere le elezioni e dimostrare il suo impegno per il sionismo o la democrazia o il progresso, fa la sorpresa, alla vigilia delle elezioni, di un'operazione dimostrativa di uccisione di palestinesi. E cio' a dispetto del fatto che le scuole ebraiche nello stato d'Israele siano piene di slogan che dicono "di amare l'altro e di accettare chi e' diverso". Apparentemente, l'altro, colui che e' diverso, non e' chi vive nell'ambiente dove viviamo noi. * I figli d'Israele ne sanno di piu' sull'Europa - patria della fantasia e ideale dei dirigenti del paese - che sul Medio Oriente dove vivono e che e' il focolare originario di piu' della meta' della popolazione israeliana. I bambini ebrei, nello stato d'Israele, sono educati a dei valori umani di cui non vedono nessuna concretizzazione attorno a loro. Al contrario. Dappertutto assistono alla violazione di questi valori. Una studentessa che si definiva come "un'abitante di Tel Aviv, favorita, appartenente alla classe media", testimonia cosi' di questa confusione quando si meravigliava del fatto che "dei soldati del mio popolo, che mi proteggono e vogliono la mia sicurezza" maltrattano, senza battere ciglio, un padre palestinese e suo figlio ("Haaretz", 13 marzo 2006). In questo contesto, l'espressione "dei soldati del mio popolo, che mi proteggono e vogliono la mia sicurezza" e' quel che esprime meglio l'ideologia dei razzisti: maltrattare l'altro e' interpretato come difesa di quelli della nostra parte. Questa violenza fatta all'altro e' quel che ci definisce e crea una solidarieta': noi li maltrattiamo, segno che siamo un popolo unito, e tutti responsabili gli uni degli altri. * Chi sono questi che lei dice "del mio popolo"? La parola "popolo", come la parola "noi", e' una delle parole piu' pesanti che ci siano. E' una parola che si presenta come se non lasciasse scelta, come un colpo del destino, un fatto naturale. La morte ci ha obbligato, la mia famiglia ed io, a scrutare questa parola in profondita'. Quando, qualche anno fa, una giornalista mi ha chiesto come potevo accogliere parole di consolazione provenienti dall'altra parte, io le ho immediatamente risposto che non ero pronta ad accogliere parole di consolazione proveniente dall'altra parte; la prova: quando Ehud Olmert, il sindaco di Gerusalemme, e' venuto a porgermi le sue condoglianze, sono uscita dalla stanza ed ho rifiutato di stringergli la mano o di parlargli. Per me, l'altra parte e' lui e i suoi simili. E questo perche' il mio "noi" per me non si definisce in termini nazionalisti o razzisti. Il mio "noi" per me e' composto da tutti quelli che sono pronti a lottare per preservare la vita e per salvare dei figli dalla morte. Da madri e padri che non vedono una consolazione nell'omicidio dei figli degli altri. E' vero che la' dove noi siamo, questa parte conta piu' palestinesi che ebrei, perche' sono loro che tentano ad ogni costo - e con una forza che non mi e' familiare ma che non posso che ammirare - di continuare a condurre un'esistenza nelle condizioni infernali che il regime dell'occupazione e la democrazia israeliana impongono loro. Tuttavia, anche per noi, vittime ebree dell'occupazione, che cerchiamo di liberarci della cultura della forza e della distruzione nella guerra di civilta' che si porta avanti in questi luoghi, anche per noi c'e' posto qui. * Mio figlio Elik e' membro di un nuovo movimento fiorito sotto il nome di "Combattenti per la pace" e i cui membri sono israeliani e palestinesi che sono stati soldati combattenti e che hanno deciso di fondare un movimento di resistenza nonviolenta all'occupazione. La mia famiglia e' membro del Forum delle famiglie israeliane e palestinesi colpite da lutti e impegnate per la pace. Mio figlio Guy fa teatro con amici israeliani e palestinesi che si considerano persone che vivono nello stesso luogo e che cercano di liberarsi da una vita tutta decisa, di malvagita' e razzismo, che non e' la loro. E mio figlio piu' giovane Yigal fa ogni anno un campo estivo della pace dove ragazzi ebrei e ragazzi palestinesi si divertono insieme e creano legami solidi che si mantengono durante l'anno. Sono questi ragazzi il suo "noi" per lui. E questo perche' noi siamo una parte della popolazione che vive in questo luogo e perche' noi crediamo che questa terra appartenga ai suoi abitanti e non a persone che vivono in Europa o in America. Noi crediamo che e' impossibile vivere in pace senza vivere negli stessi luoghi, con chi vi abita. Che una fraternita' reale non si stabilisce su criteri nazionalisti e razzisti ma su una vita comune in un determinato luogo, in un determinato paesaggio e su sfide affrontate in comune. Che chi non supera le frontiere della razza e della religione e non si integra tra le persone del paese dove e' nato non e' un uomo di pace. Purtroppo ci sono molti qui che si dicono persone di pace ma che, vedendo persone che vivono qui imprigionate in ghetti e recinti il cui scopo e' affamarli fino alla morte, non protestano e inviano anche i loro figli a servire nell'esercito di occupazione, a fare le sentinelle sui muri del ghetto e alle sue porte. * Io non sono una donna politica ma e' chiaro per me che i politici di oggi sono gli studenti di ieri e che i politici di domani sono gli studenti di oggi. E' per questo che mi sembra che chi fa della pace e dell'uguaglianza il suo motto deve interessarsi all'educazione, esplorarla, criticarla, protestare contro la diffusione del razzismo nel discorso pedagogico e nel discorso sociale, proporre delle leggi o riattivare delle leggi contro un insegnamento razzista e stabilire dei programmi alternativi dove si offra una conoscenza reale, profonda dell'altro, sbarrando ogni possibilita' di uccidersi reciprocamente. Un insegnamento del genere dovrebbe mettere davanti agli occhi le immagini delle bambine, stese con le loro uniformi scolastiche, nella sporcizia, nel sangue e nella polvere, i loro piccoli corpi crivellati dai proiettili sparati secondo le procedure, e porre, giorno dopo giorno, ora dopo ora, la domanda posta da Anna Achmatova che, anche lei, aveva perduto suo figlio in un regime assassino: "Perche' questo solco di sangue strazia il fiore della tua guancia?".

selez._articoli (last edited 2008-06-26 09:58:26 by anonymous)